-  Redazione P&D  -  17/06/2008

SPIGOLATURE IN TEMA DI VENDITA DI UNIVERSALITA' DI MOBILI - Riccardo CRISTOFARI

(segue)

1.1. Una prima soluzione.

Chi aderisce alla tesi secondo la quale l’universalità, e dunque anche quella di mobili (art. 816 c.c.), non implichi l’idea di un bene unitario, oggetto di un unico diritto di proprietà, è portato a concludere, in coerenza con la premessa accolta, che la considerazione “unificante” dei singoli beni di un’universalità rilevi ai soli fini dell’applicazione di una diversa regola di circolazione (rispetto alla regola che opera nei casi in cui i singoli beni siano considerati atomisticamente), senza escludere l’esistenza di una pluralità di beni giuridici e di corrispondenti diritti:

Nell’ambito delle posizioni complesse, una particolare rilevanza rivestano le universalità, ossia i complessi patrimoniali normativamente unificati in vista di una comune destinazione. Occorre chiarire che – secondo l’opinione che sembra da preferire – l’universalità non implica l’idea di un bene unitario, oggetto di un unico diritto di proprietà. La considerazione “unificante” dei singoli beni di una universalità rileva ai soli fini dell’applicazione di una diversa regola di circolazione (rispetto alla regola che opera nei casi in cui i singoli beni vengono considerati atomisticamente), senza escludere l’esistenza di una pluralità di beni giuridici e di corrispondenti diritti sugli stessi
(Luminoso 1998, 71).

1.2. Una seconda soluzione.

La vicenda è destinata a presentarsi con contorni differenti qualora, con una parte della dottrina, si ritenga che l’universalità possa essere il punto di riferimento oggettivo di una situazione soggettiva e, tuttavia, si ammetta che l’esistenza di un diritto di proprietà sull’insieme possa coesistere con eguali diritti sulle singole cose che compongono l’universalità. Posto che allora,

il trasferimento della proprietà o la costituzione di altro diritto sull’insieme comporta sempre il trasferimento della proprietà o la costituzione del diritto sulle singole parti. L’atto avente ad oggetto l’universalità è, cioè, destinato a produrre effetti anche su tutti i beni che la compongono. Così una vendita di universalità realizza il trasferimento della proprietà di tutte le cose che ne fanno parte
(Trimarchi 1992, 817).

1.3. Una terza soluzione.

Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, se sia possibile una terza soluzione. 
L’interrogativo è destinato a trovare una risposta positiva se si accetti di annoverare la vicenda descritta dall’art. 816 c.c. nell’ambito delle modificazioni che interessano l’oggetto del diritto di proprietà: nel senso, cioè, che la destinazione unitaria che il soggetto imprime alla pluralità di cose che gli appartengono valga a provocare una modificazione degli oggetti dei singoli diritti di proprietà, che perdono, sotto il profilo giuridico, la loro individualità per dar luogo a quella entità che prende il nome di universalità di mobili; al tempo stesso in cui il mutamento dell’oggetto reagisce sui diritti, che si fondono in un unico diritto di proprietà avente quale riferimento oggettivo l’universalità (in questo senso, v. Cristofari 2007, 393-420). Giacché, una volta ammesso tutto ciò, ne dovrebbe conseguire che l’alienante, attraverso la vendita, esercita la facoltà di disposizione che compone (unitamente a quella di godimento) il contenuto del diritto di proprietà avente ad oggetto l’universalità di mobili: del quale diviene titolare l’acquirente attraverso il semplice scambio dei consensi legittimamente manifestati [il che, naturalmente, presuppone: che l’universalità trasferita sia determinata; che esista al momento dello scambio dei consensi; che l’atto sia posto in essere: dal titolare del diritto di proprietà, purché il medesimo soggetto sia, al contempo, anche legittimato a disporne; oppure, da colui al quale, pur non essendone titolare, sia stata conferita la legittimazione a disporne: direttamente dalla legge (per esempio, rappresentante legale) o in via negoziale (per esempio, rappresentante volontario)].

