-  Gasparre Annalisa  -  16/05/2012

CASE DI RIPOSO E ABBANDONO DI INCAPACE - Cass. 24580/2011 - Annalisa GASPARRE

CASE DI RIPOSO E ABBANDONO DI INCAPACE – Cass. pen. sez. V, sent. n. 24580 del 9 marzo 2011 dep. 20 giugno 2011 - Pres. R.L. Calabrese – Rel. P. Oldi

Un'anziana incapace di provvedere a se stessa perché affetta da morbo di Alzheimer decedeva a causa delle incurie subite nella casa di riposo in cui era ricoverata.

Accusati di abbandono di incapace aggravato dalla morte il gestore della struttura e la proprietaria della stessa. In Cassazione veniva confermata la sola condanna del gestore, colpevole per aver affidato l'anziana – unitamente agli altri pazienti – a personale non idoneo, privo della professionalità richiesta. L'assistenza inadeguata aveva provocato un grave stato di disidratazione, aggravato dall'interruzione della fleboclisi da parte del personale, con la conseguenza che neppure la successiva compensazione presso l'Ospedale in cui l'anziana veniva ricoverata, aveva colmato quel vulnus delle capacità di reazione dell'organismo.

Secondo gli accertamenti, tali condizioni accelerarono cronologicamente il decesso e ne aumentarono le probabilità, a prescindere dalla patologia preesistente. E anche accelerare l'evento letale – pur destinato a realizzarsi a breve – costituisce causa efficiente (sentenza Franzese) (vedi anche Cass. pen., sez. I, 15 gennaio 2009 n. 5945 Pres. Chieffi – Rel. Zampetti).

Peraltro, nella lettura giurisprudenziale del reato di abbandono di incapace – che è reato di pericolo – l'evento aggravatore della morte si pone come possibile esito, la cui causalità va ricondotta all'abbandono in concorso con la pregressa patologia (tale stato è presupposto del reato, perché la persona per essere soggetto passivo del delitto in parola, deve essere in condizione di "malattia di mente o di corpo" ovvero "di vecchiaia" tale da non poter provvedere a se stessa).

Quanto invece alla posizione della proprietaria della struttura e delle relative licenze amministrative, la Suprema Corte rifiutava le conclusioni cui erano giunti i giudici di merito, in quanto privo di consequenzialità logica era il ragionamento che spiegava il coinvolgimento dell'imputata nella gestione della casa di riposo e, dunque, nel concorso nel reato di abbandono di incapace, com'era limitato al dato di fatto – esclusivamente formale – della titolarità delle licenze amministrative.

 

La sentenza

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CALABRESE Renato Luigi - Presidente -

Dott. AMATO Alfonso - Consigliere -

Dott. DUBOLINO Pietro - Consigliere -

Dott. OLDI Paolo - rel. Consigliere -

Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) D.D.B., N. IL (OMISSIS);

2) M.F. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 59/2008 CORTE ASSISE APPELLO di ROMA, del

23/03/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/03/2011 la relazione fatta dal

Consigliere Dott. PAOLO OLDI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gioacchino Izzo,

che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi;

Uditi, per le parti civili, gli Avv.ti Moretti Franco ed Musco Enzo;

Udito il difensore Avv. Madia Nicola Giuseppe.

FATTO

Con sentenza in data 23 marzo 2010 la Corte d'Assise d'Appello di Roma, confermando la decisione assunta dal giudice dell'udienza preliminare del locale Tribunale in esito al giudizio abbreviato, ha riconosciuto D.D.B. e M.F. responsabili, in concorso fra loro, del delitto di abbandono di personaincapace seguito da morte.

In fatto era accaduto che l'anziana C.G., incapace di provvedere a se stessa perchè colpita da morbo di Alzheimer e ricoverata nella casa di riposo "(OMISSIS)", appartenente alla D.D. e della quale il M. aveva la gestione, fosse stata trasferita al Policlinico (OMISSIS) perchè riscontrata affetta da disidratazione, shock e stato cachettico; e, malgrado le cure ivi prestatele, fosse deceduta il giorno successivo.

