-  Redazione P&D  -  05/01/2007

PER UNA RIVALUTAZIONE DELLE PENE INFAMANTI - Alessio ANCESCHI

Le pene infamanti sono quelle che si fondono sulla riprovazione sociale del condannato.
Tali tipi di pene erano molto più frequenti in passato che al giorno d’oggi. Avevano infatti tale caratteristica anche molte pene afflittive (ovvero le pene corporali, volte a creare una sofferenza fisica al condannato) o detentive del passato.
Basti pensare alla “crocefissione”, alla “ruota”, al “marchio” ma anche alla famosa “gogna”.
Tali forme di pena, che certamente erano molto cruente di per sé stesse, assumevano una rilevante componente infamante proprio perché venivano scontate in pubblico e quindi presupponevano una forte riprovazione sociale diretta da parte del pubblico presente, la quale poteva manifestarsi anche attraverso un’afflizione verbale o fisica del pubblico.
Vi è ancora traccia delle pene infamanti nel nostro ordinamento ? E che senso assume, al giorno d’oggi, tale tipologia di pena ?
Ovviamente non si tratta più di chiedersi se ripristinare sistemi di pena così cruenti come quelli di un tempo (che pure qualcuno vorrebbe, per taluni reati particolarmente gravi !!!), ma di chiedersi quanto peso assuma la riprovazione sociale “diretta” nella componente retributiva e preventiva della pena.
L’unica pena infamante che è rimasta nel nostro ordinamento è la pubblicazione della condanna (art. 36 c.p.), la quale rientra tra le pene accessorie.
Al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 36 c.p., la pubblicazione della condanna è prevista in una serie di disposizioni penali speciali.
Sanzioni simili sono previste anche in campo civile, come ad esempio la pubblicazione sul bollettino dei protesti.
Ha ancora senso, nella società contemporanea, un tipo di pena come quella infamante ?
La risposta potrebbe essere, ad una prima analisi negativa, soprattutto laddove essa non abbia una effettiva incidenza nella società.
Pubblicare una sentenza penale in uno o più giornali non ha certamente più alcun senso, nella società attuale, dove prevalgono ben altri mezzi di comunicazione (televisione, internet) e certamente non ha alcun senso applicare una condanna accessoria di questo genere, esclusivamente per le condanne all’ergastolo.
Tuttavia, non per questo le pene infamanti non possono avere un senso anche nell’ordinamento attuale.
Chiunque sia stato un bambino appena un po’ vivace sa bene che certe “sgridate” avute in pubblico hanno più effetto di quelle avute privatamente.
Ma, ancor più di questo, sono certi scoop giornalistici (si pensi a quelli di programmi quali “report”, “striscia la notizia”, “le iene”) ad evidenziare che, la riprovazione sociale può avere un elevato significato penale, tanto sotto il profilo repressivo che sotto quello preventivo, a patto che il mezzo di informazione sia adeguato a raggiungere un elevato numero di persone.




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