2. Vendita di universalità ed efficacia (reale o “obbligatoria”) dell’atto.

La vendita, come si sa, attua il trasferimento della proprietà (o, più in generale, di un altro diritto).

Non sempre, tuttavia, l’effetto traslativo rappresenta una conseguenza automatica dello scambio dei consensi legittimamente manifestati (art. 1470 in rel. spec. artt. 1476, n. 2 e 1376 c.c.). Vi sono, infatti, alcune ipotesi in cui l’effetto reale, che pur discende sempre dallo scambio dei consensi, risulta differito rispetto al momento in cui la vendita si perfeziona, in quanto intermediato da un immediato effetto obbligatorio. A venire in considerazione sono, allora, le ipotesi di vendita c.d. obbligatoria (o, più correttamente, ad effetto reale differito) e, in particolare, la vendita di cose generiche (art. 1378 c.c.), di cosa altrui (art. 1478 c.c.) o di cose future (art. 1472 c.c.).

Non può escludersi che il termine di riferimento oggettivo di una vendita c.d. obbligatoria possa essere rappresentato da un’universalità di mobili.
Si prenda, volendo esemplificare, l’ipotesi della biblioteca compravenduta che non appartenga al venditore. In tal caso, qualora entrambe le parti siano consapevoli che l’universalità appartenga ad un terzo e, ciò nonostante, abbiano stipulato l’atto, essendosi il venditore impegnato a diventarne proprietario, saranno applicabili le regole che governano l’istituto della vendita di cosa altrui (v. Ferri 2000, 546, il quale osserva che la conoscenza che il compratore abbia dell’alienità della res vendita può dar luogo a un’articolata serie di fenomeni, non necessariamente riconducibili a quello della vendita di cosa altrui). Con la conseguenza che, nel momento in cui il venditore, in adempimento dell’obbligo che deriva dal perfezionamento del contratto, riesca ad acquistare la res vendita dal terzo, in quello stesso momento si avrà un ulteriore trasferimento al compratore, senza che sia necessario un nuovo contratto traslativo o un’ulteriore manifestazione di volontà, sia pure unilaterale (art. 1478, 2° co. c.c.; nell’ambito della manualistica, cfr. ad es. Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli e Natoli 1989, 310, 311 nota 19).

Si può concludere con un cenno ad un’altra ipotesi nella quale – questa volta a causa dell’originaria indeterminazione dell’oggetto del trasferimento – l’effetto traslativo non si produce al momento del perfezionamento del contratto di vendita. Ci si riferisce, com’è intuitivo, alla vendita alternativa. L’eventualità dovrebbe essere quella in cui le universalità di mobili dedotte in obbligazione siano due o più. In tal caso, ai fini del trasferimento, sarà necessario che sia stata in precedenza effettuata la scelta.

3. Vendita di universalità e oggetto del contratto.

Un rapido sguardo al panorama dottrinale mette in evidenza come la posizione degli interpreti circa il tema dell’oggetto della vendita di universalità di mobili risulti influenzata da due fattori: ovverosia, dal modo in cui gli stessi concepiscono il fenomeno dell’universalità e dal significato attribuito al termine «oggetto» quale requisito essenziale del contratto (art. 1325, n. 3 c.c.), e, dunque, anche del contratto di vendita. 

