-  Cristofari Riccardo  -  13/12/2015

ADEMPIMENTO DEL TERZO - Riccardo CRISTOFARI

ADEMPIMENTO DEL TERZO (ART. 1180 C.C.)

 

Sommario: 1. Prima descrizione del fenomeno - 2. (A) Posizione del creditore - 3. (a) Ricevimento dell"offerta proveniente dal terzo. Problema da risolvere - 3.1. Genesi delle situazioni di vantaggio - 3.2. Interesse in senso «soggettivo» - 3.3. Risposta al problema sollevato - 3.4. Surrogazione del terzo per volontà del creditore (art. 1201 c.c.) e ex lege (art. 1203, n. 1, c.c.) - 4. (b) Rifiuto dell"offerta proveniente dal terzo. Prime questioni - 4.1. Rifiuto sorretto da un «giustificato motivo» - 4.1.1. Stato del dibattito intorno all"identificazione dell"«interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione» - 4.1.2. Rapido sguardo alla casistica - 4.2. Rifiuto «ingiustificato». Conseguenze - 5. (B) Posizione del terzo - 5.1. (a) Identificazione della figura del terzo - 5.1.1. Adempimento del terzo e delegazione di pagamento - 5.1.2. Adempimento del terzo e indebito soggettivo - 5.2. (b) Natura dell"intervento del terzo - 5.3. (c) Qualificazione della posizione del terzo sotto il profilo delle situazioni soggettive - 6. (C) Posizione del debitore - 6.1. Interessi del debitore e problemi di qualificazione. Interesse alla liberazione dal vincolo - 6.1.1. Interesse a liberarsi di persona - 6.2. Debitore e terzo.

 

1. Prima descrizione del fenomeno.

 

La disposizione in esame disciplina una particolare vicenda, che vede protagonisti il creditore e il debitore, ma, soprattutto, un altro soggetto, al quale è assegnato il nome di «terzo». È, infatti, dall"iniziativa di quest"ultimo che si sviluppa quel particolare fenomeno che prende il nome di «adempimento del terzo», ma che, è bene dirlo subito, vero adempimento non è, dato che tale è solo quello posto in essere dal debitore o dal suo rappresentante, legale o volontario.

A ciascuno dei soggetti indicati, l"art. 1180 c.c. assegna un preciso ruolo.

Al terzo, che rappresenta, per così dire, l"«attore principale», è consentito intervenire su di un rapporto altrui, senza esservi obbligato, per soddisfare l"interesse del creditore. Di fronte a tale "invasione di campo", al titolare del credito è data la facoltà di accettare l"offerta proveniente dal terzo oppure di rifiutarla qualora abbia interesse a che la prestazione sia adempiuta personalmente dal debitore. Al quale, invece, è assegnata una parte del tutto marginale, potendo soltanto manifestare «la sua opposizione», così integrando l"altra delle condizioni che legittima il comportamento negativo del creditore.

Alla descrizione, per sommi capi, del fenomeno considerato è opportuno far seguire l"esame separato della posizione di ciascuno dei soggetti coinvolti, prendendo le mosse, per esigenze espositive, da quella del creditore.

 

2. (A) Posizione del creditore.

 

Il creditore, come già si è accennato, si trova nell"alternativa o (a) di ricevere l"offerta proveniente da persona diversa dal debitore oppure (b) di rifiutarla.

Le due ipotesi sollevano questioni diverse e, pertanto, richiedono un esame separato.

 

3. (a) Ricevimento dell"offerta proveniente dal terzo. Problema da risolvere.

 

Su questo versante, il problema che si pone all"interprete è, innanzitutto, quello di stabilire se, nel momento in cui il creditore riceva l"offerta proveniente dal terzo, ad essere soddisfatto sia il credito o, piuttosto, l"interesse del creditore.

Per far questo, è opportuno concentrare l"attenzione sulla genesi delle situazioni di vantaggio e, dunque, anche del diritto soggettivo di credito.

 

3.1. Genesi delle situazioni di vantaggio.

 

Il discorso deve prendere le mosse dal «bisogno» («entità pregiuridica, risultato della razionalizzazione dell"istinto individuale»), il quale viene trasformato in interesse («entità giuridica») dalla norma, che ne consente l"affacciarsi sulla scena dell"ordinamento dove ottenere riconoscimento e tutela. Attraverso la «forza corroboratrice della norma», il «bisogno» diventa «interesse», perdendo quel connotato di «soggettività» che non può essere assegnato a ciò che costituisce il risultato di tale trasformazione. L"interesse, nel suo significato di «rapporto di tensione tra un soggetto ed un bene»,

 

« non può dunque che essere inteso in senso oggettivo in quanto interesse tipico» (ad esempio: a godere e disporre della cosa, come nella proprietà; ad ottenere la prestazione dovuta, come nel credito) perché astrattamente identificato dalla norma e pertanto rilevante per il diritto in quella che ne costituisce la funzione di regola ordinante e di criterio risolutore di possibili conflitti »

(Bigliazzi Geri 1999, 537).

 

Ciò detto, è sul ruolo svolto dall"«interesse» all"interno del procedimento genetico delle situazioni di vantaggio e, in particolare, del diritto soggettivo, che occorre, ai nostri fini, concentrare l"attenzione.

Si tratta di una problematica che, soprattutto nei primi decenni del secolo scorso, ha dato luogo ad un vivace dibattito nella letteratura civilistica. A chi sosteneva che l"interesse, «attraverso il procedimento di assorbimento della norma», non potesse che risultare trasformato in un «potere» del soggetto, si contrapponeva chi, invece, riteneva tale costruzione frutto di una «grave confusione concettuale»:

 

« non si riesce in realtà a comprendere come la nozione di interesse – che indica una relazione di tensione tra un soggetto e un bene –, a un certo momento, passando attraverso la corrente corroboratrice della norma, si possa trasformare al punto da esprimere un concetto totalmente diverso. Potere infatti non è più situazione di attesa – cioè sostanzialmente situazione di incompletezza – ma situazione finale, superamento del rapporto di tensione che è rappresentato dall"interesse. Questo rappresenta una posizione di partenza, quello invece una posizione di arrivo. E l"interesse non appartiene al contenuto del diritto soggettivo, proprio perché questo costituisce una posizione finale del soggetto »

(Natoli 1943, 42, 44).

 

Sul tema si è soffermata, di recente, una dottrina in un noto contributo dedicato all"interesse legittimo nel diritto privato. I risultati raggiunti appaiono persuasivi e possono essere, per quello che qui interessa, così sintetizzati.

La costruzione suggerita muove dalla definizione di diritto soggettivo inteso come «situazione strutturalmente caratterizzata da un agĕre licēre destinato, sotto il profilo del contenuto, a tradursi in facultas agendi», dalla quale prende però le distanze quanto al ruolo svolto dall"interesse rispetto alle situazioni di vantaggio – e, dunque, anche rispetto al diritto soggettivo – e quanto all"esito finale della «trasformazione» subita dall"interesse.

Si ritiene infatti, per un verso, che l"interesse-presupposto iniziale e la situazione-conseguenza non siano due «entità distinte» [di cui una (interesse) esterna rispetto all"altra (il diritto o altra situazione di vantaggio)], ma solo due «momenti» (iniziale l"uno, finale l"altro) di una stessa entità (l"interesse) in «fase di maturazione»:

 

«se, a livello descrittivo, si può continuare a definire l"interesse come situazione presupposto iniziale di ciò che viene indicata come situazione-conseguenza, tutto ciò non dovrebbe significare enucleazione di entità distinte, di cui una (interesse) esterna rispetto all"altra (il diritto o altra situazione di vantaggio), ma solo identificazione di due momenti (iniziale l"uno, finale l"altro) di una stessa entità (l"interesse) in fase di maturazione. In questa prospettiva, dovrebbe infatti essere l"interesse che ho già detto oggettivo e tipico ad assumere consistenza di diritto (o di altra situazione di vantaggio) nel momento in cui, verificatosi il fatto astrattamente previsto dalla norma, esso abbia affrontato e superato il processo di qualificazione, sì da assumere in concreto la veste che, per come destinato a realizzarsi, la norma stessa gli assegna. Interesse che parrebbe per ciò stesso appartenere al contenuto della (perché esso stesso divenuto) situazione cosiddetta conseguenza»

(Bigliazzi Geri 1999, 539).

