Un medico asporta un neo, senza provvedere all’esame istologico del reperto, privandosi così della chance di accertare la natura dell’angioma e scongiurare il peggioramento, assai grave, che in effetti poi emerge in tutta la propria virulenza, condannando il paziente ad un’invalidità permanente dell’85%.
Il Tribunale di Palermo, e così la Corte d’Appello, con pronunce rispettivamente del 22.09.05 e 21.03.13, accertano la responsabilità del sanitario, condannandolo al risarcimento di 357.838,25 euro.
Contro la decisione propone ricorso il dottore contestando, tra gli altri argomenti, quello relativo all’asserita applicazione di un giudizio probabilistico inattendibile, poiché secondo la sua tesi la metastasi, in una lesione poi scomparsa e cauterizzata, atterrebbe al 10 o 20% dei casi, così che il Giudice del merito avrebbe accertato un nesso causale fondandolo su mero dato statistico non utilizzabile.
La Corte, e non si comprende bene perché il sanitario operasse in libera professione, fa riferimento a quella che definisce “situazione chiara di contatto sociale”, così non dando modo di comprendere se tale richiamo sia esplicito alla sopravvivenza della cosiddetta teoria del contatto sociale, in barba agli sparuti tentativi, da ultimo, di alcune pronunce del Foro di Milano, di bypassarla, o se il richiamo sia, per così dire, atipico.
A deporre per la prima delle due tesi v'è la constatazione che se avesse operato in libera professione non sarebbe stato necessario, per rilevare la responsabilità contrattuale, far riferimento alla teoria del contatto sociale, poiché il contratto non poteva che essere perfezionato con il sanitario, proprio perché agiva il libera professione, semmai cumulandosi il titolo contrattuale con quello extracontrattuale.
Come noto, invece, la teoria del contatto sociale impone una lettura contrattuale tra il rapporto esistente tra il paziente ed il sanitario dipendente della struttura, parificando la qualificazione del titolo di responsabilità sia della struttura che del medico dipendente sui parametri della responsabilità ex contractu
Se ne trae un motivo in più per sostenere che pur dopo la Balduzzi la responsabilità contrattuale del sanitario che operi in una struttura continua ad essere contrattuale, secondo la teoria del contatto sociale e non solo extra contrattuale.
Quanto al merito della vertenza, la Corte rileva che all’eccezione di inadempimento il sanitario non ha saputo offrire la prova contraria del diligente adempimento, definendo, correttamente, come viziata da gravi imprudenza e negligenza, la condotta del sanitario che a fronte del tipo di lesione non abbia provveduto ad un esame istologico del tessuto, potendo così accertare tempestivamente la patologia e sfruttare quindi la chance di affrontarla tempestivamente, rallentandone l’evoluzione.
In un contesto di forte tensione che, come ho avuto in altre occasioni, modo di sottolineare, è agitata maliziosamente da alcune sigle sindacali di sanitari nonché dalle compagnie di assicurazione, nella quale è sventolata a più non posso la tesi della medicina difensiva, secondo la quale si spenderebbero più di 10 miliardi all’anno di esami inutili, questo esame utile, che il medico siciliano non ha provveduto a richiedere, è costato invece la vita al paziente.
E’ veramente incredibile, soprattutto agli occhi di chi, come chi scrive, non crede alla favola della medicina difensiva, come il presunto spreco di risorse in esami inutili non abbia trasformato i sanitari in professionisti iper prudenti come anche il caso di specie chiaramente dimostra.
Non v’è inoltre chi spieghi, con argomenti dotati di dignità scientifica, chi sarebbe stato nominato nel Collegio di esperti giuristi e medico legali, che avrebbe esaminato professionalmente tutte le prescrizioni che sarebbero ascrivibili alla tesi della medicina difensiva, potendo seriamente confutare l’utilità dell’esame richiesto, ascrivendolo quindi ad un presunto spreco di denaro.
Continuo a credere che sia assai difficile che vi siano specialisti e medici legali così capaci e dotati di grande disponibilità di tempo, da riuscire ad approfondire, più dei sanitari che si macchierebbero della cosiddetta medicina difensiva, i casi via via selezionati, potendo trarre conclusioni così chiare e ineluttabili.
29.01.2015 Cassazione Civile – (responsabilità per mancato esame istologico del nevo asportato)
L’imprudenza e negligenza del medico che aveva mancato di eseguire un esame istologico del tessuto con conseguente successivo accertamento della malattia sono alla base della responsabilità confermata dalla Corte di Cassazione con condanna del chirurgo al risarcimento del danno.
