(Una riflessione estesa sulla "capacità di intendere e di volere"
Mario Iannucci è Psichiatra psicoanalista -
Serv. di Sal. Mentale della AS e della CC Sollicciano di Firenze
Rita Rossi, sulla newsletter di Persona e Danno, ha avviato una riflessione sulla morte di una giovane paziente, "affetta da schizofrenia" e da un rifiuto sintomatico del cibo (se una paziente è schizofrenica la anoressia è necessariamente sintomatica). Non conosco il caso, ma apprendo da Rita Rossi (e dal web) che la paziente rifiutava le cure, spalleggiata dalla madre e dalla nonna. Il padre, invece, aveva probabilmente interpellato i sistemi della Salute e della Giustizia perché la figlia fosse indotta a curarsi nonostante il suo rifiuto. In ogni caso la paziente è morta. Nel mezzo, tra la richiesta del padre e il mancato intervento giuridico-sanitario che ha portato alla morte della giovane, molte cose dovrebbero essere accadute, ma io non le conosco. Non posso quindi discutere del caso nello specifico, ma posso servirmene, come fa Rita Rossi, come pretesto.
Si tratta di una vicenda solo apparentemente estrema e lontana da noi. Invece non è così, nonostante sia avvenuta all"altro capo del mondo, in Argentina, a Rosario del Tala. Non sono informato sulla legislazione di quel Paese, specie per quanto concerne la materia relativa alla coazione giuridico-sanitaria alla cura (in Italia regolata dalle Leggi 180 e 833/1978). Si tratta di materia delicata, che va trattata con estrema accortezza, poiché riguarda un ambito nel quale entrano in gioco talune questioni essenziali per l"uomo, per il diritto, per la società "civile". Pensiamo soltanto ai comportamenti rituali che si strutturano sulle credenze religiose, pensiamo alla capacità di agire nel diritto civile (con tutte le implicazioni relative alla interdizione/inabilitazione/AdS, agli atti compiuti da incapace etc) e in quello penale (la totale e parziale infermità di mente, l"internamento giudiziario, la circonvenzione di incapace etc), pensiamo alla posizione di garanzia in capo agli psichiatri….
Sono uno psichiatra e proprio ieri, seppure con molto dispiacere, ho redatto una proposta di TSO per un paziente che ho in cura. Nella mia ormai molto lunga attività professionale, di proposte o di convalide di TSO ne ho effettuate pochissime. Eppure talune le ho effettuate, quando ho ritenuto che le circostanze richiedessero quella soluzione estrema, per tutelare la salute e l"incolumità del paziente e per affrontare una critica situazione di "pericolo". Insieme a Gemma Brandi, a Firenze, estendemmo anni addietro il primo Protocollo (concordato con Sindaci, Autorità Giudiziarie e Sanitarie, Forze di Polizia) per l"effettuazione di ASO e TSO. Su di un punto fu molto difficile trovare un accordo: il punto riguardava la possibilità di effettuare un TSO medico/chirurgico in persone che rifiutano le cure con motivazioni deliranti. Un esempio personale: una paziente psicotica che, anni addietro, rifiutava ostinatamente le cure mediche e la toilette chirurgica di una ferita cronica "saniosa" che aveva determinato una sepsi generale, mettendo in serio pericolo la sua vita. La paziente era certa che "Dio l"avrebbe guarita". Ella accettava le terapie "psicofarmacologiche", che peraltro assumeva da anni e che, come accade quasi sempre, non avevano "eliminato" i suoi deliri. Non accettava le terapie medico-chiururgiche. Io proposi allora il TSO ospedaliero, nell"ambito del quale la paziente venne anche sottoposta alle "indispensabili" terapie medico/chirurgiche. Fu una forzatura "illegale"? Può darsi, ma la paziente guarì: non dalla psicosi ma dalla ferita cronica e dalla sepsi. Negli ultimi anni, dopo il Protocollo fiorentino e la legge sull"AdS, in casi come questi preferiamo richiedere con urgenza alla Procura e al Giudice Tutelare, qualora il paziente non sia già beneficiario di una AdS, la nomina di un Amministatore ad hoc. Pensiamo di fare bene e, in ogni caso, pensiamo di agire nel rispetto delle leggi. Ma ne siamo proprio sicuri? Io, come medico, mi chiedo ad esempio come dovrei comportarmi nel caso di un Testimone di Geova che, seguendo la sua credenza religiosa, rifiutasse pervicacemente una trasfusione di sangue indispensabile a salvargli la vita. Dovrei forse aspettare che perdesse i sensi e che non fosse in grado di esprimere un rifiuto in coscienza e libertà? Anche se avesse perduto i sensi e nonostante il pronunciamento della Cassazione dello scorso dicembre (sent. 23707 del 20/12/2012), qualora il suddetto Testimone di Geova avesse nominato un AdS per vigilare sul suo rifiuto anche in caso di incoscienza, dovrei io tenerne conto oppure no della volontà che egli ha espresso? Ammettiamo inoltre che il paziente, oltre che Testimone di Geova, sia anche psicotico e delirante (con un delirio "non religioso"): come mi dovrei comportare?
