Stranieri, immigrati  -  Redazione P&D  -  20/10/2023

A Lampedusa "trattamento inumano" e "detenzioni arbitrarie"

LA CORTE EUROPEA CONDANNA L’ITALIA

ROMA DOVRÀ RISARCIRE TRE RAGAZZI TUNISINI PASSATI DA LAMPEDUSA FRA IL 2017 E IL 2019.

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Nuova tegola per l’Italia da Strasburgo. Per il “trattamento inumano e degradante”, la mancanza di assistenza legale e per averli “arbitrariamente privati della loro libertà” in assenza del provvedimento di un giudice che lo disponesse, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani a risarcire tre naufraghi tunisini passati da Lampedusa tra il 2017 e il 2019.

Di per sé, una sconfessione del modello hotspot, una struttura che carcere non è, ma da cui di fatto nella maggior parte dei casi non si può uscire. Potenzialmente però si tratta anche della conferma di una potenziale valanga.

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Che Lampedusa sia stato un limbo in cui i diritti umani, universalmente riconosciuti, siano stati negati lo aveva già affermato una sentenza della Cedu nel marzo scorso e quella pronuncia – conferma la decisione di ieri dei giudici – ha fatto giurisprudenza. Notizia pessima e monito per il governo Meloni che di hotspot ne sta tirando su in tutta Italia e tutti con le medesime criticità che la Cedu ha sanzionato. A partire dall’impossibilità di lasciare la struttura, in cui spesso non vengono garantite né assistenza legale certa e in tempi consoni, né informazioni sui propri diritti come sulla possibilità di chiedere asilo e protezione.

A.B., uno dei ricorrenti che dal Viminale dovrà ricevere 5mila euro di risarcimento danni non materiali, che si sommano ai 4 che l’Italia dovrà versare per spese legali e altri oneri, a Lampedusa ci è finito due volte e in nessuno dei due casi ha avuto la possibilità di esporre le sue ragioni o di contattare un legale. M.A, un altro dei ragazzi tunisini che ha portato l’Italia in giudizio e dovrà essere risarcito, con un legale è riuscito a parlarci solo fortunosamente attraverso la recinzione. Era il 2018, ma nella maggior parte dei centri di primissima accoglienza la situazione è ancora la stessa. E oggi come allora, la permanenza nelle strutture continua ad allungarsi ben oltre le massimo 48-72 ore stabilite e senza alcuna possibilità di lasciarle.

Tramite i suoi avvocati il governo ci ha provato a contestare la cosa. Tutti – ha sostenuto – avrebbero potuto lasciare l’hotspot. Sarebbe bastato – si legge nelle carte - fare ricorso “rivolgendosi al prefetto per ottenere un permesso temporaneo per lasciare il centro” e “nel caso in cui l’istanza fosse stata respinta, avrebbe potuto impugnare la relativa decisione dinanzi a un giudice civile” o “presentare un ricorso urgente ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile”, oppure, in caso di mancata risposta, “presentare ricorso al tribunale amministrativo”. Peccato – sottolinea la Corte - che nessuno lo abbia mai informato dei propri diritti o sia mai stato messo nelle condizioni di parlare con un legale, motivo per cui l’Italia è stata condannata.

In più, sottolineano i giudici nei provvedimenti, tutti sono stati rinchiusi in quelle strutture, dunque di fatto detenuti “senza una base giuridica chiara e accessibile e in assenza di un provvedimento motivato che disponesse detenzione”. Per questo, per la Cedu, sono stati “privati arbitrariamente della libertà”. E poco importa che esistano possibilità di contestare la cosa: in assenza di contestazione formale o provvedimento “la Corte – si legge nelle carte - non vede come le autorità avrebbero potuto informare il ricorrente delle ragioni giuridiche della sua privazione della libertà o fornirgli informazioni informazioni sufficienti per consentirgli di contestare dinanzi ad un tribunale i motivi della sua detenzione di fatto”. Traduzione: se non c’è accusa formale, né provvedimento che disponga e motivi la detenzione come si fa a contestarlo? Ecco perché la Corte ha ritenuto sanzionabile il trattenimento a Lampedusa Per altro in una struttura “inadeguata” e “fatiscente” e in “condizioni inumane e degradanti”.

Che sia tutto reale, concreto e provato, i giudici non usano neanche troppe parole per spiegarlo. Ci sono sentenze che lo hanno già stabilito, ricorda la Corte, anche a partire dalle relazioni del Garante dei diritti delle persone detenute che per diversi anni ha denunciato che l’hotspot era collocato in una struttura “sporca e fatiscente”, mancante di spazi e servizi a sufficienza, a partire dai posti letto. Nel 2019 si segnalava inoltre che nell’hotspot c’erano solo due bagni condivisi da quaranta persone, in molti erano stati costretti a dormire fuori dalle palazzine, in cui c’era sempre o troppo caldo o troppo freddo.

Sentenze che si inseriscono nel solco delle precedenti pronunce in materia, in molto le ricalcano, su certi aspetti vanno anche oltre, certificando ulteriori violazioni delle norme comunitarie. La fotografia arriva fino al 2019. Da allora, poco o nulla è cambiato. E l’Italia potrebbe materialmente pagarlo a caro prezzo.

 

 




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