-  Redazione P&D  -  15/06/2013

CHIUSURA DEGLI OPG: IL TEMPO STRINGE… - Alberto MANZONI

Organizzato dalla Regione del Veneto e dalla Azienda ULSS 4 "Alto Vicentino" si è tenuto a Montecchio Precalcino (VI), l"11 giugno scorso, un seminario dal titolo "Prospettive e sfide nella psichiatria di comunità: salute mentale in carcere e superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari", preparatorio alla seconda Conferenza Regionale sulla salute mentale.

Nutrita la presenza di relatori e conduttori di gruppi di lavoro provenienti dall"ambito penitenziario (il Provveditore regionale, la Magistratura di sorveglianza, un Direttore di istituto penitenziario, il direttore dell"Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) e sanitario (il Segretario regionale per la Sanità, il Dirigente regionale del Servizio tutela della salute mentale, vari Direttori di Dipartimenti Salute mentale delle ASL regionali).

Focus della giornata era, come chiaramente suggerito dal titolo del seminario, l"applicazione della L. 17 febbraio 2012, n. 9 che, quantunque rinviata per quanto attiene all"entrata in vigore (originariamente prevista per il 1 febbraio 2013, con legge n. 57 del 23.5.2013 è stata prorogata al 1 aprile 2014), prevede comunque tempistiche precise.

 

Tre, a parere di questo cronista, gli aspetti salienti.

 

Il primo, di carattere locale, attiene al rispetto della tempistica prevista dalla norma: la Regione del Veneto, pur avendo individuato una struttura utilizzabile allo scopo, e pur avendo ottenuto proposte alternative, si sarebbe presa una "pausa di riflessione", in tal modo superando i termini previsti per evitare l"intervento di un commissario ad acta. Non è difficile immaginare, a questo punto, che ben difficilmente il termine previsto per la "messa a regime" dell"intero sistema potrà essere rispettato. Arduo, dagli interventi dei relatori presenti, tentare di comprendere le ragioni di questa "pausa di riflessione" (resistenza passiva alla norma, interessi accademici ad avocare la struttura, sindrome nimby tendente invece ad allontanarla, semplice disinteresse, l"italica tendenza a sperare in una proroga della proroga o quant"altro): resta il dato di fatto che, per il commissario ad acta, la strada sarà tutta in salita ed il rispetto dei tempi una meta difficilmente raggiungibile (sempre che, naturalmente, i tempi non si allunghino ex lege, cosa che ad oggi non è dato sapere).

 

La seconda criticità attiene alla incompletezza (rectius, parzialità) della norma. Tutti i relatori e conduttori di gruppi di formazione giuridica hanno fatto notare, in maniera corale e priva di contraddizioni, che la norma de quo, nell"occuparsi della chiusura degli OPG in quanto edifici fisici, lascia affatto intonsa la normativa che ne regolamenta l"accesso, la permanenza, la dimissione, in ogni grado e fasi di giudizio prima, di applicazione delle (eventuali) misure di sicurezza poi. Questo aspetto, poco evidenziato dalle comuni fonti d"informazione e sottaciuto nei (pochi) dibattiti dedicati, appare di importanza cruciale, quanto meno sotto il profilo del futuro rapporto necessario e frequente, se non costante, tra Magistratura di sorveglianza e strutture sanitarie chiamate a gestire le strutture istituende. Si tratta, a ben vedere, di una sorta di rivoluzione copernicana, che imporrà di interagire a "mondi" sinora distinti e, per molti aspetti, distanti, retti da paradigmi culturali spesso affatto diversi: basti pensare all"approccio positivistico che regge il mondo delle norme e dei codici ed al ben diverso approccio probabilistico su cui è fondata la cura della persona. Questi differenti modelli culturali, che implicano ben diversi approcci quanto alla individuazione degli elementi causali degli eventi ed alla valutazione di fattori prognostici sulla possibile futura evoluzione di una situazione soggettiva, sinora hanno potuto "guardarsi da lontano" grazie alla concentrazione degli OPG in pochi distretti, circostanza questa che ha sostanzialmente contribuito a ridurre i momenti di reciproca esposizione tra i due modelli. Questa condizione è però destinata a cambiare, nel breve periodo: ben vengano quindi incontri, come quello qui in discussione, che consentono la conoscenza reciproca tra mondo del diritto e mondo della tutela della salute psichica (nell"ambito della sanità, probabilmente quello meno basato su referti materialmente opponibili ai terzi, quali potrebbero essere le biopsie e relativi referti anatomo-patologici, gli esami clinici, le immagini diagnostiche).

Un ulteriore livello di complessità attiene agli ospiti (attuali e futuri) degli OPG (e delle strutture che li sostituiranno) nei quali si riscontra, in concomitanza ad una qualche patologia psichica, l"abuso di sostanze stupefacenti. Queste persone, per le quali viene normalmente utilizzato il termine di "doppia diagnosi", già oggi vengono gestite con difficoltà da Servizi diversi (Dipartimenti di Salute Mentale e Dipartimenti per le Dipendenze), che molto frequentemente divergono sulla valutazione della patologia "primaria" o prevalente (la malattia mentale piuttosto che la dipendenza patologica): spostare questo dibattito in un"aula di giustizia, quantunque in sede camerale, rischia di aggiungere complessità a complessità e di rendere ancor più difficilmente districabile la matassa, sia in termini valutativi che (soprattutto) prognostico/prospettici e, conseguentemente, per quanto attiene alla gestione della cura extra-muraria soprattutto sotto il profilo della "presa in carico" tra i diversi Servizi.