Chi ammette che l’universalità non implichi l’idea di un bene unitario, oggetto di un unico diritto di proprietà, e, al contempo, identifica l’oggetto del contratto di vendita nei risultati finali programmati: cioè, «nell’attribuzione del diritto e nell’attribuzione del prezzo», è portato a ritenere che, nel caso della vendita di universalità di mobili, si sarebbe di fronte, quanto all’attribuzione traslativa, ad una pluralità di beni giuridici e di corrispondenti diritti sugli stessi (Luminoso 1998, 71).
Ciò, peraltro, non dovrebbe comportare che la disciplina del contratto vada riferita ai singoli capi dell’universitas, giacché la «considerazione unitaria del suo oggetto» varrebbe ad escludere un simile risultato:

Cominciando dalla vendita di universalità di mobili (art. 816 c.c.), occorre notare che si ritiene comunemente che la considerazione unitaria del suo oggetto comporti che la disciplina del contratto vada riferita, di massima, non ai singoli capi dell’universitas ma a questa nel suo insieme. Il venditore, quindi, è tenuto a rispondere dell’esistenza e dell’appartenenza dell’universalità in sé, non dei singoli capi; deve consegnare il complesso nel suo insieme, non necessariamente lo stesso numero di capi (ad esempio, di un gregge) che esistevano al momento della conclusione del contratto, poiché, da un lato, non risponde della perdita dei capi morti naturalmente nel frattempo e, dall’altro, deve consegnare i nuovi nati
(Luminoso 1998, 72).

Alcuni tra coloro che negano che l’universalità implichi l’idea di un bene unitario, termine di riferimento oggettivo di un unico diritto di proprietà, sostengono che il collegamento funzionale tra cose oggetto di diritti distinti, implicato dal concetto di universalità, opererebbe come criterio di determinazione dell’oggetto dell’atto (Buccisano 1994, 1). Chi si colloca in tale dimensione di pensiero, precisa, tuttavia, che il collegamento funzionale sarebbe, però, anche un modo di essere delle cose, capace, in quanto tale, di influenzare il regime dell’atto e degli effetti (Buccisano 1994, 1). 

Si è tentato anche di spiegare perché la considerazione dell’insieme di cose singole come complesso, cioè sub specie universitatis, dovrebbe essere idonea a costituire un caso di determinabilità dell’oggetto e, al contempo, ad incidere sul regime dell’atto:

Quando invece la vendita concerne l’universalità come tale, è probabile che il concetto di universalità porti a ritenere che oggetto della vendita non è una cosa distinta dai singoli capi che compongono l’universalità e ad essi sovrapposta (come ad esempio avviene, nel capo dei soggetti, per le persone giuridiche rispetto ai membri di esse), ma l’insieme dei singoli capi. Ciò tuttavia non significa che qui si abbia un semplice caso di determinabilità dell’oggetto, cioè delle cose singole per riferimento all’insieme di cui fanno parte. Si ha invece, oltre a questo, anche qualcosa di più, una particolare considerazione di questo insieme di cose singole come complesso, sub specie universitatis, per cui non si ha più una somma dei singoli capi, che lascia perfettamente autonoma l’individualità di ciascuno, ma viene in rilievo il loro complesso, a prescindere dai singoli componenti
(Rubino 1971, 139).

Tutt’altra strada è percorsa da chi, pur accettando l’idea che l’universitas facti non possa essere considerata una res nova avente una propria individualità, distingue fra oggetto del negozio – visto nella «descrittiva, di un bene o di beni, contenuta nella dichiarazione contrattuale ed esprimente in modo obbiettivo l’interesse regolato dai contraenti» – e oggetto del rapporto – visto nel bene o nei beni «su cui grava la situazione effettuale che nasce dal contratto» –. In tale prospettiva di indagine, l’«oggetto negoziale» della vendita sarebbe rappresentato dalla descrizione contenuta nella dichiarazione: e cioè dalla «rappresentazione di una determinata universitas, di una determinata organizzazione di beni, di un gruppo di beni tutti segnati da una determinata omogeneità»; mentre l’oggetto del rapporto sarebbe, invece, costituito dai singoli beni per i quali si è compiuto l’atto di destinazione e sui quali grava la «situazione effettuale che nasce dal contratto» (Rascio 1975, 107).