Dalle indagini espletate era emerso che la casa di riposo " (OMISSIS)" era inadeguata all'assistenza dei ricoverati per insufficienza e scarsa professionalità del personale addetto: donde la responsabilità del gestore M., per aver abbandonato la C. - al pari degli altri ospiti della casa di riposo - affidandola a personale inidoneo, così causandone prematuramente il decesso; e della D.D. a titolo di concorso, stante la sua cointeressenza nella gestione della struttura.

Hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione gli imputati, per il tramite del comune difensore, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo, riguardante la posizione della D.D., si denuncia vizio di motivazione per avere la Corte di merito forzatamente delineato una partecipazione dell'imputata nella gestione della casa di riposo, in assenza di elementi probatori e per il solo fatto che avesse ricevuto delle somme a titolo di affitto della struttura.

Col secondo motivo i ricorrenti contestano la sussistenza del nesso causale fra lo stato di disidratazione nel quale la C. si era venuta a trovare e l'evento letale poi verificatosi.

Col terzo motivo impugnano, siccome eccessiva, la quantificazione della pena inflitta.

DIRITTO

Dei ricorsi proposti dai due imputati, confluiti nell'atto d'impugnazione congiunto, solo quello di D.D.B. si rivela fondato. Non risponde, invero, ai canoni della consequenzialità logica il ragionamento col quale la Corte di merito è pervenuta a ritenere provato il coinvolgimento di tale imputata nella gestione della casa di riposo "(OMISSIS)".

Gli elementi valorizzati a tal fine nella sentenza impugnata sono di duplice ordine e riguardano, per un verso, la titolarità in capo alla D.D. delle licenze amministrative riguardanti l'attività della casa di riposo, donde quel collegio ha tratto il convincimento che esistesse "una dimostrabile continuità sul piano amministrativo della gestione dell'imputata"; per altro verso gli elementi raccolti si riferiscono alle movimentazioni del conto corrente attestate dalla documentazione bancaria acquisita: da esse si sarebbe dovuto desumere, nelle aspettative della difesa, il versamento periodico a favore della D.D. di canoni fittalizi, dimostrativi della sua mera qualità di locatrice della struttura; di contro la Corte d'Assise d'Appello ha ravvisato in un bonifico della somma di Euro 5.000,00 la prova dell'esistenza di un conto corrente comune ad entrambi gli imputati, sul quale sarebbero affluite le somme erogate per l'affitto della casa di riposo.

Orbene, per quanto si riferisce alla prima delle due linee argomentative testè riassunte, va rimarcato che l'affermazione riguardante una pretesa continuità di gestione manca di un presupposto fattuale, su cui la motivazione non si sofferma, che dovrebbe essere costituito dall'accertamento di una pregressa gestione, facente capo alla D.D., della casa di riposo "(OMISSIS)". Di un'acquisizione probatoria in tale proiezione la sentenza non da conto in alcun modo: il che sarebbe stato necessario, atteso che la titolarità delle licenze amministrative è dato esclusivamente formale, per nulla dimostrativo della effettività della gestione.

Quanto alla seconda linea argomentativa, non si riesce davvero a cogliere la connessione logica fra l'accertato trasferimento di una somma, da un conto corrente all'altro per mezzo di bonifico bancario, e la conclusione trattane circa la comunanza del conto corrente di accredito. Non vale certamente a sorreggere il ragionamento la maggiore entità dell'importo versato, rispetto al normale ammontare del canone fittalizio, sussistendo comunque un'incolmabile crasi di carattere logico fra l'incertezza sulla causale del pagamento (immotivatamente ricondotta a condivisione degli utili della casa di riposo) e l'attribuzione al solvente della qualità di contitolare del conto corrente creditore.

D'altra parte occorre non dimenticare che il riconoscimento di responsabilità per il contestato delitto di abbandono di persona incapace seguito da morte esige la certezza che l'imputata sia stata a conoscenza, in via generale, delle condizioni nelle quali veniva prestata assistenza agli anziani nella casa di riposo, ed in particolare della qualità delle cure prestate a C.G. in rapporto alle esigenze del suo stato di salute; risultato probatorio, questo, al quale certamente non si perviene muovendo soltanto dalla titolarità delle licenze amministrative o dalla pretesa compartecipazione agli utili della struttura.

