Art. 2630
La condotta richiesta dall’art. 2630 c.c. (Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi: Chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denuncie, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 206 euro a 2.065 euro. Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo. Articolo così sostituito dal d. lg. 11 aprile 2002, n. 61), al fine di configurare l’illecito amministrativo in oggetto, è una condotta eminentemente omissiva: è sufficiente, infatti, non eseguire nei termini prescritti, essendo a ciò tenuto per legge, una denuncia, un deposito o una comunicazione presso il registro delle imprese, per incorrere nella sanzione amministrativa pecuniaria prescritta.
Il ritardo, come risulta chiaramente dalla lettera della legge, è equiparato alla mancata esecuzione: ciò significa che l’effettuare la denuncia, la comunicazione o il deposito oltre il termine prescritto non comporterà esenzione dalla sanzione, ma semplicemente cessazione della permanenza dell’illecito.
Il secondo comma dell’articolo in oggetto prevede una sanzione maggiore per una particolare tipologia di omissione: l’omissione di deposito di bilanci.
In ordine a tale condotta, ci si chiede se debba esser sanzionato anche il ritardo (o il mancato deposito) del bilancio dovuto alla sua tardiva (o mancata) approvazione.
In ossequio al principio di stretta legalità, applicabile per ogni tipologia sanzionatoria (e dunque anche per le sanzioni amministrative), recente giurisprudenza di merito ha escluso che gli amministratori della società debbano rispondere ex art. 2630 c.c. qualora il loro inadempimento dipenda da mancata o tardiva approvazione del bilancio:
“….non sono sanzionabili in via amministrativa, ex art. 2626 c.c. (vecchio testo) in relazione agli art. 2435 e 2364 c.c., gli amministratori di società di capitali i quali provvedano al deposito del bilancio entro trenta giorni dall'approvazione, quand'anche il bilancio sia stato approvato oltre il termine all'uopo stabilito dalla legge…”.
Tribunale Brescia, 13 maggio 2002 A.Z. e altro c. Camera comm. Brescia Societa' 2002, 1412 nota SALVATO
"…in ossequio al principio di legalità vigente in materia di illeciti amministrativi, la sanzione amministrativa prevista dall'art. 2626 c.c. a carico degli amministratori che omettano di depositare copia del bilancio sociale presso l'ufficio del registro delle imprese entro trenta giorni dall'approvazione non può essere irrogata in caso di mancata approvazione del bilancio nei termini previsti dall'art. 2362 c.c. ..”.
Tribunale Brescia, 13 maggio 2002 Zelger e altro c. Camera comm., ind., artigianato e agr. Gius 2002, 1886 (s.m.)
“Elemento indefettibile per la consumazione dell'illecito amministrativo della tardiva esecuzione del deposito del bilancio, di cui agli art. 2435 e 2626 c.c., è costituito dall'approvazione dello stesso da parte dell'assemblea; tale disciplina sanzionatoria non può pertanto trovare applicazione nell'ipotesi in cui l'omesso (o tardivo) deposito consegua all'inattività dell'assemblea, che, pur ritualmente convocata, sia andata deserta”.
Pretura Torino, 18 giugno 1993 Boglione c. Uff. prov. ind. Torino Giur. it. 1994, I,2, 117
Altra, più datata, giurisprudenza considera, al contrario, anche la mancata approvazione del bilancio quale attività comportante “mancato deposito”:
“Poiché la omessa redazione dei bilanci di esercizio e del bilancio finale di liquidazione da parte del liquidatore di una s.r.l. non integra gli estremi del reato di "false comunicazioni sociali" di cui all'art. 2621 c.c. - per la configurabilità del quale è necessaria l'esistenza di un bilancio o di altra comunicazione sociale - bensì quelli dell'illecito depenalizzato di cui all'art. 2626 c.c., mancano i gravi indizi di colpevolezza che possono giustificare una misura cautelare a carico dell'imputato”.