3.1. Dettagli.

Le divergenze di opinioni circa il fenomeno dell’universalità di mobili e quelle circa l’oggetto del contratto sono destinate a ricomporsi in una sostanziale convergenza di vedute quando si passa a trattare il profilo della determinatezza o determinabilità dell’oggetto (art. 1346 c.c.) della vendita di universalità di mobili. 

È prevalente, infatti, la tendenza a sostenere, quanto all’attribuzione traslativa, che ai fini della validità dell’atto sia necessario – ma anche sufficiente – che le parti abbiano descritto con precisione l’universalità compravenduta. Non occorre, invece, che i contraenti abbiano fornito anche la descrizione dei singoli elementi che la compongono:

Al di là degli specifici problemi che ognuna di queste disposizioni comporta , bisogna rilevare che i comportamenti, atti e negozi ora menzionati non sono i soli a poter presentare, quale oggetto, una universalità. Accanto alla vendita, alla donazione, al pegno, al pignoramento, al sequestro, al possesso non c’è alcuna ragione per non considerare, ad esempio, anche la locazione, il deposito, il comodato, il contratto costitutivo dell’usufrutto, e così via, con il solo evidente limite della compatibilità dell’oggetto (universalità) con il tipo normativo.
Il problema che, sul piano del fatto, accomuna tutte queste fattispecie, è quello della descrizione dell’oggetto. Normalmente la discussione al riguardo viene condotta con riferimento alla vendita o alla donazione ma invero non si profila in termini diversi nelle altre ipotesi, occorrendo stabilire se la dichiarazione deve contenere solamente la descrizione dell’insieme o (anche) quella di ogni singola cosa facente parte dell’universalità.
La prima tesi appare preferibile. Diversamente le previsioni legislative prima richiamate non troverebbero adeguata spiegazione; e d’altra parte più volte si è ricordato che la specificità dell’universalità risiede proprio nella rilevanza accordata dalla legge al complesso in quanto fornitore di un’utilità nuova e diversa da quella propria dei singoli beni. È, quindi, «necessario e sufficiente che dal contratto risulti di quale universalità si tratti […] non devono necessariamente risultare le modalità non influenti sulla determinazione dello specifico oggetto negoziale (ad es., le peculiarità di ogni singolo elemento, il loro numero, ecc.)». L’atto è unico; unica la vendita, unica la donazione, unico il pegno e così via. Al pari di quanto avviene per le cose composte, l’oggetto può dirsi determinato, allorché il complesso è descritto in modo preciso.
Essendo oggetto del contratto l’aggregato, è al complesso che occorre fare riferimento quando, ad esempio, nella vendita, si dibatta, in ipotesi, dei vizi o delle qualità della cosa; il venditore, in altri termini, risponde in linea di principio delle qualità e dei vizi dell’insieme e non delle singole cose (tranne in presenza di apposito patto oppure quando il vizio o la mancanza di qualità della singola cosa menomi l’attitudine funzionale del complesso)

(Trimarchi 1992, 812; Rascio 1975, 107).

Nello stesso senso di ritenere che ai fini della validità dell’atto sia necessario – ma anche sufficiente – che le parti abbiano descritto con precisione l’universalità di mobili compravenduta, pare orientata anche la giurisprudenza (cfr. ad es. Cass. civ., 4 aprile 1964, n. 738, GC, 1965, I, 388).

Quanto al requisito della possibilità, e sempre con riferimento all’attribuzione traslativa, si è scritto che, se il complesso non esiste o perisce prima della conclusione della vendita, il contratto è nullo per mancanza di oggetto, e il venditore è responsabile per colpa in contrahendo e nei limiti di questa (Rubino 1971, 140).

