Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  26/09/2023

Bimba morta di stenti, la madre in Tribunale: "L'ho lasciata sola alcune volte, pensavo che i biberon bastassero"

Alessia Pifferi, mamma della bimba di 18 mesi deceduta dopo esser stata lasciata 6 giorni in casa da sola, è accusata di omicidio volontario aggravato

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«Le chiedo gentilmente di non sgridarmi» ripete in aula Alessia Pifferi, incalzata dalle domande della procura. «Pensavo che un biberon le sarebbe bastato», dice con un tono pacato, quasi sempre uguale, per le quasi quattro ore di interrogatorio la trentasettenne accusata di aver lasciato morire di stenti la sua bimba, la piccola Diana, di soli 18 mesi, per sei lunghi giorni su un lettino da campeggio. Ha un blazer bianco sulle spalle, un rosario nero al collo. Il trucco marcato e i capelli raccolti la fanno apparire più grande di almeno dieci anni. «Le chiedo di non sgridarmi», ripete. Non vuole confermare quel che ha detto quando è stata arrestata, che sapeva che da sola in casa la piccola sarebbe anche potuta morire.

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«Quando sono rientrata in casa quella mattina - era il 20 luglio del 2022, ndr. - sono andata diretta da mia figlia, l’ho accarezzata, ho capito subito che qualcosa non andava, non giocava come le altre volte. Ho tentato di rianimarla, le ho fatto il massaggio cardiaco, l’ho presa in braccio, le ho dato qualche pacca sulla schiena, l’ho portata in bagno e ho provato a bagnarle i piedini, le manine, il viso e la testa. Poi l’ho rimessa nel lettino, le ho spruzzato acqua in bocca ma non si riprendeva. Sono corsa a chiamare una vicina di casa. Mi sono messa a piangere, ero sotto choc». Pifferi ammette di aver mentito all’inizio anche alla vicina: «Le ho detto che l’avevo lasciata con la baby sitter». Ma non spiega il perché di quella bugia. Dice che si è resa conto di quel che era successo solo con l’aiuto delle psicologhe che la seguono in carcere. Che, grazie a loro, avrebbe capito tutto quello che ha sbagliato. A partire dalla relazione col compagno Mario D’Ambrosio, con cui aveva trascorso quei sei giorni a Leffe, in provincia di Bergamo, mentre Diana era in casa da sola: «Non gli ho detto nulla perché avevo paura di lui, della sua reazione».

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Se la prende con tutti, anche con gli investigatori, che l’avrebbero «trattata malissimo, facendomi sentire sotto accusa» quando l’hanno fermata e accompagnata in questura. Alle domande dei pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro, ammette di aver lasciato altre volte la bimba da sola in casa, per meno tempo “ma non era mai successo niente”. Continua a dire: «Quando Diana è nata non mi ero accorta di essere incinta». Sostiene: «In carcere vivo alla giornata ma vivo malissimo, la mia bambina mi manca. Noi stavamo sempre insieme, veniva anche in bagno con me». Dice che le psicologhe in prigione le hanno riscontrato un ritardo cognitivo che aveva sin da bambina.

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Pifferi ammette anche di aver inviato foto della bimba a uomini conosciuti su siti di incontri, «ma solo perché li frequentavo, ero orgogliosa di lei». Spiega di aver vissuto sempre con pochi soldi, di aver offerto prestazioni sessuali a pagamento «tre volte, per arrotondare, ma mai alla presenza di Diana che era chiusa nella sua stanza». Chiede «perdono» per quel che ha fatto ma al pentimento non crede la sua famiglia, la sorella Viviana, in aula, che con la madre si è costituita parte civile contro di lei: «Per lei la colpa è sempre degli altri. Ha recitato per tutta la vita




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