La sentenza in rassegna si segnala innanzitutto per aver dichiarato inammissibile il regolamento di competenza proposto avverso il provvedimento di rigetto di revoca di un precedente provvedimento che aveva negato la fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 297 c.p.c. per la prosecuzione del processo dopo sospensione.
La Corte ha giudicato che il regolamento di competenza avrebbe dovuto essere proposto contro il primo provvedimento di rigetto la cui mancanza ha consumato il diritto di impugnazione, che dunque non può essere proposta avverso il successivo provvedimento che ha negato la revoca.
Pur tuttavia la Corte ha ritenuto di affrontare ex professo la travagliata questione dei rapporti fra gli artt. 295, 297 e 337 comma 2 c.p.c., ritenuta di particolare importanza, e prendendo le mosse dalla precedente pronuncia delle stesse Sezioni Unite n. 10027/2012. Con tale ultimo arresto, peraltro non seguito unanimemente dalla successiva giurisprudenza anche di legittimità, si era stabilito che la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. implicava tre presupposti: la rilevazione del rapporto di dipendenza fra due cause, quella pregiudicante e quella pregiudicata; la necessità che i fatti siano conosciuti e giudicati nello stesso modo al fine di evitare contrasti di pronunce; lo stato di incertezza su quei fatti diversa perché controversi tra le parti.
La suddetta sentenza evidenziava come la disposizione di cui all’art. 297 c.p.c. possa essere intesa come integrativa dell’art. 295 c.p.c., il quale, non indica il termine ultimo della sospensione, che quindi deve essere individuato. E, a tal fine, si deve considerare che l’art. 297 c.p.c. prevede il passaggio in giudicato della sentenza resa sulla causa pregiudicante non già quale termine ultimo di durata della sospensione ma solo quale inizio della decorrenza del termine per la prosecuzione, in mancanza della quale il giudizio si estingue ex art. 307 c.p.c.
Giova precisare che la nozione di pregiudizialità risiede nella necessità di decidere preliminarmente l’oggetto di una questione pregiudiziale che è elemento costitutivo del rapporto giuridico oggetto della domanda fatta valere in via principale. Tale oggetto della questione pregiudiziale può costituire, alternativamente, un fatto costitutivo oppure impeditivo, modificativo ed istintivo del diritto soggettivo controverso: nel primo caso vi è un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, nel secondo un rapporto di pregiudizialità per incompatibilità. Naturalmente se non è possibile decidere congiuntamente le controversie nel c.d. simultaneus processus per esempio ai sensi dell’art. 34 c.p.c.
Sulla citata controversa questione circa la necessità o meno di passaggio in giudicato della pronuncia sulla causa pregiudicante esistono i due orientamenti ricordati a pag. 28 della sentenza in rassegna, caratterizzati, per quanto qui interessa, dall’opposta valutazione circa la necessità del giudicato sulla causa pregiudicante ai fini della prosecuzione e decisione del processo pregiudicato.
Dopo un articolato excursus sulla disciplina della sospensione nel nostro Ordinamento processuale (non senza richiami alla normativa sovranazionale), la sentenza ritiene di confermare l’orientamento assunto nella sopra richiamata decisione del 2012 e così statuisce che, affinché la causa dipendente possa proseguire ed essere decisa, rileva la mera autorità dell’efficacia della sentenza adottata all’esito del giudizio pregiudicante senza necessità di suo passaggio in giudicato. E ciò nell’ottica di limitare, per quanto possibile, i casi di applicazione della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. che, fatalmente, porterebbe alla dilatazione dei tempi processuali.
Rispetto alla citata pronuncia del 2012 viene aggiunta la considerazione secondo cui l’art. 337 comma 2 c.p.c. ha una valenza generale, nel senso che tiene in considerazione l’autorità che la sentenza pregiudicante spiega in altro processo tra le parti sia o non sia passata in giudicato, tant’è che l’art. 297 c.p.c, come affermato da autorevole dottrina valorizzata dalle Sezioni Unite, fa sì riferimento al passaggio in giudicato ma non inteso quale individuazione del termine di durata della sospensione bensì inteso solo quale momento di decorrenza del termine entro il quale deve essere proposta l’istanza per la prosecuzione del processo dipendente.
In sintesi: fintanto che la causa pregiudicante pende in primo grado, la causa dipendente resta soggetta alla sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. Avuta la decisione in primo grado e nonostante la sua eventuale impugnazione, la sospensione dovrà invece essere valutata dal giudice ai sensi dell’art. 337 comma 2 c.p.c.
Infine la sentenza in rassegna si fa carico anche di indicare la strada per l’armonizzazione tra i giudicati eventualmente confliggenti fra di loro. E tale via è indicata nel meccanismo di coordinamento a posteriori discendente dal c.d. effetto espansivo esterno disposto dall’art. 336 comma 2 c.p.c., secondo il quale la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata. La norma si pone come “norma di chiusura” che consente di porre nel nulla il giudicato della causa (già) pregiudicata qualora esso si ponga in conflitto con il sopravvenuto giudicato della causa pregiudicante. E l’eventuale temporaneo e provvisorio conflitto fra le due pronunce viene compensato dal rilevante vantaggio di riduzione dei tempi processuali, consentita dalla soluzione data dalle Sezioni Unite.
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