-  Redazione P&D  -  21/09/2010

PUO' UNA CONSULENZA TECNICA FONDARE L'EMISSIONE DI UN DECRETO INGIUNTIVO? - Riccardo MAZZON

Se il decreto ingiuntivo abbisogna di prove costituite (cfr., amplius,  "Il procedimento di ingiunzione", Cedam, Padova 2010: quanto all’elencazione che ne fa il codice civile - artt. 2699 ss. -, le prove costituite sono rappresentate dall’atto pubblico; dalla scrittura privata; dalle scritture contabili delle imprese soggette a registrazione; dalle riproduzioni meccaniche; dalle taglie o tacche di contrassegno; dalle copie di atti; dagli atti di ricognizione o di rinnovazione - si ricorda che le prove costituende comprendono invece la testimonianza le presunzioni; la confessione e il giuramento -), è da chiedersi se anche la consulenza tecnica (quale strumento dai più indicato come strumento di valutazione delle prove) possa servire alla bisogna.  
Quest'ultima (la consulenza tecnica - di parte o d’ufficio -), in effetti, merita trattazione individuale, anche per l’importanza che vieppiù viene ad assumere anche nel procedimento d'ingiunzione, quale documento ritenuto sufficiente a consentire l'emissione del decreto,
“...costituisce prova scritta, idonea a legittimare la pronuncia dell'ordinanza ingiuntiva ex art. 186 ter c.p.c., il verbale della consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio....”.
Tribunale Chiavari, 13 marzo 2001 Costruz. nav. S. Margherita Ligure c. Rossi arredamenti nav. Foro it. 2001, I,2358
È principio ormai consolidato in giurisprudenza l’escludere la consulenza tecnica d’ufficio dal novero dei mezzi di prova:
“...la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, poiché ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, per cui non è qualificabile come una prova vera e propria e, come tale, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice del merito. Qualora sia stata disposta e ne condivida i risultati, il giudice non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità.....”.
(Cass., sez. lav., 22.2.2006, n. 3881 Bersani c. Soc. Ormism, MGC, 2006, 2).
A fronte di tale principio, spesso si è, da parte della giurisprudenza, sostenuto tout court come la consulenza tecnica d’ufficio non debba (e non possa) supplire alle carenze probatorie riscontrate nelle allegazioni delle parti:
“...in relazione alla finalità propria della consulenza tecnica d’ufficio, di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negato dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni, o offerte di prova, ovvero a compiere un’attività esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.....”.
(Cass., sez. III, 6.4.2005, n. 7097, D’Ermes Garbini c. Soc. Milano assicur. e altro, MGC, 2005, 5).
Invero, e per altro verso, è da chiedersi come si debbano interpretare tali affermazioni nelle circostanze in cui la consulenza pare senz’altro diretta, non tanto a valutare accertamenti già eseguiti, ma proprio ad accertare i fatti (e, talvolta, il danno), seppur sulla base di particolari conoscenze scientifiche:
“....in tema di liquidazione equitativa del danno biologico (come del danno morale) ed in ipotesi di ricorso ai criteri standardizzati e predefiniti delle cosiddette tabelle, il giudice del merito deve procedere necessariamente ad un’opera di adeguamento delle stesse al caso concreto. Ne consegue che egli, nell’ambito di questa attività di «personalizzazione» dei criteri tabellari, ove la prognosi di speranza di vita per il danneggiato sia accertata sulla base di conoscenze scientifiche (ad esempio, tramite consulenza tecnica), deve liquidare il danno biologico non con riferimento alla speranza di vita media nazionale, ma alla prognosi di durata della vita dello specifico soggetto danneggiato, ed al contempo deve tenere conto della gravità particolare della lesione, che abbia inciso anche sulla capacità recuperatoria o stabilizzatrice della salute, procedendo ad una adeguata e prudente maggiorazione....”.
(Cass., sez. III, 4.11.2003, n. 16525, Osp. Lecco c. Ludovici e altro, MGC, 2003, 11, RGSan, 2004, 241/2 [COSA INDICANO?] 287. Conf. Cass., sez. III, 23.2.2005, n. 3766, Tarlazzi e altro c. Soc. Lloyd Adriatico e altro, MGC, 2005, 2. Conf. Cass., sez. III, 3.8.2005, n. 16237, Savona c. Soc. Generali Assicur. e altro, MGC, 2005, [PAGINA?]).
Alla luce delle considerazioni sopra esposte e con la finalità precipua di maggiormente chiarire l’essenza di uno strumento che, attualmente, sta assumendo sempre più il ruolo di mezzo istruttorio cardine, vuoi nell'accertamento dei fatti, vuoi nella quantificazione del danno, è da chiedersi se, attualmente, la consulenza tecnica non affianchi, all'indiscussa qualifica di ausilio valutativo concesso al giudice (al fine di meglio interpretare risultanze probatorie già acquisite), anche le caratteristiche tipiche dei veri e propri mezzi di prova.
