-  Redazione P&D  -  08/02/2017

Il diritto a conoscere le proprie origini: dallirreversibilità alla possibilità di interpello - nota a Cass. Civ. sez. unite, 25/01/2017, n. 1946 - Linda Zullo

"Va affermata l"esistenza del diritto dell"adottato (e comunque del) nato da parto anonimo a conoscere le proprie origini con il limite dell"accertata persistenza della volontà della madre biologica di mantenere il segreto; l"esercizio del diritto trova attuazione mediante istanza dell"adottato rivolta al giudice, che dovrà procedere all"interpello della madre con modalità idonee a preservare la massima riservatezza nell"assunzione delle informazioni in ordine alla volontà della donna di mantenere ferma la dichiarazione di anonimato o di revocarla"

Con la pronuncia  in commento la S.C. si esprime in tema di parto anonimo, affermando il seguente principio di diritto: «Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, va affermata l"esistenza del diritto dell"adottato (e comunque del) nato da parto anonimo a conoscere le proprie origini con il limite dell"accertata persistenza della volontà della madre biologica di mantenere il segreto; l"esercizio del diritto trova attuazione mediante istanza dell"adottato rivolta al giudice, che dovrà procedere all"interpello della madre con modalità idonee a preservare la massima riservatezza nell"assunzione delle informazioni in ordine alla volontà della donna di mantenere ferma la dichiarazione di anonimato o di revocarla» (Cassazione civile, sez. un., 25/01/2017, n. 1946).

Occorre premettere che la possibilità di partorire in anonimato in Italia, con una stima relativa a circa 400 donne all"anno, è strettamente connessa al principio volontaristico che connota il nostro ordinamento in tema di accertamento della filiazione, in forza del quale la maternità è attribuita in base alla volontà della madre. In particolare, il legislatore italiano non ha fatto ancora proprio quel principio di derivazione romanistica,  "mater semper certa est", condiviso ormai nell"intero orizzonte europeo, in forza del quale l"accertamento e l"attribuzione della maternità si fondano sull"evidenza del dato fattuale del parto,  prevedendo invece che la donna, qualora non sia intenzionata a  diventare madre del bambino che ha generato, può esprimere la volontà di non essere nominata e in tal caso non si creerà alcun rapporto di filiazione tra lei e il nato,  che subito dopo il parto verrà dichiarato adottabile (art. 30, comma 1°, d.P.R. n. 396/2000). La disciplina del parto anonimo è piuttosto frammentaria in quanto si divide tra legge sull"adozione, Ordinamento dello stato civile e Codice della privacy.

Nel 2001 è stato modificato l"art. 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, riconoscendo il diritto di accesso alle informazioni dell"adottato con una disciplina più attenta ai molteplici interessi implicati, ad esempio stabilendo il diritto dell"adottato ad essere informato del suo status, nonché ad accedere ai dati sulle proprie origini al compimento dei venticinque anni. Questo intervento ha rappresentato una svolta in materia, essendo stata l"adozione legittimante caratterizzata storicamente dalla netta recisione dei rapporti con la famiglia biologica, nell"ottica di una garanzia di serenità per l"adottato libero da ingerenze pregiudizievoli. Ma ciò che preme rilevare è che questa nuova concezione dell"adozione è stata incoraggiata dal peso sempre più crescente che ha assunto il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche e alle circostanze della propria nascita, a livello internazionale e sovranazionale. Si ricordino, ad esempio, gli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York del 1989 delle Nazioni Unite in materia di diritti del minore, l"art. 30 della Convenzione de l"Aja del 1993, relativo alla protezione dei minori e alla cooperazione in materia di adozione internazionale, articoli accomunati dall"affermazione del principio del "best interests of the child". Alla luce di tali tutele, con una disposizione del 2003, viene ampiamente compromessa questa svolta nel segno del favor veritatis, perché il diritto dell"adottato all"accesso alle informazioni viene escluso nel caso in cui la madre biologica abbia deciso di rimanere anonima, con preclusione irreversibile e senza eccezioni alla conoscibilità del rapporto genitoriale. In base alla nuova formulazione del citato art. 28, comma 7, così come sostituito dall"art. 177 d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, il divieto nel caso specifico si presenta assoluto, poiché il "vincolo" dell"anonimato viene commisurato ad un tempo eccedente la normale vita umana ossia cento anni (art. 93, comma 2°, d. lgs. N. 196/2003) per cui è definitivamente negato al figlio desideroso conoscere le sue origini sulla famiglia biologica. La disposizione in questione, operando solo a tutela dell"anonimato, è apparsa irragionevolmente discriminatoria tra gli adottati, poichè diversamente dal caso di genitori naturali che non hanno dichiarato di non voler essere nominati - e che possono in concreto opporsi all"adozione così da rappresentare un potenziale pericolo per la famiglia adottiva - un simile rischio non è rappresentato dal genitore che abbia richiesto l"anonimato.