Questioni delicate quelle relative alla limitazione della libertà degli altri, in nome del bene della persona, della società "civile", dei precetti religiosi. Alcuni anni or sono due ginecologi fiorentini, profondi conoscitori dei popoli islamici e delle loro credenze, proposero di consentire nelle strutture sanitarie pubbliche una sorta di "infibulazione simbolica" (la puntura con ago asettico della regione paraclitoridea) alle famiglie di fede islamica che ne facevano richiesta per le loro figlie. Questa "infibulazione simbolica" avrebbe evitato "interventi clandestini" assai più radicali e molto meno controllati, le cui conseguenze terribili i due colleghi fiorentini constatavano quotidianamente a livello clinico. La loro proposta scatenò la reazione "indignata" di una schiera infinita di garantisti: "democratici", femministe, numi tutelari dei diritti dell"infanzia etc. Eppure nessuno fa una piega se una famiglia ebrea decide che un ragazzino venga circonciso (e non mi si parli di ragioni sanitarie!). E quale atteggiamento tenere, per converso, nei confronti di un padre che si opponga con forza a che la figlia ormai quasi quattordicenne si faccia un piercing al capezzolo, all"ombelico o ancora più giù, piuttosto che un piccolo tatuaggio a forma di farfalla sul ventre invece che su una caviglia? Perché e come limitare l"altrui libertà? Come e perché limitare la libertà di coloro per i quali "rispondiamo", così come rispondono i genitori esercenti la patria potestas nei confronti dei figli incapaci naturali?
Continuiamo a usare come un pretesto la morte per consunzione della giovane ragazza argentina. Chi se la sentirebbe (specie nell"Italia "vaticana", specie nell"Argentina "papale") di definire delirante la credenza nei miracoli? Chi se la sentirebbe di costringere un malato di cancro, peraltro "perfettamente ragionante" e in ogni caso esente da "patologie psicotiche", a sottoporsi contro la sua volontà a un intervento che i medici giudicano opportuno, violando il disposto dell"art. 32 della Costituzione ("[…] Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana")? Eppure, se una giovane donna affetta da schizofrenia afferma di poter essere guarita da un miracolo, troviamo ragionevole costringerla a curarsi. A curare anche gli effetti della sua anoressia sintomatica, come facciamo peraltro comunemente, nel nostro Paese, persino con le molto più "ragionevoli" pazienti colpite da anoressia nervosa, quando esse arrivano a mettere in pericolo la loro vita. D"altra parte la Court of Protection del Regno Unito, di recente, ha trovato ragionevole disporre l"alimentazione forzata di un medico iraniano il quale, ancorché affetto secondo gli psichiatri da un "raro disturbo delirante", aveva iniziato lo sciopero della fame per protestare contro il ritiro del passaporto da parte dell"Ufficio Immigrazione, ritiro che lo costringeva di fatto al rientro in Iran, dove pare che egli si sentisse minacciato e perseguitato.
Usiamo ancora come pretesto la giovane psicotica argentina, morta per consunzione poiché il giudice non ha disposto il suo trattamento forzato. Vale la pena domandarsi: ci sono dei limiti che possiamo stabilire in questa direzione e, se ci sono, dove li possiamo individuare? Un vecchio detto sostiene che è la legge a fare il peccato. Possiamo ragionevolmente ritenere che nella stessa direzione "logica" si muova il cogito dei giuristi quando pretendono che si possa sempre seguire il loro percorso lineare: nulla poena sine culpa → nulla culpa sine crimine → nullum crimen sine lege. I limiti, le frontiere e gli steccati sembrano dunque quelli stabilite dalle leggi. Ma siamo proprio certi che tutti gli individui siano capaci di riconoscere tali limiti, quelli della Legge, del Crimine e della Colpa che giustifica e comporta la Pena, anche all"interno del Soggetto e non solo al suo esterno? Qualcuno, di recente, si è riproposto di chiudere gli OPG e le CCC e di farlo radicalmente, rispolverando il "Progetto Vincigrossi" di lontana memoria: anche i folli, ancorché condizionati nelle loro azioni od omissioni delittuose da palesi convincimenti deliranti, è bene che siano considerati responsabili delle loro azioni/omissioni e giudicati come tali. Sembrano molto convinti i sostenitori di questa tesi, che escluderebbe radicalmente la possibilità di fare ricorso a quella patologia dell"autodeterminazione cui fanno riferimento attualmente le leggi e alla quale si appella anche Rita Rossi nel momento in cui trova che possano giustificarsi istanze risarcitorie da parte del padre della diciannovenne argentina morta (istanze risarcitorie da avanzare nei confronti di chi: nei confronti della madre e della nonna della ragazza, come ritiene Rita Rossi, dal momento che le donne condividevano, magari in una follia a tre, i convincimenti miracolosi della ragazza, o non piuttosto nei confronti del giudice, supposto sano, che ha deciso di non intervenire?). Se diamo per scontato che non vi sia più una patologia dell"autodeterminazione, possiamo tranquillamente abolire il totale e il parziale vizio di mente, gli OPG e le CCC, la circonvenzione di incapace, gli atti compiuti da incapace, i TSO, l"interdizione (che sarebbe bene abolire comunque, come sappiamo) e l"AdS per motivi psichiatrici. Potremmo tranquillamente "abolire" anche il richiamo agli psichiatri perché assumano nei confronti dei loro pazienti (quelli not compliant, che non si assoggettano alle cure) una posizione di garanzia.
Finché me lo consentiranno, io continuerò a essere e a sentirmi psichiatra psicoanalista e cercherò, con Lacan, di mantenermi all"interno di quel tempo logico che mi permette di nutrire ancora qualche certezza. Con quel Lacan che, poco dopo la fine del secondo conflitto mondiale nel quale le credenze avevano generato non poca morte, in onore a Mauss rammentava, a un pubblico di magistrati, che "[…] le strutture della società sono simboliche [e che] l"individuo, in quanto normale, se ne serve per condotte reali, in quanto psicopatico le esprime attraverso condotte simboliche".