 

Per l"altro, che il diritto soggettivo costituisca, a propria volta, situazione di attesa, traducibile «in termini non di attualità, ma di potenzialità, costante espressione di quella «relazione di tensione» tra un soggetto ed un bene (dove per bene si intende «qualsiasi entità materiale o immateriale capace di soddisfare un bisogno al di là di valutazioni in chiave economica o più tipicamente patrimonialistica dello stesso») già propria dell"interesse e che è destinata a «venir meno» soltanto attraverso l"utile esercizio del «potere» e, dunque, con l"estinzione sattisfattiva del diritto:

 

« se diritto soggettivo è "potere" finalizzato al soddisfacimento dell"interesse non è a dire, intanto, che l""incompletezza" dell"interesse, quando corroborato dalla norma ed arricchito del "potere", si trasformi in "completezza" sino al punto da tradursi in "un concetto totalmente diverso"; che diritto soggettivo non costituisca a propria volta situazione per così dire di attesa (non, si badi, situazione inerte, come, ad esempio, l"aspettativa) perché traducibile in termini non di attualità, ma di potenzialità, costante espressione di quella tale "relazione di tensione": relazione (di tensione) che potrebbe venir meno nei casi in cui, con l"utile esercizio del "potere", si dovesse assistere alla definitiva realizzazione dell"interesse e pertanto all"estinzione satisfativa del diritto (come, nei rapporti ad esecuzione istantanea, accade ad esempio nel credito a seguito dell"esercizio della pretesa seguita dall"esatto adempimento); che non può che riproporsi senza soluzione di continuità nei casi in cui si abbia a che fare con interessi la cui prerogativa sia quella di tendere al conseguimento di un"utilità che non si esaurisca uno actu (come accade nei diritti reali e nei diritti attinenti alla persona). E situazione ("di attesa") destinata ad essere violata nel momento in cui un altrui comportamento non jure (sia poi quello della controparte di un rapporto obbligatorio o di un terzo) dovesse trasformare potenzialità in impossibilità (temporanea o definitiva) »

(Bigliazzi Geri 1999, 538).

 

La conclusione raggiunta è, dunque, nel senso che attraverso il procedimento di qualificazione, l"interesse si «trasforma» in situazione di vantaggio. Sicché «vi è perfetta compenetrazione tra situazione di vantaggio ed interesse.

 

« Il quale, se sta a fondamento del processo di qualificazione operato dalla norma sì da costituire la base sostanziale (o situazione presupposto iniziale) di ciò che si suole indicare come situazione soggettiva-conseguenza, non pertanto si pone come oggetto di protezione o di tutela rispetto alla situazione che protezione o tutela dovrebbe assicurargli, ma si trasforma in tale situazione: grazie alla norma, viene pertanto a trovare in sé i modi del suo soddisfacimento (dipenda, poi, questo dal comportamento dello stesso titolare, di altro soggetto, o dal verificarsi di un fatto futuro, certo od incerto); nell"ordinamento, gli strumenti di reazione alla lesione »

(Bigliazzi Geri 1999, 538).

 

Il che induce a concludere, con riferimento alla «situazione-principe», che

 

« il diritto soggettivo non è né (mero) interesse protetto né strumento di protezione dell"interesse, ma è un interesse che l"ordinamento eleva al rango di situazione di vantaggio conformandola in modo tale da assicurarne il soddisfacimento attraverso l"esercizio di facoltà che vengono a costituirne il nucleo »

(Bigliazzi Geri 1999, 538).

 

3.2. Interesse in senso «soggettivo».

 

Dall"«interesse oggettivo e tipico», per chi si collochi in tale dimensione di pensiero, va tenuto distinto l"«interesse in senso soggettivo», che si pone «quale fattore esterno», non appartenente al contenuto della situazione di vantaggio perché escluso dal procedimento di qualificazione.

Un esempio, avente ad oggetto il diritto soggettivo di credito, dovrebbe valere a chiarire quest"aspetto.

L"interesse (tipico ed in tal senso oggettivo) ad ottenere la prestazione dovuta astrattamente previsto dalla norma è lo stesso interesse (materiale) di Tizio alla prestazione X che sia venuto a concreta esistenza con l"istaurarsi delle condizioni di fatto previste dalla norma nella sua parte ipotetica e che la norma, nella sua parte dispositiva, abbia qualificato come credito. È tale interesse a formare oggetto, appunto, di qualificazione.

Esso, tuttavia, non va confuso con le esigenze personali di Tizio e pertanto con le aspirazioni, gli impulsi, i bisogni e le scelte che, sotto il profilo dell"esercizio della facoltà di pretendere e di quella di disporre (che, assieme all"altra, completa il contenuto del diritto soggettivo di credito) ne determineranno il comportamento rispetto alla prestazione X.

Tali esigenze, benché non irrilevanti sub specie iuris, non costituiscono un interesse destinato ad entrare nel procedimento di qualificazione di ciò che, in virtù di tale procedimento, risulta essere diritto di credito e, in quanto tali, sogliono essere descritte nei termini, appunto, di «interesse in senso soggettivo».

 

3.3. Risposta al problema sollevato.

 

Quanto si è detto in merito alla genesi delle situazioni di vantaggio e, dunque, del diritto soggettivo di credito consente di risolvere il problema posto in inizio nel senso che, nel momento in cui il creditore riceva l"offerta proveniente dal terzo, ad essere soddisfatto non è il credito, bensì l"«interesse soggettivo» del creditore.

E difatti, se, come già si è accennato in sede di prima descrizione del fenomeno disciplinato dall"art. 1180 c.c., si ammetta che il soddisfacimento del credito presupponga l"adempimento da parte del debitore,

 

«ciò dovrebbe significare che l"interesse dalla norma qualificato come credito è quello (oggettivo e tipico) a che la prestazione sia da lui personalmente eseguita. Tant"è che questa è la condizione alla quale la disposizione cit. subordina la legittimità del rifiuto del creditore di fronte all"offerta del terzo ("La prestazione può essere eseguita da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che la prestazione sia eseguita personalmente dal debitore")»

(Bigliazzi Geri 1999, 540 in nota 51).

 

Nel momento in cui il creditore dovesse, invece, ricevere l"offerta, e si ammetta che, in tal modo, ad essere soddisfatto non sia il credito, bensì l"interesse del creditore,

 

« ciò dovrebbe anche significare che l"interesse che viene allora in considerazione non è quello, oggettivo e tipico, che sta alla base del credito, ma un interesse (soggettivo) di costui che non ha formato oggetto di qualificazione normativa e che pertanto non si è fatto credito »

(Bigliazzi Geri 1999, 540 in nota 51).

 

Altrimenti, si è fatto notare,

 

« con l"esecuzione della prestazione da parte del terzo si dovrebbe assistere non solo al soddisfacimento dell"interesse del creditore ma anche al soddisfacimento del credito »

(Bigliazzi Geri 1999, 540 in nota 51).

 

Il quale,

 

« nella fattispecie considerata, risulta invece non sattisfattivamente estinto in virtù di un atto del creditore stesso che, per una scelta affatto personale legata ad un"esigenza (e dunque ad un interesse squisitamente) soggettiva (o), abbia accettato l"offerta proveniente da persona diversa dal debitore »

(Bigliazzi Geri 1999, 540 in nota 51).

 

3.4. Surrogazione del terzo per volontà del creditore (art. 1201 c.c.) e ex lege (art. 1203, n. 1, c.c.).

 

Nell"eventualità in cui il creditore accetti l"offerta proveniente dal terzo, dunque, ad essere soddisfatto è l"«interesse soggettivo» del creditore e non il credito, che, si badi, risulta estinto «non sattisfattivamente» in virtù di un «atto» del creditore.

Può, tuttavia, anche accadere che, nel ricevere l"offerta proveniente da persona diversa dal debitore, il creditore, in modo espresso e contemporaneamente al pagamento, dichiari di surrogare il terzo nei propri diritti (art. 1201 c.c.; si tratta di una specifica manifestazione negoziale, che si concreta in un tipico negozio unilaterale).

