Giustizia civile  -  Redazione P&D  -  21/07/2023

Chiarezza e sinteticità degli atti processuali nella bozza di regolamento del Ministero della giustizia - Elisa Grossi

Premessa

Il 26 maggio 2023 il Ministro della Giustizia ha adottato lo schema di regolamento sui criteri di redazione e limiti dimensionali degli atti del processo civile e gli schemi degli atti giudiziari. 

Il Regolamento ha l’obiettivo di declinare i criteri di chiarezza e sinteticità degli atti processuali, come previsto dall’articolo 46 delle disp. att. c.p.c. come modificato dal D.lgs n.149/2022 in attuazione della L. 206/2021 (c.d. Riforma Cartabia) che prevede spetti al Ministero della Giustizia definire, con decreto, gli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo.  Come si legge dalla nota di accompagnamento, lo schema di decreto avrebbe dovuto acquistare efficacia dal 30 giugno del 2023 per rispettare gli impegni assunti con il PNRR.  Tuttavia, il 5 luglio il Sole24ore ha dato notizia della decisione del Ministero della Giustizia di far slittare la data di entrata in vigore al 1° settembre, specificando, inoltre, che il provvedimento riguarderà solo gli atti giudiziari relativi alle controversie con valore inferiore a 500mila euro. Sembrano essere state quindi accolte le aspre critiche e le indicazioni dell’avvocatura, anche se prima di cantar vittoria sarà necessario prendere visione del testo definitivo.

  1. Lo schema di regolamento del Ministero della Giustizia 

Lo schema di regolamento ministeriale si divide in due parti: la prima riguarda la definizione di criteri redazionali degli atti processuali, la seconda invece fa riferimento alla declinazione dei c.d. limiti dimensionali. In poche parole, una parte ci dice come scrivere, l’altra ci dice entro quali limiti scrivere l’atto difensivo. Inoltre, il regolamento è accompagnato da una relazione illustrativa che intende spiegarne il contenuto. 

Lo schema di decreto si compone di 12 articoli. All’articolo 3 viene circoscritto il concetto di sinteticità all’osservanza di limiti di caratteri. Nello specifico, gli avvocati e pubblici ministeri, sono invitati ad osservare i seguenti limiti: 

  • 50.000 caratteri, corrispondenti a 25 pagine circa, per l’atto di citazione, il ricorso, la comparsa di risposta, la memoria difensiva gli atti di intervento e di chiamata di terzi, comparse e note conclusionali, e atti introduttivi dei giudizi di impugnazione;
  • 25.000 caratteri, equivalenti a 13 pagine, quanto alle memorie e alle repliche e, in generale, a tutti gli atti di giudizio;
  • 4.000 caratteri, due pagine, per le note scritte in sostituzione dell’udienza, secondo quanto previsto dall’articolo 127 ter del Codice di procedura civile, quando non è necessario svolgere attività difensive possibili soltanto all’udienza; 

I sopracitati limiti dimensionali, si precisa all’articolo 5, possono essere superati solo se la controversia presenta particolari complessità in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti. In tal caso spetterà al difensore esporre sinteticamente nell’atto le ragioni per le quali si è reso necessario il superamento dei limiti, le stesse ragioni “saranno successivamente oggetto di un sindacato di ragionevolezza da parte del giudice”. Si aggiunge poi che: “Nel caso di superamento dei limiti dimensionali è previsto che dopo l’intestazione il difensore inserisca un indice, preferibilmente con collegamenti ipertestuali, e una sintesi del contenuto dell’atto”. 

Tra i criteri di redazione degli atti, invece, è previsto, tra gli altri, un numero di “parole chiave” non superiore a 10 per individuare l’oggetto del giudizio. Inoltre, i documenti prodotti devono essere riportati con la stessa numerazione e denominazione presente nel corpo dell’atto e, preferibilmente, consultabili tramite collegamento ipertestuale. 

Il decreto prevede anche tecniche redazionali specifiche: interlinea di 1,5, margini orizzontali e verticali di 2,5 cm. Con riguardo alle note, si puntualizza che sono ammesse solo per l’indicazione di precedenti o di riferimenti dottrinali, ma non è ammessa la trascrizione integrale nelle note del contenuto dei precedenti o della dottrina richiamata. Addirittura, la relazione illustrativa prevede che questo divieto di note avrebbe carattere prescrittivo. Termine che lascia perplessi, soprattutto perché lo schema di decreto specifica che la violazione dei criteri redazionali non comporta l’inammissibilità.

