Così mi sono abituato a presentare la materia, agli studenti: la maggior parte degli interrogativi non trova soluzioni prefabbricate, nel codice; spetta a noi usare la testa.
Sensibilità ai dettagli, ai microcosmi; il bravo sarto appunto. Ad esempio: potrà un infermo di mente, al pronto soccorso, dire lui ai dottori cosa va fatto del suo piede sanguinante, del suo naso? Entro spesso in argomento con questa domanda; dall’aula si levano indicazioni contrastanti, prevalgono i no di solito: se è “matto” non può essere lui a decidere. Di regola sì invece, riprendo, sarà la sua, sempre che non sia “saltato” del tutto, l’indicazione operativa che vale.
Così dobbiamo abituarci a ragionare: anche nelle creature con una diagnosi psichiatrica, non proprio estrema, le parti “colpite” sono alcune soltanto. Occorrerà vedere, ogni volta, se il problema “inerisca” a una delle zone guaste, malandate internamente; a seconda dell’esito, verrà rimessa o no la facoltà di scelta all’interessato.
Già la legge prevede – ma è soltanto un esempio - che la decisione se abortire o meno la prenda la donna, pur se interdetta (art. 12, l. 194/78); e sarà sempre il paziente, schizofrenico o meno, a decidere lui il colore della nuova dentiera, a rifiutare eventualmente l’anestesia per l’otturazione di una carie. All’opposto, un malato che accusi ossessioni patologiche, in merito al proprio stomaco, con deliri e allucinazioni, difficilmente verrà lasciato a decidere se e come operarsi a quell’organo, in ospedale.