In tal caso, non si assiste all"estinzione del credito, bensì ad una modificazione soggettiva dal lato attivo del rapporto: nella titolarità del credito subentra il terzo (la conclusione non è pacifica: vi è chi descrive la surrogazione nei termini di una conseguenza necessaria dell"estinzione dell"obbligazione e attribuisce al pagamento del terzo la stessa efficacia estintiva del pagamento del debitore; non mancano altre costruzioni).

La surrogazione è subordinata ad un «atto libero del creditore».

Il che vale a corroborare la conclusione che vuole l"intervento del terzo ex art. 1180 c.c. finalizzato a soddisfare l"interesse (soggettivo) del creditore.

Rimane da accennare al problema della forma della manifestazione di volontà negoziale del creditore e quella della prova di essa. Poiché

 

«la legge non richiede una forma particolare, si deve ritenere che la volontà di surrogare il terzo nei propri diritti possa essere espressa dal creditore anche oralmente con pienezza di effetti, residuandone una questione di prova che, tuttavia, non sembra possa subire limitazioni almeno direttamente. Non ne subirebbe, infatti, nei rapporti terzo-debitore data la sostanziale estraneità dell"ultimo ai fatti che dovrebbero essere dimostrati. Mentre tra terzo e creditore sarebbe sufficiente, allo stesso effetto, la natura unilaterale dell"atto. Indirettamente potrebbe, tuttavia, influire sulla prova di questo la limitazione posta dall"art. 2726 per la prova del «pagamento», che (…) è un presupposto alla cui (contemporanea) esistenza la validità del negozio di surrogazione è decisamente connessa (ammesso, naturalmente, che la norma citata debba applicarsi anche «al pagamento del terzo», che (…) non è vero e proprio «adempimento»). Sicché, posto che potesse dimostrarsi la manifestazione di volontà necessaria per tale negozio, ma non potesse poi offrirsi la prova documentale del «pagamento» e tale impossibilità non potesse essere altrimenti superata, ne risulterebbe compromessa tutta la situazione del creditore che paga «altro creditore, che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche»

(Natoli 1974, 192).

 

La surrogazione può anche verificarsi ex lege (art. 1203, n. 1, c.c.).

È questo il caso

 

«del creditore che paga "altro creditore, che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche". Si presuppongono, quindi, più rapporti autonomi con lo stesso debitore ed è, appunto, in ragione di tale autonomia che il creditore che paga assume la posizione di terzo ai fini dell"art. 1180»

(Natoli 1974, 191 nota 108).

 

4. (b) Rifiuto dell"offerta proveniente dal terzo. Prime questioni.

 

Rappresenta l"altro corno dell"alternativa che caratterizza il comportamento del creditore di fronte all"intervento del «terzo».

In merito, si può iniziare con l"osservare che al creditore sarà sicuramente consentito rifiutare l"offerta nel caso in cui la «prestazione» non sia «conforme» a quella dovuta dal debitore (artt. 1181 e 1197 c.c.; in giurisprudenza, con riferimento all"art. 1181 c.c., v. Cass. civ., Sez. I, 12 dicembre 1988, n. 6728, Banche dati giuridiche Utet, Platinum, 3, 2008: «l'adempimento del terzo, consentito dall'art. 1180 c. c., in tanto può avere effetto liberatorio per il debitore in quanto la prestazione sia regolarmente effettuata in modo conforme alla obbligazione del debitore, sicché, quando l'adempimento sia parziale, l'accettazione da parte del creditore non estingue il debito, ma semplicemente lo riduce non precludendo conseguentemente al creditore di agire contro il debitore per il pagamento della parte residua del credito»).

Si è fatto notare, che sarebbe contraddittorio

 

«attribuire nella specie rilevanza, a favore del terzo, ad un interesse ad adempiere che non ne avrebbe comunque alcuna, quand"anche la prestazione venisse offerta, ma in modo per l"appunto inesatto, dal debitore»

(Turco 2002, 135).

 

In tale ambito, dovrebbero essere annoverabili anche le ipotesi

 

«in cui l"adempimento offerto dal terzo si presenti già di per sé stesso carente e difettoso, ad esempio perché il terzo non ha capacità di disporre o non è titolare del bene che intende trasferire al creditore»

(Di Majo 1993, 81).

 

4.1. Rifiuto sorretto da un «giustificato motivo».

 

Al creditore, come già si è detto e come è noto, è consentito rifiutare l"offerta del terzo «conforme», nel senso precisato, al contenuto dell"obbligo altrui, qualora abbia «interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione» (altrettanto può fare, come già si è accennato in sede di prima descrizione del fenomeno considerato, nell"eventualità in cui il debitore abbia manifestato la sua opposizione: v. infra §. 6.1.1.).

In questo caso, la sussistenza dell"interesse in questione integra un «giustificato motivo» capace di offrire una valida base al comportamento negativo del creditore (per una meno sommaria descrizione del ruolo che l"interesse del creditore «a che il debitore esegua personalmente la prestazione» gioca nella ricostruzione della posizione del terzo sotto il profilo delle situazioni soggettive, v. infra §. 5.3.).

 

4.1.1. Stato del dibattito intorno all"identificazione dell"«interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione».

 

Salvo quanto si dirà esaminando la posizione del terzo (v., già da ora, infra §. 5.3.), per dare il senso dello stato del dibattito in merito all"identificazione dell"«interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione», occorre prendere le mosse dal dato normativo di riferimento contenuto nel Codice civile italiano del 1865.

Il Codice civile abrogato, come è noto, nell"art. 1239 affermava che «l"obbligazione di fare non può adempiersi da un terzo contro la volontà del creditore, ove questi abbia interesse che sia adempiuta dal debitore medesimo».

La norma, dunque, consentiva al creditore di rifiutare l"offerta del terzo soltanto rispetto alle «obbligazioni di fare» e a condizione che il primo avesse interesse a che la prestazione fosse adempiuta dal debitore.

Tale condizione era fatta coincidere, dalla dottrina del tempo, con l"infungibilità della prestazione di fare dovuta dal debitore (si richiedeva, cioè, che l"attività del debitore fosse l"unico mezzo idoneo a realizzare l"interesse del creditore).

Non mancava, peraltro, chi, nonostante i condizionamenti derivanti dall"espresso riferimento alle obbligazioni di fare, allargava il campo dell"«eccezione» ad altre ipotesi nelle quali l"offerta del terzo si rivelava comunque inidonea ad assicurare la piena e definitiva realizzazione dell"interesse del creditore: tali, ad esempio, quella in cui il creditore potesse essere indotto a ritenere il difetto di legittimazione del terzo a disporre delle cose oggetto del pagamento; ovvero fosse convinto, in conseguenza della scarsa consistenza patrimoniale del terzo, che il pagamento da questo offertogli non sarebbe stato inattaccabile, essendo anzi esposto a possibile revocatoria.

Con il nuovo Codice, come già si è accennato, la situazione, dal punto di vista del dato normativo di riferimento, è mutata. L"attuale art. 1180 c.c. infatti, per un verso, fa riferimento all"obbligazione in genere, estendendo così a tutti i rapporti, indipendentemente dalla natura della prestazione, la possibilità del creditore di respingere l"offerta del terzo; per l"altro, pone quale condizione idonea a costituire una valida base al comportamento negativo del creditore, oltre alla sussistenza di un interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione (1° co.), quella che si sostanzia nell"opposizione manifestata dal debitore all"intervento del terzo (2° co.).

L"influsso dell"originaria formulazione appare evidente nell"impostazione che, anche oggi, tende a ricostruire l"interesse del creditore di cui si discorre rifacendosi a «parametri tradizionali e tendenzialmente astratti, modellati su categorie o classi di rapporti».

