La sentenza in rassegna, pronunciata su questione ritenuta di massima importanza, apre con un excursus sui criteri di ermeneusi delle norme di legge per giungere alla conclusione che, anche in accordo con le osservazioni più volte esposte dalla Corte Costituzionale, il dato letterale, qualora non ponga dubbi sul significato delle parole nella loro connessione (art. 12 Preleggi), costituisce il limite invalicabile di interpretazione.
Con ciò la decisione sull’interpretazione dell’art. 828 comma 2 c.p.c., secondo cui l’impugnazione del lodo arbitrale deve proporsi entro un anno dalla data di sua ultima sottoscrizione, sarebbe già presa, stante la chiarezza del dettato di tale norma.
Invece la Suprema Corte si fa carico di meglio motivare, anche esponendo un excursus sull’evoluzione normativa in tema di efficacia del lodo arbitrale, sfociata con l’introduzione dell’art. 824 bis c.p.c. a norma del quale il lodo produce gli effetti della sentenza dalla data della sua ultima sottoscrizione. E la giustificazione della norma può agevolmente rinvenirsi nella diversa natura del lodo, fondato sulla volontà delle parti, rispetto alla sentenza, fondata invece sull’autorità statuale.
Il citato art. 824 bis c.p.c. si inserisce in un quadro normativo, che la sentenza compiutamente illustra, che attribuisce piena efficacia del lodo con l’ultima sottoscrizione, la quale segna anche il momento di sua definitiva immodificabilità.
A questo punto la sentenza può trarre la prima conclusione, affermando che la tesi sostenuta dal ricorrente di decorrenza del termine lungo di impugnazione dalla conoscibilità del lodo non appare fondata e sostenibile alla luce del chiaro dettato normativo; non senza osservare che, se fosse fondata tale tesi e se la comunicazione alle parti fosse, per ipotesi, omessa, paradossalmente il termine non decorrerebbe mai.
Una simile interpretazione dell’art. 828 comma 2 c.p.c., quindi, non sarebbe costituzionalmente orientata bensì, diversamente e più semplicemente, sarebbe un’inammissibile interpretazione abrogante della norma stessa.
Del resto, prosegue la sentenza, le norme che fanno decorrere il termine di impugnazione dalla pubblicità (o comunque dall’effettiva e formale conoscenza) del provvedimento prevedono, tutte, un termine assai ristretto e non invece molto ampio come quello annuale previsto dall’art. 828 c.p.c., aumentato della sospensione feriale di 30 giorni, dovendosi anche tenere conto dell’estrema brevità (10 giorni) entro il quale gli Arbitri debbono comunicare il lodo alle parti; le quali, dunque, nella peggiore delle ipotesi dispongono di ben complessivi 385 giorni di calendario per impugnare il lodo medesimo.
La ratio dell’intero e coerente sistema risiede, secondo la Cassazione, nella necessità di un consolidamento delle decisioni, anche arbitrali, e, conseguentemente, in generale, di certezza del diritto.
Ed invero nel sistema delle impugnazioni è rinvenibile l’art. 327 c.p.c., il quale prevede la decadenza dal impugnazione indipendentemente dalla notificazione del provvedimento, e ciò senza alcuna lesione dei diritti costituzionali poiché, come ripetutamente precisato dalla Consulta, la disciplina dei termini di impugnazione e della loro decorrenza rientra nella piena discrezionalità del Legislatore.
Parimenti la previsione di un termine lungo per l’impugnazione senza la necessità di previa conoscenza legale (mediante notificazione) del provvedimento appare rispettosa anche dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali UE nonché del Paragrafo 6 della CEDU.
In ogni caso la chiusura del sistema e la piena garanzia della tutela della parte processuale sono date dall’ormai generale possibilità di remissione in termini (ovviamente previa dimostrazione della non imputabilità della decadenza) prevista e disciplinata dall’art. 153 c.p.c.; norma ritenuta pacificamente applicabile anche ai termini impugnatori.
Questa l’opinione della Corte nella sua più autorevole composizione.
Senonché chiunque può comprendere come una simile soluzione, sebbene indubbiamente aderente al dettato normativo, possa costituire un intollerabile vulnus per la posizione processuale del destinatario del lodo ed interessato alla sua impugnazione. Qualunque ritardo della conoscenza del lodo eroderebbe fatalmente il pur lungo termine per la sua impugnazione.
Sulla base di tale basilare considerazione, infatti, la dottrina (E. Zucconi Galli Fonseca, Arbitrato, a cura di F. Carpi, Bologna, 2005, pag. 584) ha avanzato chiari dubbi di costituzionalità, pur dando atto della naturale rarità di ipotesi di mancata conoscenza del lodo in tempo utile. Dubbi condivisi anche da M. Rubino-Sammartano, Il diritto dell’arbitrato, Padova, 2002, pag. 840.
In modo più perentorio altra autorevole dottrina (C. Mandrioli, Diritto Processuale Civile, Torino, 2007, vol. 3°, pag. 443) senza incertezze afferma che il dies a quo per l’impugnazione del lodo decorre dalla sua comunicazione e non già dall’ultima sottoscrizione, la quale non sarebbe in alcun modo documentabile.
E proprio in ragione di tali autorevoli voci dottrinali la Suprema Corte ha ritenuto la questione di massima importanza da giustificare la decisione a Sezioni Unite.
Paolo Basso
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