La malattia, secondo i giudici, avrebbe avuto possibilità di essere curata e comunque di subire un rallentamento del processo degenerativo che tre anni dopo avrebbe condotto il paziente ad una invalidità dell’85 per cento.
L’illecito omissivo consiste nella violazione dell’obbligo di garanzia che è intrinseco nella liceità dell’atto di intervento chirurgico, con conseguente obbligo di provare le ragioni del mancato approfondimento diagnostico.
[Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Cassazione Civile – Sez. III; Sent. n. 278 del 13.01.2015
omissis
Svolgimento del processo
1. La corte di appello di PALERMO, con sentenza del 21 marzo 2013, ha confermato la sentenza del tribunale di PALERMO del 22 settembre 2005, appellata da N.E. e lo ha condannato a rifondere ad L.A. le spese del giudizio di appello.
Il tribunale di PALERMO aveva in vero accertato, sulla base delle risultanze della consulenza medico legale e della documentazione prodotta, che il Dr. N., medico chirurgo, aveva tenuto una condotta professionale gravemente negligente per non avere approfondito gli accertamenti diagnostici e non avere consentito la diagnosi precoce del melanoma, avente notevole incidenza sulla evoluzione della malattia. Aveva quindi condannato il medico al risarcimento di tutti i danni, biologici e morali, quantificati in Euro 357.838,25, 2.Contro la decisione ricorre il Dr. N.E. deducendo cinque motivi di ricorso, non resiste L.A..
Motivi della decisione
3. Il ricorso non merita accoglimento. Per chiarezza espositiva se ne offre una sintesi dei motivi, ed a seguire la confutazione in diritto.
3.1. SINTESI DEI MOTIVI. Nel primo motivo si deduce “NULLITA’ DELLA SENTENZA ai sensi dell’art. 156 c.p.c., per motivazione apparente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5″.
La tesi – argomentata da ff. 8 a 11 del ricorso – è che la affermazione della responsabilità del chirurgo richiede una compiuta indagine ed adeguata motivazione in ordine alla sussistenza della colpa ed al nesso causale tra la omissione e l’evento. SOSTIENE il ricorrente che la CORTE NON HA MOTIVATO in ordine alla esistenza di elementi clinici che potevano far sospettare, sulla scorta delle caratteristiche della lesione al momento della asportazione, una possibilità o probabilità di evoluzione maligna.
Nel secondo motivo si deduce error in iudicando per violazione dell’art. 2043 c.c., per la violazione di principi pacificamente affermati dalla giurisprudenza dei legittimità. La tesi è che essendo ignota la sede primitiva del melanoma, la metastasi in una lesione poi scomparsa e cauterizzata, attiene al 10 o 20 per cento dei casi, sicchè il giudice del merito accerta il nesso causale su un mero dato statistico ovvero su in giudizio probabilistico inattendibile.
Nel terzo motivo si deduce error in iudicando per la lesione dell’art. 167 c.p.c..
Sul rilievo che nella comparsa di costituzione in primo grado il Dr. N. si è limitato a riconoscere di avere asportato un nevo sanguinante, senza mai affermare che lo stesso avesse le caratteristiche della pigmentazione. TALE circostanza peraltro risulta evidenziata dal CTU che registra le dichiarazioni del L..
Nel quarto motivo si deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente circa un fatto controverso e decisivo e la violazione di principi pacificamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
La tesi è che manca una adeguata motivazione del nesso di causalità tra la mancanza di tempestivi accertamenti diagnostici e la manifestazione conclamata del melanoma tre anni dopo. Nel quinto motivo si deduce ancora la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 156 c.p.c. e la motivazione apparente su un fatto controverso e decisivo, in relazione allo accertamento della gravità del danno biologico stimato nella misura della metà della percentuale dello 85 PER CENTO DI INVALIDITA’ PERMANTENTE constatata al momento della visita medica del consulente di ufficio.
CONFUTAZIONE IN DIRITTO. I primi quattro motivi del ricorso, che ratione temporis non è soggetto al regime dei quesiti, ripropongono le quattro censure già svolte dinanzi alla CORTE DI APPELLO, che puntualmente le ha riprodotte e quindi ai paragrafi 6 a 8 della motivazione, le ha confutate. Essi ruotano tutti intorno alla questione principale, che attiene alla valutazione del nesso di causalità, che viene inteso in senso deterministico, in relazione alla natura del danno che consiste nella lesione della salute a seguito di un atto medico di chirurgia routinaria di asporto di un nevo cutaneo all’altezza della regione scapolare sinistra, asportato nel X. , non seguito da un esame istologico del reperto e da ulteriori esami al fine di accertare la natura dello angioma ed i possibili sviluppi in termini di patologia oncogena – come si legge a ff 5 – 7 della motivazione nel punto in cui si riproducono le risposte ai quesiti posti dal primo giudice al CTU PROF. F..
