-  Redazione P&D  -  15/01/2017

Alcune brevi note su LOrco in canonica di Paolo Cendon – Giovanni Catellani

Nella copertina del libro, Il titolo, "L"orco in canonica", ha un carattere in neretto, mentre il nome dell"autore, Paolo Cendon, e il sottotitolo, "Una ragazza esce dal buio del passato", sono evidenziati con un carattere bianco.

La stessa differenza la si nota nella pagina interna che indica autore, titolo e sottotitolo. In nero il secondo, in grigio il primo e il terzo.

Si tratta, ovviamente, di una scelta grafica, ma è un particolare che manifesta una circostanza significativa: all"autore è ricollegabile più il sottotitolo che non il titolo.

Perché a Cendon interessava ascoltare e narrare una vita alla ricerca di speranza e riconoscimento.

Così Paolo Cendon ha raccontato, attraverso un romanzo, la storia vera di una ragazza che esce dal buio del passato.

Un passato di violenze causate da un prete, l"orco in canonica, da qualcuno che caratterizza drammaticamente questa storia ma ne rimane, in fondo, un protagonista secondario.

Il libro parla di episodi di pedofilia avvenuti in modo continuativo e reiterato all"interno di una canonica ad opera di un certo Don Fausto, ma non vuole essere una denuncia sociale della pedofilia o l"atto di accusa nei confronti di un ambiente particolare come quello ecclesiastico.

A Cendon non interessa accusare o ancor meno condannare una persona o un ambiente.

Ciò che interessa a Cendon è narrare la storia reale di una donna, Anna, che gli ha raccontato le sue vicissitudini esistenziali, si è confrontata con lui per uscire dal buio di una precisa e drammatica esperienza.

La vera protagonista del libro è Anna, con il suo passato, la sua memoria, le sue sofferenze, i suoi tentativi per uscirne e infine il suo presente che le annuncia un futuro diverso e la possibilità di una esistenza nuova.

Il romanzo di Cendon narra una storia ben precisa, quella di una vita nella sua singolarità e dello sforzo di affermare una possibilità comunque.

Non c"è nulla di generico nel testo, nessuna generalizzazione attraverso l"uso di categorie. Bastano i primi cinque capoversi del libro per capirlo, è sufficiente leggere le prime 25 righe, per entrare in una storia fatta di puntuali e precisi dettagli che non lasciano nulla al caso, alla fantasia o alle vacue formule di certe denunce sociali.

Non poteva che essere così, perché se è vero che "L"orco in canonica" è la prima esperienza narrativa di Cendon, è altrettanto vero che l"autore è un giurista che ha caratterizzato la sua ricerca intellettuale e scientifica spingendo l"applicazione diritto al di là delle categorie fissate dai codici, attraverso un"analisi precisa delle fragilità che caratterizzano l"esistenza.

Cendon ha fatto la storia del diritto italiano estrapolando dalla vita che attraversa ognuno di noi elementi singolari da sottoporre sia al legislatore che alla giurisprudenza, per affermare nuove forme di riconoscimento.

In questo libro, il giurista diventa romanziere, anzi narratore, adottando lo stesso metodo, ascoltando e scavando nei dettagli di una storia, raccontando il dipanarsi delle diverse età di una bambina che diventa ragazza prima e donna poi.

Cendon ha creato diritto a partire dalla singolarità di ogni esistenza.

Il narratore non può spogliarsi di questo abito intellettuale ed inevitabilmente "L"orco in canonica" è attento alla singolarità e ai dettagli di una storia reale che merita di essere narrata, perché ne emerga la verità, perché, citando le parole di Walter Benjamin, sia riaffermata la "capacità di scambiare esperienze".

C"è poi lo stile inconfondibile di Paolo Cendon, quel suo modo di scrivere che avvicina sempre le parole alla vita, che riesce ad essere originale, con una ricchezza semantica che non diventa mai retorica.

Tanti gli esempi di una narrazione asciutta che ricorda l"incedere di certi suoi contributi giuridici: "Affrontare di petto Don Fulvio, informandolo circa i malesseri che l"affliggevano: pretendendo da lui un cambiamento di rotta. Chiamare in causa il parroco, don Crispino Lavezzi, suo confessore da sempre, da cui don Fulvio dipendeva come grado: e che l"avrebbe potuto richiamare all"ordine. Appoggiarsi a Marisa Armeri, l"insegnante di religione alle elementari, che Anna spesso incontrava in parrocchia: e che aveva il pregio di essere donna."

Lo stile e la sintesi perfetta nel passaggio giuridicamente più significativo per il narratore che è uno scienziato del diritto: "Era stato fatto del male ad Anna, da qualcuno, nel lontano passato; la cosa era avvenuta in parrocchia – quasi certo ormai … - per anni di seguito: impossibile non vedere le omissioni che erano state compiute, durante tutto quel tempo, dai superiori del Rosario; con l scolaretta abbandonata alla sua sorte, in balia del lupo sconosciuto. Responsabilità da mancata protezione, ecco il nodo – un caso da manuale, a carico di entrambi i sacerdoti: questa l"accusa che la maestra sentiva incombere, dopo i risvegli della vittima, favoriti dalla terapia con lo psicologo. E che si sforzava di contrastare. Tanto meno lontana, un"eventualità simile, da quando Anna aveva lasciato intendere che una denuncia contro ignoti, chissà, sarebbe un giorno potuta arrivare. Aiutare l"ex allieva a scoprire chi era stato? Per la maestra erano ricerche da soffocare. Simpatia verso i preti del Rosario? Nel giro d"aria c"era anche lei, chioccia un po" disattenta. Sospetti sul parente notturno, avvisi che altri stavano già flagellandosi? Espedienti per sviare l"attenzione delle parti lese."