Tribunale Palermo, 29 luglio 1996 Carpintieri e altro Foro it. 1996, II, 731
“Il mancato deposito del bilancio sociale entro trenta giorni dalla scadenza del termine quadrimestrale di approvazione (o del maggior termine stabilito dall'atto costitutivo) integra la violazione prevista e sanzionata dall'art. 2626 c.c.; la responsabilità degli amministratori non può essere esclusa adducendo che l'assemblea, pur tempestivamente convocata, era andata deserta”.
Pretura Torino, 16 gennaio 1992 Min. ind. Giur. it. 1993, I,2, 462
“Durante il periodo della liquidazione di una società di capitali, cioè dal verificarsi di una causa di scioglimento (quale essa sia, inclusa l'ipotesi della cadenza del termine contemplato nell'atto costitutivo) fino all'estinzione, deve essere redatto, approvato e pubblicato il bilancio annuale, discendendo il perdurare dei relativi obblighi dal protrarsi della vita della società, con l'esigenza, a tutela dei soci e dei terzi, di offrire un quadro fedele delle operazioni di liquidazione già eseguite e della risultante situazione patrimoniale. Pertanto, il liquidatore, il quale ometta, nel termine stabilito, di depositare nella cancelleria del tribunale il bilancio annuale, ovvero renda impossibile detto deposito, con la mancata redazione del bilancio medesimo o convocazione dell'assemblea, per la sua approvazione incorre nella sanzione prevista dall'art. 2626 c.c. (sanzione pecuniaria amministrativa, a seguito della depenalizzazione di cui alla legge 24 dicembre 1975 n. 706)”.
Cassazione civile , sez. I, 09 novembre 1988, n. 6018 Amministrazione commercianti artigiani c. Danelone Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 11.
In effetti, la mancata approvazione del bilancio non può che comportare il mancato deposito dello stesso al registro delle imprese: si tratterà, con maggior rigore, di verificare allora se il mancato deposito sia imputabile o meno all’interessato sotto l’aspetto soggettivo (dolo o colpa); in altri termini, la mancata approvazione potrà escludere, se del caso, l’elemento soggettivo dell’illecito, giammai la configurazione della condotta tipica oggettiva.
Trattandosi di sanzione amministrativa, trova applicazione, per quanto concerne l’elemento soggettivo, la disciplina generale della l. 24 novembre 1981, n. 689 che, all’articolo 3, prevede: “Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa”.
La giurisprudenza, in materia, risulta piuttosto rigorosa, considerando sufficiente, al fine di ritenere legittima l’irrogazione della sanzione, necessaria e sufficiente la coscienza e volontà della condotta, con presunzione, sino a prova contraria, della colpa del soggetto in ordine al fatto vietato:
“In tema di sanzioni amministrative, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 689 del 1981, per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l'onere di provare di aver agito senza colpa. Ne deriva che l'esimente della buona fede, applicabile anche all'illecito amministrativo disciplinato dalla legge n. 689 del 1981, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa - al pari di quanto avviene per la responsabilità penale, in materia di contravvenzioni - solo quando sussistano elementi positivi idonei a ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso”.
Cassazione civile , sez. II, 11 giugno 2007, n. 13610 Fantino c. Reg. Piemonte Giust. civ. Mass. 2007, 6
“Il principio posto dall'art. 3 l. n. 689 del 1981 - secondo il quale per le violazioni amministrativamente sanzionate è richièsta la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa - postula una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, non essendo necessaria la concreta dimostrazione del dolo o della colpa in capo all'agente, sul quale grava, pertanto, l'onere della dimostrazione di 'avere agito senza colpa. L'esimente della buona fede, intesa come errore sulla liceità del fatto, assume poi rilievo solo in presenza di elementi positivi idonei a ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità del suo operato, purché tale errore incolpevole e inevitabile, siccome determinato da un elemento positivo, idoneo a indurlo in errore ed estraneo alla sua condotta, non ovviabile con ordinaria diligenza o prudenza”.
Cassazione civile , sez. II, 14 marzo 2007, n. 5894 Uff. territoriale governo di Cosenza Guida al diritto 2007, 22 42