“Poco brillante il dolore, come carriera percorsa nell’illecito”.
Approcci teorico-pratici da modificare, rovesciare quanto prima.
Pianto e lacrime, mai prospettarli come un doppione delle voci esistenziali: è diverso il “sentire” dal “fare”, negli esseri umani, non si confonde il fuori con il dentro. Un riconoscimento unico non basta e non avanza.
“Peggio ancora atteggiare il patimento quale appendice del biologico”: indennizzabile in percentuale, secondo una tabella di partenza. E i casi in cui si soffre, ecco la domanda, senza che il nostro corpo c’entri? Lutti, mobbing, tradimenti, un figlio nato malformato; stroncature maliziose, soprusi amministrativi, discriminazioni?
“Cosa sia la sofferenza, nelle persone, cominciare a domandarselo”. Per il legislatore, in generale, per il giudice: qualcosa più sul fisico o sullo psichico, o che stinge su entrambi, al fondo o alla superficie. Differenziare uno spasmo dall’altro, separare i crampi diurni da quelli notturni, le cicatrici; immaginare delle sub-categorie, delle scale.
Dare valore ai tempi, alla sensibilità delle vittime; i giorni asciutti distinti da quelli umidi. Non trascurando le diversità fra donna e uomo, tra anziani e non anziani; le peculiarità nei bambini, negli adolescenti.
Il male preso sul serio dal diritto.