3.2. Osservazioni.

Se si riconduce il fenomeno dell’universalità di mobili sul piano delle modificazioni delle situazione soggettive attinenti all’oggetto, nel senso che si è cercato di chiarire, e si accetta l’opinione che identifica l’oggetto della compravendita, oltre che nel corrispettivo del prezzo, nell’attribuzione patrimoniale a cui l’atto è finalizzato (cioè, nel diritto trasferito in conseguenza della stipulazione del contratto; per cui, ad es., Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli e Natoli 1986, 689), si sarà portati a concludere che, nel caso della vendita di universalità di mobili, l’oggetto sarà rappresentato, oltre che dal pagamento del prezzo, dall’attribuzione patrimoniale a cui l’atto stesso tende: cioè, dal diritto di proprietà trasferito. 

Dovrebbe trovare così lineare soluzione anche il problema della determinatezza dell’oggetto, essendo, a tal fine, necessario – ma anche sufficiente – che nell’atto negoziale sia contenuta la descrizione del diritto trasferito, per il tramite anche del riferimento al suo oggetto e, dunque, all’universalità di mobili compravenduta.

4. (B) L’obbligo di consegnare l’universalità all’acquirente.

Quanto al rapporto obbligatorio relativo alla consegna dell’universalità di mobili, si può iniziare con l’osservare che, come di norma accade, la consegna della res vendita viene ad assumere, al di là dei casi di vendita ad effetto reale differito (c.d. vendita «obbligatoria»), il ruolo meramente strumentale di fattore destinato a realizzare l’impossessamento e, pertanto, a consentire all’acquirente-proprietario la facoltà di godere (anche) direttamente dell’universalità (sul punto, cfr. Bigliazzi Geri 1998, 848). 

Ciò premesso, occorre prendere in esame alcune vicende significative attinenti al rapporto obbligatorio in questione.

4.1. Il perimento e il deterioramento della res debita non imputabili.

Potrebbe, intanto, accadere che, successivamente al perfezionamento del contratto di vendita, l’universalità compravenduta perisca per causa non imputabile all’alienante. In tal caso, l’obbligazione di consegnare l’universalità si estingue (art. 1258, 1° co., c.c.) ed il venditore è liberato. Essendo, nell’ipotesi considerata, l’effetto attributivo reale legato da un nesso automatico al perfezionamento del contratto di vendita (art. 1376 c.c.), il perimento dell’universalità, naturalmente, non provocherà mai la risoluzione (art. 1465, 1° co., c.c.). 

Potrebbe, invece, accadere che ad andare distrutti siano soltanto alcuni degli elementi che fanno parte dell’universalità compravenduta: si pensi, volendo esemplificare, all’ipotesi in cui periscano, per causa non imputabile al venditore, alcuni dei quadri che compongono la pinacoteca.
In tale eventualità, ci si potrebbe chiedere se la liberazione del debitore debba verificarsi in applicazione dell’art. 1258, 1° co., c.c. [che presuppone una prestazione divisibile e una impossibilità concernente la «quantità oggettiva» della prestazione: al riguardo, v. Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli e Natoli 1989, 196, dove si evidenzia che l’estinzione dell’obbligazione ed il conseguente effetto obbligatorio costituiscono il risultato di un effetto (parzialmente) estintivo (e quindi parzialmente liberatorio) immediato unito al comportamento necessitato (adempimento per la parte residua) del debitore] oppure dell’art. 1258, 2° co., c.c., che concerne le ipotesi in cui è dovuta una cosa determinata e questa abbia subito un deterioramento. 

E la soluzione preferibile dovrebbe essere nel senso del ricorso a quest’ultima disposizione. La quale, poi, dovrebbe trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui residui alcunché dal perimento della res debita (si pensi all’ipotesi in cui il gregge perisca interamente per causa non imputabile al venditore e residuino soltanto le pelli degli animali). Anche se, allora, all’obbligazione originaria, che si estingue, si sostituisce ex lege una nuova obbligazione avente oggetto diverso (vale a dire la datio di quanto residui dal perimento) e il venditore risulterà liberato per il tramite dell’esecuzione della diversa prestazione nel tempo e nel luogo previsti.