 

Il terzo, infine, riguarda gli aspetti organizzativi delle future strutture. Un timore di fondo, espresso a più voci (soprattutto dagli psichiatri con più esperienza) è che le strutture residenziali decentrate (comunque le si voglia chiamare), alternative agli OPG, possano nel tempo far rientrare dalla finestra ciò che, con la riforma psichiatrica del 1978 (la L. 180, nota anche come "legge Basaglia"), era uscito dalla porta: i manicomi. Questo timore, in realtà, è stato espresso anche da alcuni relatori di area giuridica. Da un lato, evidenziando che il carcere è, di fatto, il contenitore di ciò che la società espelle, allontana, esclude (è stato usato il termine "discarica sociale": forte, ma sicuramente efficace nella sua didascalicità): in un"epoca, come quella attuale, di forte disagio sociale correlato alla crisi economica, il rischio di voler cercare l"etichetta di "malattia mentale" anche per forme di disagio reattive, secondarie al contesto dal quale sono state indotte, è considerato molto forte. D"altro canto, il rischio che il magistrato, avendo a disposizione nell"ambito del distretto una struttura dedicata, meglio gestita ed organizzata degli attuali OPG, voglia servirsene con una frequenza ben maggiore di quella attualmente riscontrata per gli internamenti in OPG, è stato giudicato altrettanto elevato.

Si pone, a questo proposito, un primo elemento di difformità organizzativa tra mondo carcerario ed organizzazione sanitaria: tanto il primo è tenuto ad accogliere quanti vengono inviati (e il dato sull"attuale sovraffollamento degli Istituti di pena è testimone silenzioso, quanto indegno di un Paese civile, di questa modalità operativa), quanto il secondo normalmente gestisce gli ingressi in base alle dimissioni, evitando (salvo emergenze sanitarie, di carattere puramente contingente) il sovraffollamento, a ciò tenuto anche dalla normativa sulle autorizzazioni all"esercizio e l"accreditamento delle strutture: cosa succederà, quindi, quando verrà inviato per essere inserito in struttura l"internato "n+1"? quale logica prevarrà, quella penitenziaria (peraltro messa in discussione dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia che, con ordinanza 13.2.2013, ha posto questione di legittimità costituzionale dell"art. 147 c.p. nella parte in cui non prevede il rinvio facoltativo dell"esecuzione della pena quando questa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità ed in violazione degli artt. 27 e 117 Cost.) ovvero quella sanitaria?

In aggiunta a ciò, da parte dei sanitari presenti è stata evidenziata la totale assenza, nel curriculum formativo degli operatori sanitari (in senso lato: medici, infermieri, psicologi, educatori, assistenti sociali e via elencando) di quegli istituti dell"Ordinamento penitenziario che, rimanendo immutata la normativa di riferimento, dovranno necessariamente essere applicati all"interno delle strutture decentrate: di qui, la imprescindibilità e l"urgenza di adeguate iniziative formative per gli operatori che andranno a prestarvi servizio, e soprattutto per quanti saranno chiamati a dirigerle (con tutte le responsabilità, non più meramente cliniche, a ciò correlate). La formazione, peraltro, richiederà non solo l"approfondimento degli istituti normativi de quo, ma anche l"elaborazione di una diversa modalità operativa: ad esempio, se in una struttura sanitaria lo spostamento o la dimissione sono legate a ragioni cliniche, in una struttura penitenziaria prevalgono le ragioni giudiziarie (ad esempio, le traduzioni per motivi di giustizia o le scarcerazioni, che vanno eseguite immediatamente a seguito di ordine dell"Autorità giudiziaria).

Ad abundantiam, ulteriore criticità è stata rinvenuta nella determinazione della competenza sulla "sorveglianza perimetrale" prevista dalla norma, che individua nella Prefettura l"Autorità deputata ad organizzarla. Sinora questo aspetto non risulta essere stato oggetto di discussione da parte delle Prefetture, né è chiaro a quale Forza di Polizia assegnare l"incombenza: la Polizia Penitenziaria, in quanto trattasi di struttura carceraria (sia pure decentrata)? Ovvero i Carabinieri del luogo in cui la struttura insiste? Per quante ore al giorno? Ed infine, chi è deputato ad intervenire all"interno in caso di eventi acuti?

Su tutto, aleggia irrisolta la questione delle risorse economiche: la norma de quo stanzia fondi per la realizzazione delle strutture decentrate, non per la loro gestione, né per le rette delle strutture (in particolare, le comunità residenziali) a cui indirizzare gli utenti meno gravi e più stabilizzati tra quanti attualmente sono internati negli OPG. Questo significa, di fatto, sgravare il Ministero della Giustizia di un onere, ed accollarlo de plano ai Servizi sanitari regionali, già alle prese con le riduzioni di risorse disposte dalle misure di risanamento della finanza pubblica (su tutte, la nota spending review). È di tutta evidenza che, in assenza di importanti e tempestivi fattori correttivi, i costi graveranno sui Dipartimenti di salute mentale che, a parità di risorse, non potranno non ridurre i servizi offerti agli utenti estranei al circuito penale, dato che le persone in dimissione dagli OPG verosimilmente avranno la precedenza nell"inserimento in comunità (le cui rette sono, per inciso, assai onerose, arrivando anche ai 90.000 euro/utente/anno), stante l"alta prevalenza di internati privi di rete sociale di riferimento ala dimissione.

Il seminario, ovviamente, non ha dato, né avrebbe potuto dare, risposta a tutte le questioni aperte. Le ha però portate all"attenzione, cosa essenziale, tanto più se si riflette sul fatto che, sotto il profilo organizzativo, il 1.4.2014 è domattina!




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