Sul filone dei danni non patrimoniali avrei ripreso il tema delle compromissioni psichiche alla persona in un’ampia serie di articoli, nel corso degli anni ’90 e successivi.
Proprio alla fine degli anni ’80, un’altra figura del diritto privato – emergente nel settore della responsabilità aquiliana - avrebbe occupato il centro della mia agenda di lavoro. Si trattava del danno esistenziale.
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Era avvenuto che, nel 1986, un’importante sentenza della Corte costituzionale, la n.184, spostasse la gestione dei pregiudizi collegati alle attività areddituali della vittima - e inerenti a una violazione dell’integrità psicofisica - dall’art. 2059 all’art. 2043 c.c.: onde consentire una risarcibilità anche al di fuori dei casi di reato.
Mi ero presto accorto allora quante sentenze, rispetto all’attentato di prerogative anche non biologiche, tipo la serenità familiare o il diritto a non subire immissioni ambientali, venissero già in quel periodo affermando una pari necessità di tutela. Stessa presa d’atto storico/tecnica poi - nel decennio successivo, via via che i Tribunali intervenivano - rispetto ad altre situazioni soggettive del plaintiff: tipo quelle legate alla giustizia, al lavoro subordinato, a una serie di contratti, alla pubblica amministrazione, oltre che al campo dei diritti della personalità (‘’NON DI SOLA SALUTE VIVE L’UOMO’’).
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Qualche anno più tardi - dopo che nel 2000 il danno esistenziale era stato consacrato dalla Cassazione (sent. 1773) - avrei cercato in un lungo saggio, costatomi un’intera estate di lavoro, di fornire una sorta di sistematica per la neo-voce riparatoria: fonti positive, diritto comparato, casistica giurisprudenziale, rapporti col danno biologico e col danno morale, prova, quantificazione, consulenze (‘’ESISTERE O NON ESISTERE’’). E, fra gli articoli di quegli anni, ne ricorderò un altro che avevo messo a punto per commentare una sentenza, in cui la Cassazione penale - riguardo al caso di un errore giudiziario, causa di sette anni di ingiusta carcerazione - aveva salutato con particolare gratitudine, nel fissare e un risarcimento di vari milioni di euro, l’avvento del danno esistenziale (‘’IL CASO BARILLÀ’’).
Sarà poi un verso di Dylan Thomas a ispirarmi il titolo per un’altra annotazione, sotto vari aspetti polemica, nei confronti delle ‘’sentenze gemelle’’ (nn. 8827 e 8828) attraverso le quali la Cassazione civile, mediante un richiamo alla Costituzione, aveva nel 2003 riportato il danno esistenziale, di taglio sia biologico che non biologico, entro l’orbita disciplinare dell’art. 2059 c.c. (‘’ANCHE SE GLI AMANTI SI PERDONO L’AMORE NON SI PERDERÀ’’).