Lo stato di infermità o di deficienza psichica della persona - anche se non consiste in una vera e propria malattia mentale - deve provocare un'incisiva menomazione delle facoltà di discernimento o di determinazione volitiva, tale da rendere possibile l'intervento suggestivo dell'agente (cioè la circonvenzione). L'incapacità nel soggetto passivo è presupposto del reato e deve essere dunque accertato al di là di ogni dubbio.
Nel caso in esame, i giudici di merito accertavano che la persona offesa, alcooldipendente, veniva spesso ricoverata per scompensi psicotici e crisi depressive. Godeva poi un amministratore di sostegno.
L'imputato viveva in casa della vittima da oltre tre anni, a causa di frequenti liti, veniva spesso cacciato per poi farvi rientro, forte del consenso/inerzia che la persona offesa prestava per essere psicologicamente incapace di opporre resistenza.
I giudici hanno ritenuto che il mantenimento dell'imputato, la erogazione di continue anche se modeste, somme di denaro costituivano un depauperamento gratuito e senza alcuna contropartita ai danni della persona offesa e quindi confermavano la condanna per circonvenzione di incapace dell'imputato.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 3 – 16 ottobre 2012, n. 40429
Presidente Carmenini – Relatore Iannelli
Osserva
Tramite difensore, A.S.I.A.S.B. ricorre per cassazione avverso la sentenza della corte di appello di Venezia, datata 30.11/12.12.2011 che confermava la di lui condanna per il delitto di circonvenzione continuata di persona incapace - ex art. 643 c.p. -, inflittagli con la sentenza in primo grado del tribunale di Vicenza datata 22.1.2009, solo riducendo la pena, in seguito alla concessione delle attenuanti generiche, da anni tre, mesi sei di reclusione ed euro 500.00 di multa ad anni due, mesi quattro di reclusione e euro 400 di multa, deducendo, con il richiamare l'art. 606 lett. b e d) codice di rito due ragioni di doglianza: illogicità della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza della deficienza psichica della persona offesa, S.A.M., per non essere stato disposto alcun accertamento tecnico sulla di lei situazione psicologica, ancora manifesta illogicità della motivazione sul punto dell'effettivo compimento da parte della predetta di atti dannosi. All'esito delle argomentazioni difensive si chiedeva, in via subordinata, la riduzione della pena.
Di certo non fondato il primo motivo di ricorso: invero lo stato di infermità o di deficienza psichica della persona, non deve necessariamente consistere in una vera e propria malattia mentale, deve comunque provocare, una incisiva menomazione delle facoltà di discernimento o di determinazione volitiva, tale da rendere possibile l'intervento suggestivo dell'agente. Deve in altri termini essere esclusa la capacità del circonvenuto di avere cura dei propri interessi. La sussistenza di questa condizione di incapacità del soggetto passivo costituisce un presupposto del reato e pertanto il giudizio di colpevolezza può fondarsi solo sull'assoluta certezza della sua sussistenza. Un tale stato di inferiorità psichica è stato tratto correttamente dai giudici di merito da una serie di circostanze per nulla contestate dalla difesa dell'imputato: la persona offesa ha un amministratore di sostegno, è dipendente dall'alcool, subisce frequenti ricoveri per scompensi psicotici e crisi depressive. Ne consegue che è in un tale stato, che non equivale certo ad una totale incapacità di intendere e volere, ma solo ad una debilitazione dello stato psichico, tale da poter essere fronteggiata con l'istituto dell'amministrazione di sostegno, misura alternativa alla pronuncia di interdizione e inabilitazione perché, tra l'altro, presuppone una menomazione fisica o psichica sì, ma non talmente grave a dar luogo a misure più incisive in termini di limitazioni alla propria autodeterminazione.
Infondato parimenti deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, nella misura in cui segnala il compimento di atti non dannosi per la persona offesa: l'imputato è stato mantenuto dalla persona offesa per oltre tre anni, ospitato in casa sì ma - lo si deduce dalla sentenza di primo grado - con frequenti liti in seguito alle quali egli veniva cacciato di casa, per poi rientrare accettato supinamente dalla persona offesa, certamente in grado di non opporre resistenza per le sue precarie condizioni psichiche, come nessuna resistenza la persona offesa è stata in grado di opporre alla introduzione in casa di altri extracomunitari, ivi sorpresi dai servizi sociali. Ebbene i giudici di merito hanno sottolineato il fatto che il mantenimento dell'imputato, la erogazione di continue anche se modeste, somme di denaro costituivano un depauperamento gratuito e senza alcuna contropartita ai danni della persona offesa.
Inammissibile, poi, è la censura in merito alla determinazione della pena: a fronte della riduzione della pene in grado di appello, per la sua fissazione nel minimo edittale e la concessione delle attenuanti generiche, il ricorrente si limita a chiedere una ulteriore riduzione, senza indicare circostanze e ragioni che possano giustificare la richiesta.
Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposta deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.