-  Graziuso Emilio  -  01/03/2012

VENDITA FUORI SEDE DI STRUMENTI FINANZIARI: FORO DEL CONSUMATORE - Cass. 1875/2012 – Emilio GRAZIUSO

Con l"ordinanza n. 1875, emessa in data 8 febbraio 2012, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del foro del consumatore, questa volta in materia di controversie aventi ad oggetto strumenti finanziari stipulati fuori dai locali commerciali.

Come è noto la norma di riferimento in materia è costituita dall"art. 63 d.lgs. 206 del 6 settembre 2005, codice del consumo (nel prosieguo "cod. cons."), il quale dispone che "per le controversie civili inerenti all"applicazione del presente capo la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato".

Orbene, nel caso di specie è accaduto che i consumatori avevano promosso il giudizio nei confronti della propria controparte professionale dinnanzi al giudice del luogo dove quest"ultima ha la propria sede legale.

Per quanto, quindi, possa sembrare paradossale, l"Istituto di credito convenuto in giudizio ha sollevato l"eccezione di incompetenza territoriale, che è stata accolta dal Giudice di prime cure sulla scorta dell"inderogabilità del foro previsto dall"art. 63 cod. cons.

Della vicenda è stata investita, attraverso regolamento di competenza, la Suprema Cortela quale  ha stabilito che per le controversie concernenti i contratti negoziati fuori dei locali commerciali relativi a strumenti finanziari il consumatore può adire un giudice diverso "da quello del foro del consumatore d.lgs.n. 206 del 2005, ex art. 63, competente per territorio giusta uno dei criteri posti agli artt. 18, 19 e 20 c.p.c., senza che, in accoglimento della relativa eccezione sollevata dal professionista ovvero d'ufficio, tale giudice possa dichiarare la propria incompetenza anche a svantaggio, e cioè in pregiudizio dell'interesse, del consumatore".

È, quindi, evidente che, con l"ordinanza in esame, la Corte di legittimità ha sancito un principio fondamentale, vale a dire la possibilità per il consumatore di derogare, in base ad uno dei criteri posti dagli artt. 18, 19 e 20 c.p.c., alla competenza prevista dall"art. 63 cod.cons., la cui "inderogabilità" vale solo nei confronti del professionista.

Oltre che per la tematica concernente la derogabilità del foro nel caso di controversie aventi ad oggetto la vendita di strumenti finanziari effettuata fuori sede, l"ordinanza in esame offre la possibilità di soffermarsi, seppur brevemente, sul rapporto tra lo status giuridico di consumatore e quello di risparmiatore.

Sebbene, infatti, la legislazione, comunitaria e nazionale, che governa la materia, la dottrina e la giurisprudenza civile, nel solco della quale si pone anche la pronunzia in commento, hanno sempre applicato al risparmiatore la disciplina consumeristica, prima contenuta nel codice civile ed in leggi speciali e dal 2005  raccolta nel codice del consumo, l"Ufficio del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Milano, nell"ambito del processo Parmalat, in data 25 gennaio 2005, ha emesso una ordinanza con la quale ha escluso dalla costituzione di parte civile, sulla scorta di considerazioni che lasciano alquanto perplessi circa la propria fondatezza, alcune Associazioni dei consumatori, appartenenti al Consiglio Nazionale Consumatori Utenti (CNCU) e, quindi, maggiormente rappresentative dei diritti dei consumatori

Le Associazioni, infatti, sono state escluse dalla costituzione di parte civile in quanto "si tratta di enti che si sono costituiti parte civile (Confconsumatori e Adiconsum sono altresì intervenuti ai sensi dell'art. 91 c.p.p.) sostenendo, in sostanza, la lesione del proprio diritto soggettivo a non vedere frustrato lo scopo sociale, consistente nella tutela e difesa dei consumatore/risparmiatore, diritto leso dalle condotte delittuose degli imputati.
Le ipotesi delittuose comportano la lesione del regolare funzionamento dei mercato degli strumenti finanziari e, di conseguenza, l"interesse ed il diritto dei singolo investitore/risparmiatore a corrette comunicazioni, informazioni e prospettazioni circa le condizioni economiche delle società che operano sul mercato finanziario.

Una lesione del diritto "dell"Ente al conseguimento dello scopo per cui sì é costituito" è ipotizzabile purché tale scopo attenga in via esclusiva e specifica alla materia in questione.

Necessita, pertanto, che lo Statuto faccia riferimento esplicito a tali situazioni e non sia generico ed onnicomprensivo (come emerge da alcuni statuti in cui si parla in via generale, di tutela di consumatori e utenti di beni e servizi). Ammettere la legittimazione ad agire ad Ente che annovera, tra gli scopi sociali, una generica ed indeterminata tutela dei consumatore, e tenuto conto dell"amplissimo spettro in cui possono farsi rientrare i bisogni e gli interessi di quest"ultimo, comporterebbe un inammissibile allargamento a soggetti che non possono vantare alcuna lesione di diritti" (Trib. Milano 25.1.2005, CorM 2005, 4, 433).

Gli statuti delle Associazioni escluse,  però, contemplavano, secondo il Tribunale di Milano,  scopi e finalità che "nessun riferimento fanno alla materia oggetto del presente procedimento, richiamando in alcuni casi fenomeni del tutto differenti (si pensi all"usura, alla corruzione, alla assistenza sanitaria, alla tutela dell"ambiente, della salute, al salario, alla tutela di fasce deboli della popolazione, alla qualità dei prodotti, alla efficienza dei servizi pubblici). Le menzioni, in alcuni dei citati Statuti, alla tutela del consumatore e utente di beni e servizi ed ai rapporti economici é talmente ampia e generica da far venir meno l"esclusività dello scopo che, come visto, deve coincidere con l"interesse leso" (Trib. Milano 25.1.2005, CorM 2005, 4, 433).

Con la pronunzia citata, quindi, in buona sostanza, il Tribunale meneghino ha operato una distinzione tra lo status giuridico di consumatore e quello di risparmiatore.

Tale impostazione ermeneutica, che fortunatamente non trovato, a quanto consta, ulteriore riscontro nella giurisprudenza occupatasi della materia, non è, a parere di chi scrive, condivisibile.

Distinguere le due figure giuridiche, infatti, costituirebbe una inutile superfetazione volta, esclusivamente, a depotenziare la tutela che l"ordinamento comunitario e nazionale offre al consumatore lato sensu inteso.




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