Su questo versante, si ritiene che il creditore abbia un interesse a ricevere la prestazione direttamente dal debitore nel caso della prestazione di fare che non consenta la sostituibilità del debitore [si pensi al vestito su misura da confezionarsi dal famoso stilista; per ulteriori esempi, Galgano 2007, 78, e ivi il riferimento all"appalto per la costruzione di un edificio: rispetto al quale non sarebbe indifferente per il creditore che la prestazione assunta dall"appaltatore sia eseguita da un diverso imprenditore; e al rapporto di lavoro: in cui non sarebbe «la stessa cosa che, in luogo del dipendente assunto dall"impresa, si presenti sul posto di lavoro, per adempiere la prestazione, un"altra persona»; si è, però, sostenuto che, ove la prestazione fosse «veramente oggettivamente infungibile», l"offerta di essa ad opera di un terzo rappresenterebbe un aliud pro alio, onde il creditore non avrebbe «neanche l"onere di dimostrare di avere interesse acché il debitore esegua la prestazione personalmente»: Di Majo 1993, 79, il quale estende il medesimo ragionamento anche all"ipotesi di «prestazioni offerte a condizioni diverse (ad es. più onerose)»]; oppure, in quello della prestazione di «dare cose infungibili» (v. sempre Galgano 2007, 78; sul punto, v., però, Turco 2002, 116).

Le richiamate innovazioni apportate dalla nuova formulazione dell"art. 1180 c.c. hanno indotto a svincolare l"indagine dall"angusta prospettiva dell"«interesse tipico-astratto, rapportato a categorie o classi di rapporti» (Di Majo 1993, 79; v. anche Galasso 1974, 53, secondo il quale una valutazione dell"interesse del creditore «non può che farsi caso per caso, in relazione alle concrete circostanze che accompagnano la costituzione e lo svolgimento del rapporto»).

Si è messo in evidenza che l"interesse del creditore deve essere «apprezzabile»: cioè «suscettibile di una valutazione positiva anche sulla base di criteri eminentemente oggettivi» (Natoli 1974, 185).

Per questa strada e sfruttando le indicazioni, già richiamate, suggerite dalla dottrina durante il periodo di vigenza del codice abrogato, si è ritenuto tuttora «apprezzabile» l"interesse del creditore nell"ipotesi in cui «al terzo adempiente non manchino i requisiti per adempiere ma la consistenza patrimoniale di esso non sia tale da assicurare l"inattaccabilità dell"avvenuto pagamento» (Di Majo 1993, 81, il quale esemplifica le ipotesi in cui il terzo si trovi in stato di fallimento o di decozione che prelude al fallimento oppure in condizioni di insolvenza rispetto ad altri creditori; l"A. ritiene, inoltre, che l"interesse del creditore possa essere definito «apprezzabile» anche «allorquando, per effetto dell"adempimento del terzo, esso rischi di perdere la garanzia offerta dal suo originario contraente, ad es. per quanto concerne eventuali vizi del titolo di acquisto del bene che il terzo intende trasferire al creditore»).

 

4.1.2. Rapido sguardo alla casistica.

 

La giurisprudenza non si sottrae ad un attento sindacato volto ad accertare l"esistenza e l"effettiva prevalenza dell"esigenza che, in base alle circostanze e ad una adeguata valutazione degli interessi in gioco, riveli la legittimità del comportamento negativo del creditore.

In una recente sentenza di legittimità (per ulteriori indicazioni di giurisprudenza, v. ad es. Galasso 1974, 54), un interesse del creditore a che la prestazione sia adempiuta dal debitore è stato ravvisato nel fatto che «dall"accettazione dell'adempimento del terzo possano derivare al creditore conseguenze pregiudizievoli».

Il caso riguardava un contratto di locazione di immobile urbano ad uso non abitativo concluso tra la locatrice, Tizia, e la conduttrice, Caia. Quest"ultima si rivolgeva a Tizia, offrendogli il pagamento del canone, e tuttavia ciò faceva non a proprio nome, bensì in qualità di rappresentante legale della società commerciale in nome collettivo, Alfa. Tizia rifiutava l"offerta, deducendo, ai sensi dell"art. 1180 c.c., di avere interesse a che la prestazione fosse adempiuta dalla conduttrice, posto che l'«adempimento», fatto da Caia in nome e per conto della società commerciale, Alfa, avrebbe potuto provocare il cambiamento del regime giuridico della locazione.

Il giudice di primo grado, su richiesta di Tizia, pronunzia la risoluzione del rapporto per inadempimento della conduttrice all"obbligo del pagamento del canone. Dello stesso avviso è anche il giudice di seconde cure, il quale ritiene che Tizia, non accettando, ex art. 1180 c.c., il pagamento del canone che Caia aveva inteso eseguire non in nome proprio, ma quale rappresentante d"una società, «s"era avvalsa d"una facoltà corrispondente ad un suo concreto interesse, giacché ne sarebbe potuto risultare un collegamento della locazione con un"attività commerciale e perciò un suo diverso regime giuridico».

La controversia approda, dunque, in Cassazione, dove a ricorrere è la conduttrice Caia, la quale, per quello che qui interessa, oltre a criticare la decisione impugnata nella parte in cui «il pagamento del canone, eseguito dalla ricorrente in nome della società, è stato ricondotto alla figura dell"adempimento del terzo», lamenta che «l"interesse del creditore deve essere certo, concreto e attuale e che tale interesse mancava dal momento che non v"era stata alcuna innovazione di carattere strettamente normativo tra le parti, né alcun mutamento di destinazione del locale-deposito».

La Corte di Cassazione non si dimostra, però, più duttile del giudice di secondo grado. Constata che

 

«la locazione d'un immobile ad uso di deposito non è da considerare per ciò solo assoggettata alla disciplina delle locazioni per uso commerciale (o meglio a quella parte di tale disciplina che prescinde dall'ulteriore requisito del diretto contatto col pubblico: art. 35 della legge 27 luglio 1978, n. 392): si richiede a tal fine un collegamento spaziale o funzionale con un'attività commerciale»

(Cass. civ., Sez. III, 16 maggio 1994, n. 4750, Banche dati giuridiche Utet, Platinum, 3, 2008).

 

Fa notare, al contempo, che

 

«il collegamento può risultare dal contratto, se in esso sia indicato che il conduttore esercita o si dispone ad esercitare un'attività commerciale per le necessità della quale l'immobile è preso in locazione come deposito»

(Cass. civ., Sez. III, 16 maggio 1994, n. 4750, Banche dati giuridiche Utet, Platinum, 3, 2008).

 

Mentre qualora, come nel caso di specie, ciò non sia

 

«l'assoggettamento del contratto di locazione del deposito al regime giuridico delle locazioni di immobili adibiti ad attività commerciale è possibile in presenza d'un collegamento effettivamente stabilito dal conduttore, se il contratto si presti ad essere tuttavia interpretato nel senso d'aver consentito tale collegamento ed altrimenti quante volte il locatore, venuto a conoscenza del collegamento attuato dal conduttore, non reagisca chiedendo nei termini la risoluzione del contratto (art. 80, 1° e 2° co., l. 27.7.1978, n. 392)»

(Cass. civ., Sez. III, 16 maggio 1994, n. 4750, Banche dati giuridiche Utet, Platinum, 3, 2008).

 

Da ciò ricava che anche il comportamento mantenuto dal locatore nella fase di esecuzione del contratto può assumere rilevanza sotto un duplice aspetto:

 

«come criterio di interpretazione della volontà delle parti manifestatasi nella conclusione del contratto (art. 1362, 2° co., c.c.), come indice della conoscenza del collegamento attuato dal conduttore e perciò della inesperibilità dell'azione di risoluzione (art. 80, 1° e 2° co., l. 392/1978)»

(Cass. civ., Sez. III, 16 maggio 1994, n. 4750, Banche dati giuridiche Utet, Platinum, 3, 2008).

 

Perviene così alla conclusione che l"accettazione del pagamento del canone da parte di Caia, nella veste di rappresentante della società in nome collettivo di cui era socia,

 

«avrebbe potuto esser preso in considerazione per interpretare la volontà manifestata dalle parti nel contratto, nel senso d'aver consentito ad una destinazione del deposito a strumento per l'esercizio dell'attività commerciale svolta dalla stessa conduttrice in forma sociale. Donde la soggezione del contratto al regime – nei limiti indicati – delle locazioni commerciali»

(Cass. civ., Sez. III, 16 maggio 1994, n. 4750, Banche dati giuridiche Utet, Platinum, 3, 2008).