4.2. La sorte degli incrementi.

Avendo presente l’ipotesi in cui l’attuazione del rapporto obbligatorio concernente la consegna avvenga in un momento successivo a quello in cui la vendita si perfeziona, e si verifica l’effetto traslativo, occorre prendere in esame il tema della sorte degli incrementi.
L’attenzione deve essere concentrata sui frutti e sulle cose aggiunte all’universalità dall’alienante.

4.2.1. I frutti.

Qualora il complesso di cose sia fruttifero – e l’esempio potrebbe essere quello del gregge (v. però Buccisano 1994, 6) – sussiste una sostanziale convergenza di vedute nel ritenere che il venditore sia obbligato a consegnare al compratore anche i capi nati successivamente al perfezionamento dell’atto di vendita. E ciò in applicazione del principio dettato dall’art. 1477 c.c., per cui la cosa deve essere consegnata «coi frutti (prodotti) dal giorno della vendita» (Luzzato 1961, 81).

4.2.2. Le cose aggiunte all’universalità dall’alienante.

Un problema si pone per le cose aggiunte dal venditore all’universalità compravenduta nel lasso di tempo che intercorre tra la conclusione dell’atto e il momento in cui è data attuazione al rapporto obbligatorio concernente la consegna della res vendita.
Alcuni ritengono che il venditore debba consegnare l’universalità dei beni nello stato in cui essi si trovano, e quindi comprensivo dei capi aggiunti, riconducendo tale obbligo alla «natura indistinta e onnicomprensiva dell’oggetto alienato»:

L’obbligo del venditore di consegnare l’universalità dei beni nello in cui essi si trovano, e quindi comprensivo dei capi aggiunti, deve essere ricondotto non già alla qualificazione giuridica dei beni che si aggiungono all’universitas quanto alla natura indistinta ed onnicomprensiva dell’oggetto alienato, che è e resta, in ogni momento della sua esistenza, l’insieme di tutti i beni mobili appartenenti al venditore e sottoposti al medesimo vincolo di destinazione: chi vende un’universalità di mobili non consegna cosa diversa anche se ad essa si sono aggiunti, dopo la vendita, altri componenti omogenei sottoposti al medesimo vincolo di destinazione.
Nel nesso di corrispettività del negozio di alienazione, che sta tra il prezzo pagato e l’universalità dei beni mobili, emerge l’autonomia giuridica dell’
universitas rispetto ai singoli beni che la compongono. L’universalità è pur sempre costituita dal substrato materiale dei singoli beni, ma il vincolo di destinazione che li unisce risulta assorbente rispetto alla loro autonomia ed individualità
(Miraglia 2005, 201).

Una conferma di tale soluzione è vista nell’art. 771, 2° co., c.c., il cui principio è ritenuto applicabile anche alle alienazioni di universalità di mobili a titolo oneroso per gli accrescimenti intervenuti tra il momento della conclusione del negozio e quello della sua efficacia:

Una conferma della fondatezza soluzione sopra indicata si può rinvenire nella disposizione dell’art. 771, co. 2°, c.c., il quale stabilisce che «qualora oggetto della donazione sia un’universalità di cose e il donante ne conservi il godimento trattenendola presso di sé, si considerano comprese nella donazione anche le cose che vi si aggiungono successivamente, salvo che dall’atto risulti una diversa volontà». La norma è sicuro indice del carattere unitario del complesso, che attrae nel suo ambito oggettivo anche le cose future che vi si aggiungono dopo la sua alienazione, non identificate né identificabili all’atto del negozio. La deroga alla nullità della donazione di beni futuri, di cui al co. 1° dell’art. 771, è spiegabile solo con lo stretto legame delle cose future al complesso.
Il principio sancito dal co. 2° dell’art. 771, nel silenzio del legislatore, non è applicabile automaticamente alla vendita di una universalità di mobili, della quale il venditore si sia riservato il godimento, dovendosi preliminarmente accertare: a) se la
ratio legis non sia fondata anche sulla gratuità dell’atto; b) se si possa superare il principio generale, per il quale nella compravendita ordinaria l’alienante deve consegnare la cosa nello stato cui essa si trovava al momento della vendita (art. 1477 c.c.).
La condizione indicata dalla legge per la produzione dell’effetto ultrattivo della donazione è che il donante trattenga presso di sé le cose alienate sia che l’effetto traslativo si sia prodotto contestualmente alla conclusione del negozio sia che esso sia stato differito ed il donante sia rimasto provvisoriamente proprietario del complesso. La legge, con l’espressione al singolare «trattenendola presso di sé», indica non le cose ma l’universalità e segna la
ratio della speciale disposizione nella conservazione di quel carattere essenziale dell’universitas dato dall’unicità del soggetto che le imprime la destinazione unitaria; la circostanza che sia fatta salva una diversa volontà delle parti conferma che la permanenza dell’universitas dipende dall’iniziativa e dal comportamento di un solo soggetto. In tale ratio legis, che riposa sull’esigenza di tenere unite le cose idonee a fornire quella nova utilitas propria dell’universalità, non sembra incidere il carattere gratuito dell’atto. Non v’è dunque ragione di non applicare il principio dell’ultrattività delle donazioni alle alienazioni di universalità di mobili a titolo oneroso per gli accrescimento intervenuti tra il momento della conclusione del negozio e quello della sua efficacia.
(Miraglia 2005, 201).

La soluzione positiva andrebbe, peraltro, limitata alle sole ipotesi di vendita di un’universalità di mobili non immediatamente traslativa. Giacché, con riferimento ad esse, dovrebbe trovare applicazione il principio secondo il quale, se si verificano modificazioni del bene trasferito fra il tempo della formazione del negozio e quello della sua efficacia, gli effetti negoziali si producono riguardo al bene come è o quale è nel secondo momento:

Esaurito, in rapida rassegna, l’esame delle principali ipotesi da ricondurre nella norma ex art. 771, 2° comma, ci si potrà render conto che la particolare occasione legislativa ha favorito l’emersione, in una sede speciale, anche di regole proprie di un quadro più ampio. Si pensi, tra l’altro, alla compravendita non immediatamente traslativa di un’universalità di mobili ed alla possibilità che il venditore, rimasto temporaneamente proprietario, accresca di nuovi elementi l’insieme. Anche qui vale il principio secondo il quale, se si verificano modificazione del bene trasferito fra il tempo della formazione del negozio e quello della sua efficacia, gli effetti negoziali si producono riguardo al bene come è o quale è nel secondo momento. Il compratore diviene, quindi, proprietario di tutte le cose che compongono l’universitas quando si produce l’effetto traslativo
(Rascio 1975, 109).

Altri propendono, invece, per la soluzione negativa:

Se vi sono aumenti, ad esempio in un gregge, bisogna distinguere fra i nuovi acquisti fatti dal venditore a sue spese, o da lui acquisiti, ancorché a titolo gratuito, nell’intervallo fra la conclusione del contratto e la consegna del gregge e gli aumenti naturali (ad es., parto di una o più pecore). Se si tratta di animali comprati dal venditore od anche a lui donati, acquistati per eredità, legato e, sia pure, uniti al gregge in attesa del momento della consegna al compratore dei capi venduti, io non saprei vedere perché mai il concetto di scuola, sottile, astratto, evanescente della vendita del gregge come un tutto, o simili idee debbano prevalere su altri concetti ben più rilevanti, perché più conformi alla legge e al nostro senso di giustizia. Invero, l’attribuzione al compratore di cosa acquistata dal venditore, dopo il contratto, non corrisponde, normalmente, all’intenzione comune dei contraenti (art. 1362), non potendosi ritenere che il venditore abbia inteso di curare così male i propri interessi al momento in cui concluse il contratto, né che successivamente, con l’uso del nuovo o dei nuovi capi, sia pure da lui uniti al gregge prima della consegna al compratore, abbia inteso di far lucrare al compratore uno o più animali e ancor meno se, come abitualmente accade, il prezzo del gregge era stato già determinato
(Luzzato 1961, 80).