In effetti, dalla semplice lettura dei quesiti maggiormente proposti, pare emergere come l'esigenza del magistrato non sia unicamente quella di valutare l’oggetto di prova; si tratta invece, spesso (e più precisamente), di perseguire una vera e propria rilevazione di dati costituenti l’oggetto della prova, rilevazione peraltro non conseguibile se non attraverso le particolari cognizioni possedute dal consulente incaricato:
“...l’accertamento peritale non può essere invocato dalla parte per sottrarsi all’onere probatorio cui essa è tenuta, attenendo l’indagine peritale unicamente alla valutazione dell’oggetto della prova, la quale deve essere fornita dalla parte gravata dal relativo onere, salvo che i dati costituenti l’oggetto della prova invocata non siano percepibili, per la loro intrinseca natura, dal profano o dall’uomo di normale diligenza e debbano essere rilevati, con l’ausilio di particolari strumentazioni e/o cognizioni, dal consulente tecnico, il quale in tal caso adempie la duplice funzione di individuare e di valutare l’oggetto della prova...”.
(Cass., sez. III, 4.11.2002, n. 15399, Soc. Omt c. Soc. Ras assicur, MGC, 2002, 1901; DeG, 2002, 42 50, con nota di Cimaglia).
In altri termini, ciò che il magistrato richiede al consulente d’ufficio, non è (o non è solamente) di valutare fatti accertati o documenti già esistenti, ma (anche soprattutto) di accertare fatti rilevanti per la decisione, con fenomenologia tesa ad accomunare, nel consulente d’ufficio, funzioni deducenti e funzioni percipienti:
“...in tema di consulenza tecnica di ufficio, il giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), e in tal caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche. (Nella fattispecie, relativa all’azione di danni del conduttore di immobili nei confronti del locatore per lavori di ristrutturazione del fabbricato, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte di merito che aveva rigettato la domanda per avere la stessa ritenuto che l’attore aveva dedotto e prodotto i documenti di spesa soltanto durante la consulenza tecnica di primo grado, quindi irritualmente, per violazione dell’art. 87 disp. att. c.p.c. e del diritto di difesa, con conseguente irritualità e inammissibilità della stessa consulenza, trasformatasi in mezzo di prova, ed erroneità della sentenza di accoglimento del primo giudice, in quanto fondata su quei preventivi, non anche su elementi di prova forniti dalla parte; ha conclusivamente affermato la S.C. che l’intervento del consulente era stato ritenuto necessario per accertare sia lo stato dei luoghi e la riduzione del valore locativo dell’immobile, sia eventuali danni patrimoniali ai beni di proprietà attorea)....”.
(Cass., sez. III, 23.2.2006, n. 3990 Ohanessian c. Bravi, MGC, 2006, 2).
Proprio considerazioni di tal guisa permettono alla giurisprudenza più recente di affermare a chiare lettere che, nelle particolari ipotesi in cui l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi unicamente con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, la consulenza tecnica d’ufficio assurge a vera e propria «fonte oggettiva di prova», id est, almeno quanto agli effetti, distinto mezzo di prova:
“....la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, con la conseguenza che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. Al limite costituito dal divieto di compiere indagini esplorative è consentito derogare unicamente quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo in questo caso consentito al c.t.u. anche di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse....”;
(Cass., sez. III, 14.2.2006, n. 3191 Adorni c. Scaglione, MGC, 2006, 4).
“....la consulenza tecnica non costituisce in linea di massima mezzo di prova bensì strumento di valutazione della prova acquisita, ma può assurgere al rango di fonte oggettiva di prova quando si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche. D’altro canto, il consulente d’ufficio, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice può, ai sensi dell’art. 194, comma 1, c.p.c., assumere informazioni da terzi e procedere all’accertamento dei fatti accessori costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, ma non ha il potere di accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, e, se sconfina dai limiti intrinseci al mandato conferitogli tali accertamenti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, pertanto, privi di qualsiasi valore probatorio, anche indiziario....”
(Cass., sez. III, 19.1.2006, n. 1020, Varallo c. Vuotto, MGC, 2006, 1).




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