 

Sicché,

 

«mantenere un comportamento contrario, rifiutando l'adempimento proveniente dalla società, rispondeva ad un interesse della locatrice ad escludere che alla sua condotta potesse esser attribuito un significato per lei pregiudizievole in sede di interpretazione del contratto»

(Cass. civ., Sez. III, 16 maggio 1994, n. 4750, Banche dati giuridiche Utet, Platinum, 3, 2008).

 

4.2. Rifiuto «ingiustificato». Conseguenze.

 

Nel caso in cui il rifiuto del creditore non sia sorretto da un «giustificato motivo» (interesse a che il debitore adempia personalmente la prestazione; opposizione del debitore), il terzo può avvalersi dell"istituto della mora del creditore (artt. 1206 ss. c.c.).

La soluzione nel senso indicato, già sostenuta anche sotto il codice civile abrogato (Nicolò 1936, 115), si impone, se solo si tiene conto che l"art. 1180 c.c. consente al terzo di «adempiere» anche contro la volontà del creditore e che la mora di cui agli artt. 1206 ss. c.c. rappresenta l"unico mezzo che consenta di superare l"ostacolo costituito dal rifiuto del creditore (Natoli 1974, 190; per una diversa spiegazione, Falzea 1947, 230).

Va detto, peraltro, che, nel caso in cui a ricorrere agli artt. 1206 ss. sia il «terzo», la procedura mira a realizzare l"interesse (soggettivo) del creditore, quanto meno sul piano giuridico.

Mentre la liberazione del debitore scade

 

«al rango di mera conseguenza ulteriore non priva, del resto, di un certo carattere di eventualità, potendo anche essere esclusa – se non volontà del creditore, a sensi dell"art. 1201, posto che tutto si svolge contro tale volontà – qualora trovi, ad es., applicazione l"art. 1203, n. 1, c.c. e si verifichi ex lege la surrogazione del terzo nel diritto del creditore soddisfatto»

(Natoli 1974, 191).

 

5. (B) Posizione del terzo.

Il terzo, lo si è già ricordato, è, per così dire, l""attore-principale" della vicenda in esame. È dalla sua iniziativa, infatti, che si origina il complesso fenomeno considerato [osserva Navarretta 2000, 408, esaminando in senso critico l"opinione che descrive l"istituto quale caso emblematico di prestazione isolata, che «la coesione fra l"atto esecutivo e una libera determinazione volontaria, in un contesto normativo che di regola esclude la distinzione tra modus e titulus, determina un latente conflitto tra l"aspetto obbligatorio del fenomeno (…) e il profilo negoziale», che pone l"«adempimento del terzo» «in bilico fra atto giuridico in senso stretto ed atto di autonomia privata, fra causalità ed astrazione, fra nullità, indebito oggettivo ed indebito soggettivo »].

Accolta l"opinione, già in più occasioni richiamata, di chi sostiene che il soddisfacimento del credito presupponga l"adempimento da parte del debitore e ammesso, dunque, che il c.d. «adempimento del terzo» si ponga al di fuori della regolare attuazione del rapporto obbligatorio» (per cui, Natoli 1974, 2), dal punto prospettico della posizione di chi esegue il pagamento, le questioni da affrontare, seppur nell"economia del presente lavoro, sono almeno tre: (a) l"identificazione della figura del terzo; (b) l"individuazione della natura dell"intervento del terzo; (c) la qualificazione della posizione del terzo sotto il profilo delle situazioni soggettive.

 

5.1. (a) Identificazione della figura del terzo.

 

Per procedere all"identificazione della figura del «terzo», appare opportuno muovere il discorso dal dato normativo di riferimento contenuto nel Codice civile italiano del 1865.

Il Codice civile abrogato, come è noto, dopo aver affermato nell"art. 1237 che «ogni pagamento presuppone un debito» e che «ciò che è pagato senza essere dovuto, è ripetibile», nell"art. 1238 statuiva, al 1° co., che «le obbligazioni possono estinguersi col pagamento fatto da qualunque persona che vi ha interesse, come da un coobbligato o da un fideiussore»; al 2° co., che le obbligazioni « possono anche essere estinte col pagamento fatto da un terzo che non vi ha interesse, purché questo terzo agisca in nome e per la liberazione del debitore, e, ove agisca in nome proprio, non venga a sottentrare nei diritti del creditore».

In conformità col dato normativo, per persona interessata si intendeva il soggetto che aveva assunto, nei confronti del creditore, la posizione di debitore. Questa ipotesi non poneva problemi, sicché l"attenzione degli interpreti finiva per concentrarsi sulla figura della «persona non interessata». Su tale versante, ugualmente non problematico era considerato il caso del terzo che avesse agito «in nome e per la liberazione del debitore», posto che il rappresentante era un semplice strumento del debitore e l"effetto estintivo conseguiva ad un comune adempimento. L"attenzione era, dunque, rivolta all"altra ipotesi indicata dall"art. 1238, 2° co., c. abr., che era qualificata, a scanso di equivoci, come quella dell"«adempimento del debito altrui» (sull"intera questione, Natoli 1974, 178; Nicolò 1936, 11 ss.), e nella quale l"intervento del terzo era consentito soltanto sul presupposto che da esso il debitore potesse trarne vantaggio: come accadeva qualora il terzo avesse adempiuto in nome proprio e senza alcuna surrogazione nella posizione creditoria (sul punto, Turco 2002, 12).

Con il nuovo codice, come già si è accennato, la situazione, dal punto di vista del dato normativo di riferimento, si è in parte semplificata. L"attuale legislatore, come è noto, ha, infatti, evitato di riprodurre il 1° comma dell"art. 1238 c. abr., limitandosi a specificare che «l"obbligazione può essere adempiuta da un terzo» [la facoltà di surrogare il terzo nei diritti del creditore è rimessa ora al creditore (art. 1201 c.c.) e la surrogazione può anche derivare direttamente dalla legge (art. 1203, n. 1, c.c.): v. retro §§. 3.4.].

Una prima indicazione nel ricostruire la nozione di «terzo» la si ricava ragionando in negativo: terzo è, intanto, colui che non sia titolare delle situazioni contrapposte. Sempre ragionando in negativo, terzo è, anche, chi non abbia assunto la posizione del fideiussore (artt. 1936, 1944) e del (cumulativamente) delegato (art. 1268); nonché quella – di «coobbligato in via solidale» – dell"espromittente (art. 1272) e dell"accollante (art. 1273) (Natoli 1974, 179; cui adde Castronovo 1991, 40; e v. anche, per ulteriori ragguagli, Di Majo 1993, 73).

Rimane da chiedersi se l"aver assunto una delle posizioni indicate sia sempre ostativo al riconoscimento della qualifica di «terzo» ex art. 1180 c.c. o se lo sia solo qualora chi esegue il pagamento non si comporti come un soggetto totalmente estraneo al rapporto, ossia dichiari di agire in virtù di un "vincolo" che già lo leghi al debitore o al creditore in maniera diretta. E la soluzione nel secondo dei sensi indicati sembra quella da preferire (sull"intera questione, Breccia 1991, 441).

Una posizione differenziata, ma pur sempre riconducibile nell"ampia nozione di terzo di cui all"art. 1180 c.c., l"assumono anche coloro che risultino legati al debitore da un rapporto obbligatorio sottostante, che vede il terzo debitore del debitore (Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli e Natoli 1986, 277 nota 55). Sempre ché tale rapporto non assuma alcuna rilevanza all"esterno (ossia nella fase della «prestazione» al creditore; Breccia 1991, 441).

E già si è detto che integra un vero «adempimento» e, dunque, non rientra nell"ambito di applicazione dell"art. 1180 c.c., quello posto in essere dal rappresentante del debitore, legale o volontario, che abbia agito nell"interesse del rappresentato e spendendone il nome [per la negazione della pretesa esistenza di un"autonoma nozione di «potere di rappresentanza» e per la riconduzione del tutto a una situazione di agĕre necesse (obbligo in senso tecnico), Natoli 1977, 42; Papanti-Pelletier 1984, 101 ss.].