IL PRIMO motivo del ricorso, cumulativo, poichè prospetta contestualmente error in procedendo e vizio della motivazione, difetta di specificità d autosufficienza per il vizio della motivazione, poichè pretende una terza verifica esaustiva del materiale probatorio senza indicare gli elementi clinici e scientifici che dovrebbero contestare le indicazioni peritali, ed è inammissibile sotto il profilo di error in procedendo per motivazione apparente, attesa l’ampia motivazione che, ovviamente è selettiva degli elementi di prova utili per la risoluzione del caso, che attiene a fattispecie di responsabilità professionale medica e ad un illecito omissivo, che riguarda un inadempimento ad un obbligo di garanzia in una situazione chiara di contatto sociale, dove il medico curante procede chirurgicamente senza informare il paziente della possibilità che il nevo repertato come angioma sanguinante ed ulcertato dello scapolare sinistro era con probabilità un melanoma.
In tal senso deve integrarsi la pur ampia motivazione che sembra ricondurre la fattispecie complessa ad una fattispecie di mero illecito aquiliano, per poi applicare al nesso di causalità le regole probabilistiche di cui alle regole citate a ff 12 per gli arresti giurisprudenziale 8 luglio 2010 n. 16123, 23 luglio 2010 n. 16381 e 17 gennaio 2008 n. 867, seguiti peraltro da successive decisioni conformi ma con più esatto riferimento alla fattispecie complessa che involge gli obblighi di garanzia ed il contatto sociale. VEDI per un approfondimento Cass. 25 luglio 2006 n. 16937.
Infondato appare il secondo motivo, dove il medico circoscrive la responsabilità unicamente alla fattispecie aquiliana, per contestare la valutazione probabilistica del nesso causale assumendo che era ignota la sede primitiva del melanoma.
LA INFONDATEZZA deriva dalla considerazione della natura dello illecito omissivo che consiste nella violazione dell’obbligo di garanzia che è intrinseco nella liceità dell’atto di intervento chirurgico, e tale inadempimento determina non solo un obbligo di provare le ragioni che indussero il medico a non approfondire le indagini, mentre la localizzazione del melanoma in quella prima sede risulta dal fatto che non è stata trovata altra sede primitiva e che i linfonodi interessati sono proprio quelli del drenaggio, come si legge a ff 10 della motivazione. Dove appare evidente la imprudenza e negligenza del medico che se avesse eseguito un esame istologico del tessuto CON CONSEGUENTE ACCERTAMENTO DELLA MALATTIA già nel X. , questa avrebbe avuto possibilità di cura e comunque di rallentamento del processo degenerativo che tre anni dopo avrebbe condotto ad una invalidità dell’85 per cento.
INAMMISSIBILE per difetto di specificità è il terzo motivo, atteso che il contraddittorio sulla natura della lesione ha impegnato il merito tra le parti e così l’impegno chiarificatore dei consulenti di ufficio e di parte; ulteriore profilo di inammissibilità è nella novità della questione sollevata per la prima volta in questa sede.
INAMMISSIBILE infine il quarto motivo nel punto in cui considera la motivazione sul nesso causale come apparente, e privo di specificità in ordine alla esistenza di contraria giurisprudenza o di fonti letterarie citate ma non riprodotte.
I PRIMI quattro motivi non valgono dunque a contestare i criteri adottati dai giudici del merito per constatare la esistenza di un nesso di causalità tra la condotta medica omissiva e la malattia deflagrata in un melanoma grave ed invalidante.
INAMMISSIBILE il quinto motivo che contesta lo accertamento della gravità del danno biologico, stimato nella misura della metà della percentuale di invalidità permanente costatata in sede peritale. Ed in vero il motivo resta privo si logica in relazione al fatto che la riduzione del danno biologico è favorevole al ricorrente perchè riduce il risarcimento e sul punto è venuto a mancare un ricorso incidentale della parte lesa.
IL ricorso deve essere pertanto rigettato. NULLA PER LE spese non avendo resistito la controparte. Ma ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente è tenuto al versamento dello ulteriore importo a titolo di contributo unificato come precisato in dispositivo.
P.Q.M.
RIGETTA IL RICORSO, nulla per le spese, ma ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente è tenuto a versare a titolo di contributo unificato lo ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2015