Infine, è prevista l’istituzione, presso l'Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, di un osservatorio permanente sulla funzionalità dei criteri redazionali e dei limiti dimensionali stabiliti dal Regolamento per poter rispettare il principio di chiarezza. 

  1. Sinteticità e chiarezza: due soluzioni di sanzionabilità 

Lo schema di relazione ministeriale in esame è l’ultimo tassello del percorso di definizione dei concetti di sinteticità e chiarezza. La relazione rappresenta infatti l’approdo, o comunque un’importante tappa, di un percorso che affonda le radici nel 2012, quando il principio di sinteticità è stato via via enucleato dalla giurisprudenza. Emblematica sul punto è stata la sentenza 11199/2012 con cui la Cassazione ha riconosciuto l’esistenza nel nostro sistema processuale di un preciso dovere per le parti di rispettare i canoni della sinteticità espositiva, per garantire l’effettività applicativa degli artt. 24 e 111 della Cost., in coerenza con l’art. 6 della CEDU. 

Nello specifico, lo schema di DM intende dare attuazione al novellato articolo 46 delle disposizioni di attuazione al Codice di procedura civile, rubricato “Forma e criteri di redazione degli atti giudiziari” che, appunto, prevede che spetti al Ministero della Giustizia fissare i limiti dimensionali degli atti processuali in ossequio al principio di sinteticità degli atti nel processo civile, introdotto dal nuovo articolo 121 del c.p.c. Sebbene la relazione ministeriale incida parecchio sul modus operandi degli avvocati, conformemente a quanto stabilito dalla legge delega n.206 del 2021 all’art.1 comma, 17, lettera e), le eventuali violazioni dei limiti dimensionali non possono comportare invalidità degli atti processuali, anche se possono essere prese in considerazione dal giudice ai fini della liquidazione delle spese di lite. 

Si deve intendere, dunque, che il mancato rispetto delle specifiche tecniche redazionali degli atti non precluda l’esame di merito della domanda da parte del giudice. 

D’altra parte, una potenziale previsione della sanzione di inammissibilità sarebbe stata incoerente con il dettato di legge e incostituzionale poiché avrebbe inciso sul diritto di azione o di difesa. Per di più, avrebbe difficilmente superato il vaglio della Corte EDU che, nel 2021, ha affermato che violano l’art.6, comma 1 della CEDU, le interpretazioni eccessivamente formalistiche dei requisiti di ammissibilità prescritti per il ricorso per Cassazione. Della stessa opinione anche la Corte di Cassazione che, nella Relazione del 1° dicembre 2021, ha chiarito che l’eccessiva lunghezza dell’atto non possa determinare, di per sé sola, l’inammissibilità. 

Naturalmente, il discorso cambia in riferimento al principio di chiarezza che presenta un profilo di sanzionabilità diverso. I due criteri, infatti, risultano distinti, sebbene correlati: è chiaro un testo univocamente intellegibile, mentre è sintetico quando è “scevro di ripetizioni e verbosità”. Alla luce di tale distinzione, il divieto della sanzione di invalidità dell’atto di cui l’art. 46 delle disp. att. c.p.c. riguarda i soli casi di mancato rispetto del principio di sinteticità, mentre, la mancanza di chiarezza può determinare nullità qualora sia tale da rendere assolutamente incerto il petitum o la causa petendi. 

Per dovere di completezza si segnala che questo quadro di sanzionabilità vale per i gradi di merito, ma non in Cassazione. Si ricordi che in Cassazione i criteri di redazione, ma soprattutto la chiarezza e la sinteticità, possono essere fonte di inammissibilità del ricorso per violazione del numero 3 dell’art. 366 c.p.c., il quale prevede che “il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso”.