In giurisprudenza, ricorre la seguente massima:

 

«si ha adempimento del terzo, quando il suo intervento avviene al di fuori di ogni rapporto di rappresentanza, è spontaneo ed unilaterale, non determinato da precedenti accordi e convenzioni, ed è tale da costituire un sostanziale e formale adempimento dell'obbligazione, in modo che si possa escludere qualsiasi interesse del creditore a pretendere l'adempimento personale dal debitore»

(Cass. civ., 7 luglio 1980, n. 4340; più di recente, App. Roma 24 gennaio 2008, Banche dati giuridiche Utet, Platinum, 3, 2008; per un attento esame dell"atteggiamento giurisprudenziale, Bregoli 1981, 814).

 

5.1.1. Adempimento del terzo e delegazione di pagamento.

 

Nell"art. 1180 c.c., come si è accennato, il terzo interviene «spontaneamente» (e ormai dovrebbe essere chiaro il significato nel quale l"avverbio è utilizzato) a soddisfare l"interesse (soggettivo) del creditore (arg. ex art. 1201 c.c.; v. retro §§. 3.3., 3.4). Tale «direzione» della «prestazione» deve essere debitamente estrinsecata al momento dell"offerta (sul punto, per tutti, Natoli 1974, 179).

Il che vale a differenziare tale istituto dalla delegazione di pagamento (art. 1269, 2° co., c.c.), nella quale il delegato agisce sulla base di un iussum del debitore-delegante (che non determina, di per sé, alcun obbligo a carico del delegato di ottemperarvi) e ai fini, questa volta, della liberazione di costui.

Se, dunque, la «direzione» della «prestazione» è indicata in maniera non equivoca, non vi è modo di ravvisare nella fattispecie gli estremi dello schema regolato dall"art. 1180 c.c.: difatti,

 

«se il delegante si "oppone" al pagamento del delegato, cade il fondamento giustificativo dell"intervento di quest"ultimo, poiché l"opposizione in tale ipotesi ha il significato di una revoca della delegazione (art. 1270) e il creditore non avrebbe più la facoltà di accettare ugualmente il pagamento (come invece avviene nel caso dell"art. 1180, 2° co., c.c.), con la conseguenza, in caso di accettazione del pagamento, di trovarsi esposto all"azione di ripetizione da parte del terzo (il cui pagamento nel difetto della delega resta privo di qualsiasi funzione giustificativa)»

(Breccia 1991, 442).

 

Inoltre, nel caso in cui il terzo, nell"offrire la prestazione, dichiari di voler dare esecuzione alla delega del debitore,

 

« il delegatario non è affatto obbligato a ricevere la prestazione e può benissimo rifiutarla, senza per ciò incorrere in mora accipiendi »

(Schlesinger 1958, 577).

 

Un"ulteriore differenza tra i due istituti è data dal fatto che, mentre l"art. 1201 c.c. legittima il creditore, che riceva il pagamento da un terzo, a surrogare quest"ultimo nei propri diritti contro il debitore,

 

«questa surrogazione è inammissibile quando il terzo agisce come delegato del debitore. Il legislatore, infatti, prevede la facoltà di surroga da parte del creditore sul presupposto che ci sia stato un «pagamento» del terzo: ma quando il solvens agisce per eseguire una delegazione di pagamento, di modo che l"estinzione del credito dell"accipiens rappresenta una conseguenza soltanto indiretta della prestazione del delegato, una surroga a favore di quest"ultimo non appare concepibile. La prestazione effettuata al delegatario è stata provocata dalla delega del debitore, e quindi il solvens deve trovare i mezzi per rivalersi del pagamento compiuto esclusivamente nei rapporti interni con il delegante»

(Schlesinger 1958, 577).

 

5.1.2. Adempimento del terzo e indebito soggettivo.

 

Altrettanto evidenti, almeno a livello concettuale, sono le differenze tra l"adempimento del terzo e l"indebito soggettivo.

Mentre nella fattispecie delineata dall"art. 1180 c.c. il terzo interviene per soddisfare l"interesse del creditore, nel caso dell"indebito soggettivo (art. 2036 c.c.), il solvens agisce nell"erronea convinzione di adempiere ad un debito proprio.

In tale ultimo caso, come è noto, il pagamento sarà ripetibile se eseguito da chi creda di essere debitore in base ad un errore scusabile. Sempre che, peraltro, il creditore non si sia privato, in buona fede (scusabile), del titolo o delle garanzie del credito (art. 2036, 1° co., c.c.). Nel caso in cui la ripetizione non è ammessa, il debitore resta obbligato nei confronti dell"autore del pagamento, il quale subentra per legge nella posizione del creditore (art. 2036, 3° co., c.c.).

Si può concludere con un"ultima considerazione a proposito dell"art. 2036, 3° co., c.c. Trattando della genesi delle situazioni di vantaggio e, dunque, anche del diritto di credito (v. retro §§. 3.1., 3.2.), si è messo in evidenza che nel procedimento di qualificazione normativa, che conduce alla nascita di tale situazione, non entra mai il c.d. «interesse soggettivo», che si pone «quale fattore esterno» non appartenente al contenuto del diritto soggettivo. Sempre in quella sede, si è, però, avvertito che ciò non significa che in alcune ipotesi un simile «interesse» non possa assumere giuridica rilevanza. È quanto si verifica, anche, nella fattispecie considerata, dove ad essere soddisfatto non è, come pure a volte si sostiene, il «credito», bensì l"«interesse soggettivo» del creditore. Se, infatti, ad essere soddisfatto fosse davvero il credito, questo, per ciò solo, si estinguerebbe, e non si vede in che cosa potrebbe subentrare colui che ha effettuato il pagamento.

 

5.2. (b) Natura dell"intervento del terzo.

 

Sul punto, non sussiste convergenza di vedute tra gli interpreti.

A chi descrive il fenomeno nei termini di atto giuridico in senso stretto (v., ad es., Di Majo 1994, 795), si contrappone chi gli assegna natura negoziale (Nicolò 1936, 157; Rescigno 1950, 230; Schlesinger 1957, 61; Natoli 1974, 179; Bessone e D"Angelo 1988, 6; Bianca 1990, 286; Breccia 1991, 439; in quest"ultimo ambito, a chi privilegia la tesi del negozio unilaterale si contrappone chi preferisce descrivere la fattispecie considerata nei termini di contratto: nel primo senso, ad es., Castronovo 1991, 39, il quale esclude la natura contrattuale per il fatto che «l"atto solutorio» possa realizzarsi, per espressa previsione normativa, anche contro la volontà del creditore; in giurisprudenza, Cass. 14 aprile 1969, n. 1194, BBTC, 1970, II, 54; nel secondo, Navarretta 2000, 54, 417, 419 e nota 92, che l"annovera nell"ambito della categoria dei contratti reali, posto che, in essa, la datio apparterrebbe alla stessa fase di perfezionamento dell"atto; con la tesi contrattuale, per l"A., «data la possibilità in alcune ipotesi di un rifiuto legittimo da parte del creditore», si vorrebbe «evitare che la stessa fattispecie possa raffigurarsi come contratto, nei casi appunto in cui può essere fatto valere il rifiuto del creditore, e come negozio unilaterale nelle altre ipotesi»; chi sceglie la via negoziale, è costretto a confrontarsi col tema della causa, quale imprescindibile elemento strutturale dell"atto: sulla complessa questione, che presenta importanti risvolti anche sul piano rimediale, si v. almeno, in vario senso, Giorgianni 1960, 564, 567; Ferri 1966, 397; Scalisi 1978, 105; Moscati 1981, 180; Bianca 1984, 430; Di Majo 1988, 4; Bozzi 1995, 220; Breccia 1999, 3 ss., 41, 153; Navarretta 2000, 1 ss.).

La soluzione, in un senso o nell"altro, non è, com"è intuitivo, priva di conseguenze sul piano pratico e applicativo. Si pensi, volendo fare un solo esempio, al problema del pagamento eseguito dal terzo per violenza, risolvibile, per chi propende per la negozialità, applicando la disciplina relativa all"annullabilità. Disciplina che, invece, non è invocabile qualora si acceda alla tesi dell"atto in senso stretto (sul punto, Navarretta 2000, 415, la quale rileva che, scegliendo la strada da ultimo indicata, sarebbe preclusa pure la possibilità di avvalersi della disciplina concernente l"indebito soggettivo e oggettivo, per carenza dei relativi presupposti).