Sussiste, pertanto, una vistosa lacuna motivazionale che vizia la sentenza impugnata nella parte riguardante la D.D.: onde s'impone il suo annullamento con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d'Assise d'Appello di Roma.

Privo di fondamento è, invece, il ricorso proposto da M. F., sulla cui qualità di amministratore della casa di riposo nessun dubbio sussiste. Tale imputato incentra la sua linea difensiva sulla contestazione del nesso causale fra lo stato di disidratazione in cui versava la C. all'atto del ricovero nel Policlinico (OMISSIS) e l'evento letale seguito il giorno successivo; in proposito il ricorrente si richiama al parere espresso dal consulente della difesa, secondo cui la morte si era verificata per l'ordinaria progressiva evoluzione della patologia da cui era affetta la paziente, cioè della sindrome di Alzheimer; in tale ottica non avrebbe avuto alcuna influenza eziologica la disidratazione diagnosticata dal medico intervenuto a seguito di chiamata al 113, atteso che il decesso si era verificato a distanza di ore dal ricovero, quando era già in atto una importante reidratazione.

Il ricorrente si mostra ben consapevole della impossibilità di formulare, nel giudizio di cassazione, censure appartenenti all'area del merito: e per tale ragione assegna alle proprie argomentazioni il valore di critiche alla correttezza logico-giuridica della sentenza impugnata. Ma la motivazione addotta in proposito dalla Corte d'Assise d'Appello si mostra, invece, inattaccabile sotto tale profilo.

Ha infatti considerato quel collegio che uno stato avanzato di disidratazione, quale quello constatato a carico della C. dal medico del 118 e aggravato dall'interruzione del flusso della fleboclisi per incuria del personale della casa di riposo (tanto da rendere necessario il ricovero ospedaliero), quando pure suscettibile di successiva compensazione, provoca inevitabilmente un vulnus delle capacità di reazione dell'organismo, così da avvicinare il decesso in termini cronologici e probabilistici, quale che sia la patologia preesistente. Ha considerato, altresì, che secondo un principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, nel reato di abbandono di persona minore o incapace l'evento aggravatore della morte non si pone in rapporto di causalità esclusiva, ma di concausa con la condizione patologica della parte lesa (rectius: l' abbandono si pone come concausa della morte, in concorso con la preesistente patologia).

Tale modo di argomentare, siccome immune da vizi di carattere logico e giuridico, resiste alle censure opponibili in sede di legittimità e fornisce adeguata motivazione alla pronuncia di condanna emessa nei confronti del M..

Inammissibile, infine, è il motivo di ricorso col quale è impugnata la determinazione del trattamento sanzionatorio. In proposito va rimarcato che tanto la modulazione della pena quanto il bilanciamento delle circostanze sono statuizioni che l'ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la relativa decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica.

Nel caso di specie la Corte territoriale non ha mancato di motivare la propria decisione sul punto in questione, riconoscendo significativa valenza all'intensità del dolo, attestata dalle condizioni in cui non soltanto la vittima dell'illecito qui contestato, ma un numero indefinito di persone erano state ridotte.

Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura, rendendo adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata; d'altra parte non è necessario, a soddisfare l'obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., essendo invece sufficiente l'indicazione di quegli elementi che, nel discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente M. F. al pagamento delle spese processuali.

L'applicazione del principio di soccombenza comporta inoltre la condanna del M. alla rifusione delle ulteriori spese sostenute dalle parti civili nel giudizio di legittimità; la relativa liquidazione è effettuata, per ciascuna delle due paia di litisconsorti, in complessivi Euro 2.500,00 per onorari, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.D. B., con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'Assise d'Appello di Roma.

Rigetta il ricorso di M.F., che condanna alle spese del procedimento e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate, per A. e C.D., in Euro 2.500,00 per onorari, e per Ca.An. e C. G.N. nella stessa misura, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2011




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