Da ultimo, si tenga presente che il rispetto dei criteri di redazione e dei limiti dimensionali può essere valutato dal giudice anche come indice di pregio dell’attività del difensore. In effetti, il difensore può chiedere un aumento del 30% se scrive atti sintetici e chiari, ai sensi del DM n. 55 del 2014. Al riguardo si segnala il recente Protocollo stipulato tra gli organi di vertice della Cassazione e il CNF il 2 marzo 2023 in cui si legge chiaramente : “L’uso di particolari tecniche di redazione degli atti  (in particolare quando consentano la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto), tali da agevolarne la consultazione e la fruizione al magistrato e alle altre parti del processo, comporta l’aumento del compenso professionale, ai sensi dell’art. 4 comma 1-bis, del d.m. 10 marzo 2014, n.55”. 

  1. Deroghe alla sinteticità

La violazione dei limiti dimensionali ministeriali non è priva di conseguenze, dal momento in cui sono previste delle penalizzazioni in termini di liquidazione di spese processuali. Rimane tuttavia da valutare se sia concretamente possibile prestabilire in via generale la lunghezza degli atti. Le controversie, infatti, risultano estremamente eterogenee per complessità e quantità di fatti e questioni giuridiche che, a loro volta, non sono a priori prevedibili al momento dell’istaurazione del processo. 

A tal proposito il Ministero della Giustizia concede al difensore di derogare ai limiti dimensionali quando la controversia presenta questioni di particolare complessità, in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o per la natura degli interessi coinvolti. Tali parametri non sono precisi, forse inevitabilmente, in quanto entro quali confini debba intendersi il concetto di complessità non è dato sapere. In effetti, la bozza di DM non fa altro che duplicare il disposto dell’art. 46 disp. att. c.p.c. senza nulla aggiungere. Preso nota della criticità della questione il Ministero della Giustizia ha chiarito, ex post, che sono considerate di per sé complesse le controversie al di sopra di 500.000 euro e come tali escluse dall’ambito applicativo del presente decreto. Ma quando la controversia è al di sotto del summenzionato valore in euro? Per rispondere al quesito potrebbe essere interessante ricostruire il concetto di complessità a livello giurisprudenziale al fine di evitare di incorrere nelle spese processuali previste in caso di trasgressione dei limiti dimensionali.

Ad esempio, il 7 giugno di quest’anno la Cassazione ha ritenuto un giudizio di complessità superiore alla media quello che vedeva oltre 90 parti. 

È utile ricordare che nel processo amministrativo i principi di sinteticità e di chiarezza espositiva sono radicati nell’articolo 3, c.2 del c.p.a. (D.lgs 104/2010) che recita: “Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione”.  Per di più, ai sensi dell’art.6 comma 2 del Decreto del Presidente del Consiglio di Stato n.167 del 2016, la parte che per esigenze difensive necessiti di esporre le sue argomentazioni superando i limiti dimensionali scolpiti dall’art.3, deve domandare un’apposita autorizzazione formulando un’istanza motivata “in calce allo schema di ricorso” sulla quale il Presidente o il magistrato delegato si pronuncia con decreto entro i tre giorni successivi. L’art. 7 del precitato decreto del Presidente del Consiglio di Stato prevede, inoltre, che “in caso di superamento dei limiti dimensionali non autorizzato preventivamente ai sensi dell’articolo 6” del decreto medesimo “per gravi e giustificati motivi il giudice, su istanza della parte interessata, può successivamente autorizzare, in tutto o in parte, l'avvenuto superamento dei limiti dimensionali”. Inoltre, l’articolo 13 ter delle norme di attuazione del c.p.a. sanziona in termini di “inutilizzabilità” il superamento non autorizzato dei limiti dimensionali, quando la violazione dei limiti sia tale da compromettere l’esame tempestivo e l’intelligibilità della domanda.  

Al riguardo, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto non particolarmente complessa una controversia riguardo l’illegittimità del silenzio inadempimento mantenuto dall’Amministrazione comunale sulla denuncia di abusività di alcuni lavori di ampliamento e sopraelevazione. Il Consiglio di Stato, infatti, ha ritenuto che la questione non presentasse analisi tecniche particolarmente complesse, né fondamentali interessi economici e sociali tali da giustificare il superamento dei limiti dimensionali fissati dal decreto del Presidente del Consiglio dello Stato del 22 dicembre 2016, n.167. In questo senso, si è precisato che la redazione chiara e sintetica degli atti fosse derimente per l’assunzione di decisioni consapevoli e approfondite. 