Infine aspetti lessicali sempre nuovi, mai banali: "Più il cammino proseguiva, più si sentiva rimescolare; velami spessi che si agitavano, dentro di lei, cassetti scostati di pochi millimetri: non era sicura di volerli spalancare, era utile farlo?"

La storia allora.

La vicenda di Anna viene narrata attraverso sei parti: Il percorso; Manovre; Il buio; La memoria; La giustizia; Venezia.

Anna subisce le violenze di Don Fulvio, le omissioni di chi sa e non vuole dire; vive poi un periodo di crescita senza memoria con i sintomi attanaglianti di un malessere profondo; arriva alla scoperta di quello che ha vissuto grazie ad una determinazione vitale e alla psicoanalisi; decide di denunciare quanto le è capitato e di affrontare la giustizia anche grazie al confronto col Professore; infine, laureatasi in giurisprudenza, durante un ultimo incontro con il narratore a Venezia, fa un bilancio di quanto ha vissuto e annuncia un evento che sta per cambiare il suo futuro.

Tutto il romanzo ha il suo filo di Arianna nel doppio binario che caratterizza la vita di Anna: da un lato la sofferenza vissuta, attraverso le violenze prima, con il ricordo poi, e dall"altro lo sforzo costante per uscirne, come ad esempio con certe posture durante le violenze, e con la volontà di andare oltre il ricordo alla ricerca di una nuova vita.

Doppio binario che caratterizza tutte le parti del libro, tutto il percorso della sua storia, sino al bellissimo capitolo finale che vede i luoghi di Venezia creare un contrappunto con la riflessione di Anna sul bene e sul male che caratterizzano la sua ancora giovane esistenza.

Anche l"andamento delle vicende giudiziarie ha un registro fatto di sconfitte e vittorie, quest"ultime, le definitive, nel segno della responsabilità degli enti ecclesiali preposti alla sorveglianza del luogo nel quale si erano consumate le violenze.

Anna, nome inevitabilmente di fantasia, è una persona in carne ed ossa che un giorno ha deciso di raccontare la sua vicenda al professor Paolo Cendon.

Il Professore non è solo il narratore della storia, ne è anche un protagonista quale interlocutore di Anna nel fare emergere il suo racconto.

E" con il Professore che Anna fa il suo bilancio finale sulle cose buone e quelle cattive della sua vita, sette anni dopo la sentenza della Corte di Appello che aveva riconosciuto la responsabilità di Don Fausto.

Nel frattempo si è laureata in giurisprudenza e vuole diventare avvocato, per "difendere chi sta peggio, chi è abbandonato a se stesso", ha collaborato con il Professore all"università di Pavia, anche sul tema degli abusi sessuali, ma si tratta di circostanze di contorno.

Tredici anni sono trascorsi da quando decise di incontrare il Professore per parlargli della sua storia ed è il tempo di un ultimo incontro a Venezia.

Prendere gli ultimi appunti per poi ricontrollare il testo; parlare della sentenza della Cassazione che conferma la condanna al risarcimento del danno, ma dichiara la prescrizione della responsabilità penale, comunque riaffermata, di don Fausto; passare in rassegna il presente dei vari protagonisti della vicenda; verificare buio e luce di ognuno di loro; sottolineare il bene e il male del vissuto; fare un bilancio della propria vita mentre i luoghi di Venezia fanno da sfondo.

Poi il saluto finale, le parole del professore narrante, le ultime righe del libro:" Cinque minuti dopo, in piedi sul marciapiede per l"ultimo saluto, sentivo le parole di Anna risuonarmi ancora nelle orecchie, mentre il treno cominciava a muoversi in direzione di Milano".

Il libro si conclude così come era iniziato, le parole di Anna sono quelle che danno corpo alla narrazione e che continuano a creare una risonanza quando lei se ne va dopo l"ultimo incontro col professore.

Il professore ha ascoltato e continua a farlo: ciò gli permette di narrare una storia che ora possiamo leggere e che diventa un"esperienza comune.

La narrazione è davvero tale, è un reale scambio di esperienze che vengono trasmesse, quando si fonda sulla capacità di ascolto.

Bello allora ricordare come Benjamin scriva che "Ci si è resi conto di rado che il rapporto ingenuo dell"ascoltatore al narratore è dominato dall"interesse a conservare ciò che viene narrato. L"essenziale per l"ascoltatore non prevenuto, è di assicurarsi la possibilità della riproduzione."

Cendon si inscrive nella più nobile tradizione narrante, da sempre consapevole, e qui Benjamin cita Pascal, che "Nessuno muore così povero da non lasciare nulla in eredità".

Questo libro ne è una ulteriore testimonianza, ma si tratta di una apparente novità nel suo percorso intellettuale, perché il giurista Cendon ha sempre saputo ascoltare le parole delle tante vite nelle quali si è imbattuto, che lo hanno attraversato: l"ascolto ingenuo e non prevenuto è la cifra della sua ricerca scientifica, della sua continua opera di scavo, di superamento delle categorie giuridiche alla ricerca della massima adesione possibile tra diritto e vita.

In fondo Cendon è sempre stato un narratore anche quando ha scritto e curato le centinaia di volumi che fanno parte del nostro patrimonio giuridico: invitando gli avvocati a raccogliere e documentare ogni dettaglio utile a sostenere la singolarità della vita di una persona che chiede giustizia; chiedendo ai giudici di ascoltare la Costituzione nelle sue risonanze civilistiche meno evidenti per riconoscere istanze vitali; indicando agli studiosi la necessità di ascoltare tesi differenti e, soprattutto, chi non ha la voce per farsi sentire.

Anna è solo l"ultimo dei suoi interlocutori.




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