 

5.3. (c) Qualificazione della posizione del terzo sotto il profilo delle situazioni soggettive.

 

Non par dubbio che, in seguito all"offerta, in capo al terzo sia ravvisabile un «interesse» giuridicamente rilevante a soddisfare le «esigenze soggettive» (v. retro §§. 3.1.-3.3.) del creditore (e non, si badi, alla liberazione del debitore, posto che essa è soltanto eventuale: v. retro §§. 3.4.).

Una diversa conclusione, nel senso di una sua irrilevanza, non spiegherebbe perché la legge subordini la legittimità del rifiuto del creditore, di fronte all"offerta del terzo, alla condizione della sussistenza o di un suo interesse a che la prestazione sia personalmente eseguita dal debitore o dell"opposizione da quest"ultimo manifestata. In assenza della quale, il comportamento del creditore potrebbe andare incontro alla sanzione della mora (artt. 1206 c.c.; conclusione pacifica: Nicolò 1936, 116; Falzea 1947, 229; Natoli e Bigliazzi Geri 1975, 77; nello stesso senso è orientata la giurisprudenza: v. Cass. 15 ottobre 1957, n. 3840, RGC, 1957, Obbligazioni e contratti, n. 16; sul punto, v. retro §. 4.2.).

Ammesso, dunque, che l"interesse del terzo assuma giuridica rilevanza, ciò non significa che esso possa qualificarsi come diritto soggettivo. Come già si è detto analizzando la posizione del creditore, il soddisfacimento dell"interesse del terzo non dipende soltanto dalla «spontanea» iniziativa di costui, ma presuppone anche la collaborazione del creditore che riceva l"offerta o faccia quant"altro indispensabile perché il terzo possa eseguire la «prestazione». Comportamento, quest"ultimo, che se non può costituire il contenuto di un obbligo (di cooperare all"«adempimento del terzo») che si intendesse in tal modo costruire a carico del creditore, posto che un simile obbligo verrebbe ad inquinare il diritto di credito caricando di un colorito di necessità l"essenziale libertà sull"an della situazione; a maggior ragione, non può essere descritto nei termini di «soggezione» [cioè, quale situazione di svantaggio inattiva (anzi, inerte), con la quale si indica la posizione di chi, non risultando portatore di un interesse rilevante, venga a trovarsi, nell"ambito di un rapporto, di fronte ad un altrui diritto potestativo e per mettere in evidenza come il titolare di essa subisca l"esercizio del diritto altrui senza prestarvi collaborazione alcuna e senza potervisi comunque opporre od impedirne gli effetti: in questi termini, Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli e Natoli 1986, 343], che si volesse correlata ad un diritto potestativo del terzo di «adempiere» il debito altrui.

Dovrà, dunque, trattarsi di una rilevanza diversa.

Per coglierne il senso, si può iniziare col far notare che tale rilevanza si arresta di fronte ad un «giustificato motivo» (che, nella fattispecie considerata, si sostanzia, come si è più volte detto e come è noto, nella sussistenza dell"interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione o nell"opposizione del debitore, quale fattore anch"esso idoneo a rendere legittimo il rifiuto) capace di offrire una valida base al comportamento negativo del creditore.

L"accennato interesse, dunque, reagisce sulle modalità dell"esercizio del credito, nel senso, cioè, che non consente al suo titolare di non tener conto anche dell"interesse del terzo. Il che sembra – o, meglio, è sembrato a chi scrive – conferire al «potere» del creditore il colorito della «discrezionalità» e alla posizione del terzo la veste dell"«interesse legittimo» [inteso «quale situazione di vantaggio (sostanziale ed inattiva) che si colloca all"interno di un (vero) rapporto giuridico strutturato nel senso della complementarietà e caratterizzato, al polo opposto, dalla presenza di situazioni attive (nel senso del comportamento): siano poi esse di libertà o di necessità e tuttavia, in ogni caso, discrezionali»; per questa definizione di interesse legittimo, Bigliazzi Geri 1993, 549]. Onde l"ammissibilità di un sindacato anche nel merito da parte del giudice, chiamato ad accertare l"esistenza e l"effettiva prevalenza dell"esigenza (giustificato motivo) che, in base alle circostanze e ad una adeguata valutazione degli interessi in gioco, riveli la legittimità del comportamento negativo del creditore [il che vale sicuramente nell"ipotesi in cui il creditore accampi l"esistenza di un interesse a che il debitore adempia personalmente; mentre, dovrebbe limitarsi, per espressa scelta del legislatore (art. 1180, 2° co., c.c.), alla constatazione della sussistenza dell"opposizione del debitore, nel caso in cui in essa si sostanzi il «giustificato motivo» invocato dal creditore] e, dunque, l"«estinzione» dell"interesse legittimo. Comportamento che, in caso contrario, non potrebbe non risultare «abusivo», dando luogo, allora, alla «lesione» dell"interesse legittimo e alla, consequenziale, facoltà (diritto potestativo) del terzo di provocare la mora del creditore per il tramite dell"offerta formale.

 

6. (C) Posizione del debitore.

Con l"espressione debitore, come si sa, si indica il soggetto titolare dell"obbligo: cioè, di quella tipica situazione attiva, ma di svantaggio, che consiste nella necessità di assumere un determinato comportamento (attivo od omissivo) in vista del soddisfacimento del diritto di credito.

La situazione in questione non costituisce, dunque, la risultante di un autonomo interesse del debitore, ma sorge in capo ad un soggetto, che, come si suole dire, si trova nella «zona del fatto-presupposto» (si pensi, ad esempio, ad un contratto ad effetti obbligatori), ed è strutturata in maniera tale da funzionare da strumento di realizzazione del credito:

 

«il concetto di titolarità esprime il riferimento, in capo al soggetto di diritto, di una situazione soggettiva, sia essa attiva e di vantaggio, come il diritto soggettivo, o attiva, ma di vantaggio, come l"obbligo. Nell"un caso, la titolarità riguarda immediatamente l"interesse che poi la norma qualifica in termini di diritto soggettivo; nell"altro, non si può certo dire che un «autonomo» interesse del debitore costituisca la situazione-presupposto dell"obbligo. Nel procedimento di qualificazione delle situazioni giuridiche soggettive, se si deve ritenere che uno stesso interesse possa contemporaneamente fungere – all"interno di una stessa situazione di fatto od oggettiva – da presupposto di una situazione di vantaggio e di una di svantaggio, ciò è dovuto all"esistenza di un coordinamento tra la prima e la seconda. La quale, nel far capo ad altro soggetto trovatesi nella zona del fatto-presupposto, risultati così struttura da fungere da strumento di realizzazione della prima e dunque a ciò funzionalmente destinata. Che è quanto si riscontra, in particolare, nell"ambito del rapporto obbligatorio, con l"obbligo finalizzato al soddisfacimento del credito e pertanto dell"interesse del titolare del diritto»

(Bigliazzi Geri 2000, 28).

 

6.1. Interessi del debitore e problemi di qualificazione. Interesse alla liberazione dal vincolo.

 

Ciò non toglie, tuttavia, che dall"unicità del fatto-presupposto possano trarre origine

 

«non una, ma due situazioni di interesse, ugualmente idonee a costituire la base di altrettante situazioni di vantaggio e tuttavia diversamente coordinate (non, dunque, nel senso della funzionalità) e riferibili a soggetti diversi. È quanto si verifica quando da quello stesso fatto, oltre all"interesse del creditore – e perciò al credito e all"obbligo – nasca un interesse autonomamente apprezzabile sub specie juris del debitore e la situazione soggettiva frutto della qualificazione normativa di tale interesse si collochi, in aggiunta all"obbligo, in una relazione (non però di funzionalità, ma di complementarietà) con il credito. Situazione che tuttavia non potrebbe mai assumere la veste del diritto soggettivo, ma soltanto quella di una situazione pur sempre di vantaggio, ma inattiva (interesse legittimo)»

(Bigliazzi Geri 2000, 29).