Nel 2021, invece, il Presidente del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento ha riconosciuto la possibilità di superare i limiti dimensionali dei ricorsi in materia di obbligo vaccinale (contro il Covid-19), in quanto ricorsi che attengono a “interessi sostanziali di particolare rilievo anche economico, politico e sociale” e che riguardano la “tutela di diritti civili, sociali e politici (…) si straordinario rilievo, tale da non permettere un’adeguata tutela nel rispetto dei limiti dimensionali”. 

Ad ogni modo, in mancanza di una norma specifica che indichi le motivazioni che garantiscano il superamento dei limiti dimensionali, spetterà al difensore autocertificare di poter sforare i limiti alla luce delle caratteristiche della controversia, ma se la sua argomentazione non è particolarmente forte o, semplicemente, non è condivisa, può incorrere nelle spese processuali. Pertanto, per evitare tali conseguenze, il difensore sarà indotto a rientrare nei limiti dimensionali, anche se in alcuni casi potrebbe risultare particolarmente ostico. 

Sul punto, quindi, lo schema di DM sembra attribuire una forte responsabilità all’avvocato che deve indicare chiaramente, ma sempre sinteticamente, le ragioni per cui intende superare i limiti. 

Interessante, al riguardo, è notare che in ambito civile non è stato previsto il beneplacito del giudice per procedere al superamento dei limiti. 

In conclusione, quindi, il vulnus nella disciplina civilista è la forte incertezza che ruota intorno al mancato rispetto dei limiti dimensionali. Allo stato attuale grava, infatti, sull’avvocato il compito di indicare le motivazioni per le quali si rende necessaria la trasgressione. Decisione che, ha spiegato il Ministro Nordio, l’avvocato potrà prendere liberamente quando non si trova nelle condizioni di poter rispettare i parametri fissati. Si tratta in ogni caso di un concetto di libertà relativo, stante la decisione finale del giudice cui spetta se condividere o meno le ragioni dell’avvocato. 

Conclusioni

Alla luce delle importanti conseguenze che l’introduzione in ambito civilistico di limiti dimensionali potrebbe avere sull’esercizio del diritto di difesa, il mondo forense ha sottolineato la necessità di modificare il regolamento “tenendo conto che gli obiettivi di sinteticità e chiarezza possono essere raggiunti solo con la partecipazione consapevole e motivata delle parti coinvolte”. 

Tale esigenza sembra essere stata presa in considerazione dal Ministro Nordio che, a seguito dell’incontro con il presidente Greco del CNF, ha espresso la disponibilità di rivedere il testo del provvedimento tenendo conto delle critiche mosse dagli avvocati, soprattutto al fine di garantire un adeguato rispetto del diritto di difesa. Per di più sembra essere stata accolta con favore la proposta del Consiglio Nazionale Forense di includere sia all’interno dell’Osservatorio permanente sulla vigilanza dei limiti dimensionali istituito presso il Ministero della Giustizia, sia all’interno della struttura stessa del Ministero, anche rappresentanti degli avvocati.  Ad ogni modo, occorrerà aspettare che venga pubblicato il testo definitivo del decreto ministeriale per verificare che tali modifiche siano state effettivamente prese in considerazione. 

Di non banale importanza è stata, invece, la scelta di rimandare a settembre l’entrata in vigore del provvedimento, permettendo di digerire il duro colpo imposto dallo schema di decreto ministeriale e di acquisire maggiore consapevolezza, sebbene si tratti di un tempo limitato non ancora congruo a garantire, ad esempio, la creazione di percorsi formativi specifici per gli avvocati. 

La sinteticità e la chiarezza dovrebbero infatti essere un obiettivo culturale, non un sistema di numerazione di caratteri e pagine. Il concetto di sinteticità più che assegnato ad un sistema cogente dovrebbe essere previsto da norme di principio che evitino la compressione del diritto alla difesa. Inoltre, circoscrivere la sinteticità ad un mero calcolo di numeri e caratteri presuppone un uso costante di Word, limitando la discrezionalità del difensore nella stesura dell’atto. 

 

In allegato l'articolo integrale con note.


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