4.2.2.1. Osservazioni.

A favore della soluzione che esclude che il venditore sia tenuto a consegnare al compratore anche le cose aggiunte all’universalità in un momento successivo a quello in cui la vendita si perfeziona, se si ha riguardo almeno all’ipotesi in cui l’effetto traslativo rappresenti una conseguenza automatica dello scambio dei consensi legittimamente manifestati, militano diverse considerazioni. 

Intanto, proprio la circostanza secondo la quale, nella fattispecie contrattuale tipica in questione, l’effetto reale si collega, con un nesso automatico, allo scambio dei consensi, rende difficile ipotizzare che una analoga valenza possa essere attribuita ad un fatto (l’aggiungere una o più cose all’universalità compravenduta) che si colloca, sotto il profilo temporale, in un momento in cui l’effetto traslativo si è già prodotto (ed esaurito); e che, tra l’altro, è riferibile, sotto il profilo soggettivo, ad una sola parte: cioè, al solo venditore. 

A ciò si aggiunga che l’effetto traslativo – e, dunque, l’attribuzione patrimoniale – si verifica sul presupposto della sussistenza – oltre che, naturalmente, di un titulus – di una ragione giustificativa (causa), che, nel caso della compravendita, si sostanzia nello scambio del diritto verso il corrispettivo del prezzo. Anche sotto questo profilo, riesce difficile ammettere che la causa non rappresenti una vicenda tutta legata all’atto e alla sua conclusione, ma finisca, ça va sans dire, per “stingere”, colorando un fatto – l’aggiunta di uno o più cose all’universalità compravenduta – che sembrerebbe altrimenti esserne privo, in quanto, come già si è detto, estraneo all’atto e riferibile al solo alienante. 

Altri motivi di perplessità, attengono alla nozione di universalità.
Trattando in altra occasione tale profilo (il riferimento è sempre al nostro ), si è posto in evidenza come il singolo atto di destinazione, almeno secondo la ricostruzione ritenuta preferibile, intanto sia idoneo ad incidere sull’universalità, in quanto sia posto in essere dal soggetto titolare non solo del diritto di proprietà avente ad oggetto la cosa da destinare ad universalità, ma anche di quello avente ad oggetto l’universalità [o, a seconda delle preferenze, le singole cose che (già) la compongono]. Nella vicenda in esame, se è vero che il venditore può essere titolare del diritto di proprietà sulla cosa che intende aggiungere all’universalità, è altrettanto vero che lo stesso venditore, in seguito alla conclusione dell’atto di vendita, non è più titolare, in virtù dell’operare del principio del consenso traslativo, del diritto di proprietà avente ad oggetto l’universalità, ma è, di questa, soltanto possessore (o, per alcuni, detentore: sulla questione, v. ad es. Franzoni 1999, 316 e nota 9; in giurisprudenza, v. per es. Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1996, n. 1556, Not, 1997, 241 con nota di Iannaccone). Il che, almeno a nostro modo di ragionare, rende debole l’argomento che fa leva sulle caratteristiche dell’oggetto alienato. 

Il fatto, poi, che la vendita sia riconducibile tra gli atti essenzialmente onerosi, mentre la donazione sia annoverabile tra gli atti essenzialmente gratuiti, rende poco praticabile l’opzione ermeneutica che si sostanzia nel ricorso all’applicazione alla vendita dell’art. 771, 2° co., c.c., dettato in tema di donazione (sul punto, v. Buccisano 1994, 6, e ivi indicazioni bibliografiche).





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