 

È questa l"ipotesi dell"interesse del debitore alla liberazione dal vincolo, la cui rilevanza è ricavata dall"art. 1206 c.c. (mora credendi) e la cui qualificazione in termini di situazione di vantaggio, ma inattiva (interesse legittimo), è motivata sulla base del rilievo secondo cui, riconoscere un diritto del debitore a liberarsi tramite l"adempimento, equivarrebbe a snaturare il diritto del creditore destinato a trasformarsi da situazione di agĕre licēre, di facultas agendi, in situazione di agĕre necesse in vista del soddisfacimento di quell"interesse (Bigliazzi Geri 1999, 556 in nota 145; sul quest"ultimo tema, sebbene con risultati differenti da quelli qui condivisi, si è soffermato, di recente, D"Amico 2004, 77).

 

6.1.1. Interesse a liberarsi di persona.

 

Un ulteriore «interesse» che si tende ad identificare in capo al debitore è rappresentato, nell"ambito dell"istituto dell"adempimento del terzo, da quello del debitore a liberarsi di persona.

Tale «interesse», come è noto, sembra assumere un qualche rilievo per il fatto che al debitore è consentito manifestare la sua «opposizione» al creditore. Il che consente a quest"ultimo di «rifiutare l"adempimento offertogli dal terzo».

È dubbio, tuttavia, se esso possa assumere un"autonoma rilevanza sotto il profilo delle situazioni soggettive.

Di certo, non può essere costruito nei termini di diritto soggettivo, posto che l"«opposizione» del debitore incide sulla posizione del creditore soltanto nel senso di offrire una valida base all"atteggiamento negativo di quest"ultimo, che, a seguito di essa (opposizione), «può», e non certo «deve», rifiutare l"offerta del terzo [sul punto, Natoli 1974, 188, il quale osserva che parlare di «un vero e proprio "diritto illimitato di opposizione" del debitore come qualche volta si è fatto appare del tutto fuor di luogo»: «si può, piuttosto, dire che, accanto alla possibilità di rifiutare l"offerta del terzo nell"interesse proprio (…) si è, così, data al creditore la possibilità di rifiutarla anche nell"interesse del debitore»; «e, questa volta, senza particolari limitazioni salva, naturalmente, quella inerente all"accennata necessità della manifestazione dell"opposizione del debitore»; Bianca 1990, 285; Breccia 1991, 436].

Vi sono, tuttavia, alcune situazioni di fatto nelle quali è parso inappagante per l"interprete limitare la rilevanza dell"interesse in questione a mero fattore che, se consente al creditore di rifiutare l"offerta proveniente da persona diversa dal debitore, non consente di sindacare nel merito la scelta dallo stesso in concreto operata e che, dunque, verrebbe rimessa alla sua incontrollabile discrezionalità (ci si è posti, peraltro, anche il problema inverso: ci si è chiesti, cioè, se la «facoltà del debitore di opporsi» sia «illimitata» o se «debba essere anch"essa controllabile alla stregua di un criterio di «apprezzabilità»: Di Majo 1993, 83).

Ci si potrebbe allora domandare se, per ovviare a tale inconveniente, si possa costruire l"interesse in esame, nonostante l"assenza nella specie di un riferimento del legislatore ad un «giustificato motivo», nei termini di «interesse legittimo». A parte i dubbi, da sciogliere, circa l"utilità di una simile configurazione, si tratterebbe, comunque, di dimostrare che l"interesse del debitore a liberarsi di persona sia davvero tale da fungere da «limite esterno» rispetto al diritto del creditore, sì da influire sul «come» del suo esercizio [si allude alla distinzione fra limiti interni e limiti esterni: «i primi così definiti perché, riconducibili alla stessa ragione giustificativa del «potere», connaturati alla struttura stessa della situazione cui ineriscono (di talché si può dire che essa nasca limitata) e tali da influire, immediatamente ed ab origine, sul suo contenuto e pertanto sul suo esercizio: concorrono infatti alla determinazione quantitativa (sostanziale e/o formale) di esso e segnano il confine oltrepassato il quale potere cessa e si apre la zona dell"impossibilità giuridica. I secondi caratterizzati invece dall"occasionalità della presenza: non riguardano infatti il diritto in sé – in quella cioè che ne costituisce la struttura fisionomica – ma singole situazioni di diritto in circostanze particolari. Si ricollegano infatti alla più o meno occasionale od accidentale coesistenza di situazioni di vantaggio o impongono invece al titolare (nel senso del non potere se non a certe condizioni od in un certo modo) la considerazione anche di un interesse altrui; incidono pertanto non già, ed ab origine, sull"estensione del contenuto ma, una volta, solo sul concreto esercizio del diritto paralizzandolo in varia misura (è il caso dei diritti reali minori rispetto alla proprietà), influendo, l"altra, sul come (cioè sulle modalità) di esso (è il caso dell"interesse legittimo)»: Bigliazzi Geri 1999, 552 in nota 121]. Nel senso, cioè, che questo, pur in mancanza di un"espressa indicazione normativa, ma secondo la logica del sistema, non potrebbe non indirizzarsi anche nella direzione richiesta da esigenze ulteriori rispetto alla sfera dell"agente, che la posizione assegnata all"interesse in questione nella scala dei valori fissati dall"ordinamento dovrebbe valere a mettere in evidenza.

Comunque sia di ciò, non par dubbio che il comportamento del creditore debba conformarsi, anche di fronte all"opposizione del debitore, a buona fede e correttezza (artt. 1175, 1375 e 1366 c.c.). Sicché, per questa via, si potrebbe arrivare, se del caso, a sindacare la scelta operata dal creditore (si è orientata in tale direzione, in un recente contributo più volte ricordato, Ciccarelli 2006, 402, in nota 30). Sempre che, naturalmente, ci si decida ad attribuire alla buona fede oggettiva il ruolo che effettivamente le spetta (al riguardo, v. specialmente Bigliazzi Geri 1991, passim).

 

6.2. Debitore e terzo.

 

Occorre distinguere a seconda che il creditore abbia o meno surrogato il terzo nei suoi diritti (art. 1201 c.c.) o la surrogazione si sia o meno verificata per legge (art. 1203, n. 1, c.c.).

Della prima eventualità, già si è detto esaminando la posizione del creditore (v. retro §§. 3.4.).

Quanto all"altra, non problematica risulta l"ipotesi in cui il terzo abbia agito con intento di liberalità nei confronti del debitore. Giacché allora il tutto dovrebbe ridursi all"estinzione del credito e, con esso, dell"intero rapporto obbligatorio (in virtù di un atto del creditore: v. retro §§. 3.3.; sul punto, v. però Cannata 1999, 99; e v. anche Castronovo 1991, 41).

Diversamente, occorrerà differenziare a seconda che tra il terzo e il debitore esista o meno un vincolo interno. E se nella seconda eventualità il terzo potrà, se del caso, avvalersi delle disposizioni sulla gestione d"affari (artt. 2028 ss. c.c.) o, in ultima istanza, dell"azione, sussidiaria e residuale, di arricchimento senza causa (artt. 2041, 2042 c.c.) (in giurisprudenza, Cass. 5.12.1952, n. 3120, ha ritenuto applicabili gli artt. 2028 ss. c.c. al terzo che abbia agito quale gestore di affari; Cass. civ., Sez. III, 1 agosto 2002, n. 11417 ha riconosciuto al «terzo che abbia parzialmente adempiuto l'obbligazione di pagamento del prezzo di un contratto di compravendita poi risolto per inadempimento dell'acquirente, qualora non sia stato surrogato dal creditore nei propri diritti e non operi a suo favore alcuna ipotesi di surrogazione legale», l'azione generale di arricchimento, «per evitare che il venditore, a cui favore è venuta meno la causa del credito, si arricchisca a suo danno di quanto corrisposto in adempimento dell'obbligazione altrui, essendo privo di azione nei confronti del venditore e non potendo neppure agire in surrogazione nei confronti dell'acquirente»); nella prima, si tratterà di indagare il vincolo interno tra il terzo ed il debitore (in dottrina, sull"intera questione, Breccia 1991, 444).




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