La violazione del principio di uguaglianza è stata lamentata dal Tribunale per i minorenni  di Firenze che nel 2005 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell"art. 28, comma 7, l. 183/84  così come modificato dall"art dall" art. 177 d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, per quel che riguarda l"esclusione della possibilità di autorizzare l"accesso alle informazioni da parte del richiedente senza aver previamente verificato la persistenza della volontà della madre biologica di non voler essere nominata, in relazione anche agli artt. 2, 32  e 117, comma 1°, Cost., in riferimento all"art. 8 CEDU.  In questa occasione la Corte (Corte Cost., 25 novembre 2005, n. 425, in Famiglia e diritto, con nota di Eramo) si pronuncia dichiarando infondata la questione e ribadendo le finalità poste dal legislatore a fondamento dell"anonimato :  questa scelta  distoglie la donna  dal porre in essere condotte pregiudizievoli per la sua salute e quella del nato, quali aborti clandestini o infanticidi, ma tali esigenze devono essere corredate da una tutela dell"anonimato senza limiti temporali, altrimenti questa scelta sarebbe resa difficile  se la stessa dovesse correre il rischio, in un imprecisato futuro, e su richiesta di un figlio mai conosciuto e ormai adulto, di essere interpellata dall"autorità giudiziaria per decidere se confermare o revocare quella lontana dichiarazione di volontà.

Queste argomentazioni non vengono condivise dalla Corte Europea dei diritti dell" Uomo la quale, sulla scia del precedente francese Odièvre c. Francia (Corte Eur. Dir. Uomo, 25 settembre 2012, ric. n. 33783/09, in Nuova giur. Civ. comm., con nota di Long)  pronunciandosi sul ricorso presentato dalla Sig.ra Godelli,  figlia di partoriente anonima,  condanna il nostro Paese in quanto, violando l"art. 8 CEDU,  non ha predisposto un sistema che assicuri un equo contemperamento tra interessi entrambi meritevoli di tutela: l"interesse della madre biologica a mantenere l"anonimato e quello del figlio adulto adottato da terzi ad accedere alla informazioni sulle origini. Secondo la Corte questi due interessi hanno eguale dignità e la scelta legislativa italiana di riconoscere alla partoriente il diritto all"anonimato non viene messa in discussione. Ciò che ha spinto maggiormente la Corte ad esprimersi a favore della ricorrente è la mancanza nel nostro ordinamento di strumenti correttivi che, pur tutelando il diritto della partoriente all"anonimato e dunque escludendo in linea generale l"accesso al figlio adulto alle informazioni sulle sue origini, consentano in presenza di talune circostanze di fatto di derogare al divieto. Questa pronuncia ha puntualizzato il diritto all"identità affermando che "nel perimetro della tutela offerta dall"art. 8 della CEDU, rientra anche la possibilità di disporre dei dettagli sulla propria identità di essere umano e l"interesse vitale, protetto dalla Convenzione ad ottenere informazioni necessarie alla scoperta della verità concernente un aspetto importante della propria identità personale, ad esempio l"identità dei genitori" .

Gli effetti di questa pronuncia emergono chiaramente dalla pronuncia della Corte Costituzionale (Corte Cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Diritto di famiglia e delle persone, con nota di Lisella)  che viene investita nuovamente, da parte del Tribunale dei minorenni di Catanzaro,  della questione di legittimità costituzionale dell"art. 28, comma 7, l. 183/84 negli stessi termini del tribunale fiorentino nel 2005, ma alla luce del novum rappresentato dal caso Godelli c. Italia ed in particolare della nuova interpretazione dell"art. 8 della Convenzione. In quest"occasione la Corte ribalta la linea assunta nel 2005 e dichiara l"illegittimità costituzionale dell"art. 28, comma 7, l.184/83, riconoscendo che pur a fronte delle legittime esigenze della madre sulle quali riposa il parto anonimo, tuttavia "anche il diritto del figlio a conoscere le proprie origini - e ad accedere alla propria storia parentale - costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale della persona", e che "il relativo bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l"intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale". La disposizione impugnata è censurabile per la sua "eccessiva rigidità", relativamente all"accesso alle informazioni da parte dell"adottato, cosicchè quel che prima doveva essere escluso per conformità alla Costituzione, ora per la stessa ragione dev"essere ammesso: la preminenza del diritto alla salute è abbandonata, determinando la tendenza alla sua assolutezza un sacrificio eccessivo del diritto dell"adottato all"identità. La peculiarità della sentenza è data dal contenuto del dispositivo, il quale, secondo la formula tipica dell"additiva di principio, afferma che "sarà compito del legislatore introdurre disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata". Emerge una chiara divisione di competenze, per cui alla Corte spetta il compito, una volta censurate le scelte legislative ritenute irragionevoli, di indicare le linee di buon equilibrio tra i principi costituzionali coinvolti; al legislatore quello di scegliere, tra più soluzioni costituzionalmente possibili, le misure idonee a garantire quell"equilibrio. Questo quadro ha generato numerose incertezze sul piano applicativo poiché il riferimento alla scelta della soluzione costituzionalmente necessaria non è contenuto, come monito al legislatore, nella sola argomentazione, ma è esplicitamente riportato in un inciso del dispositivo: la massima riservatezza nell"accertare la volontà della madre naturale deve essere assicurata "attraverso un procedimento, stabilito dalla legge". La peculiarità di questa pronuncia ha fatto sì che in dottrina si parlasse di "combinazione di decisioni": una pronuncia additiva di principio, combinata con una sentenza-monito, e l"incertezza si riassumevano in un interrogativo fondamentale: il monito rivolto al legislatore, e contenuto nel dispositivo, permette ai giudici comuni, in attesa dell"intervento legislativo, di reperire nell"ordinamento la regola del caso concreto oppure vincola l"autorità giudiziaria ad attendere la procedura stabilita dal legislatore?

Con una sentenza relativa alle conseguenze della morte della madre che ha partorito in anonimato, rispetto al diritto del figlio di conoscere la propria storia genetica (cfr. Cassazione civile, sez. I, 21/07/2016,  n. 15024, in Famiglia e diritto con nota di Mandriola), la Corte fornisce una prima risposta positiva al quesito. Il giudice di legittimità, indipendente dall"intervento del legislatore che dia attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale, ha dichiarato che tale diritto deve essere garantito anche nel caso in cui non sia più possibile procedere all"interpello della madre naturale, poiché l"irreversibilità del segreto sull"identità della madre naturale non è più compatibile con l"attuale configurazione del diritto all"identità, così come desumibile dall"interpretazione integrata dell"art. 2 Cost. e dell"art. 8 Cedu, nella parte in cui tutela il diritto alla vita privata.

Per giungere alla piena risoluzione del contrasto in materia, però, si deve fare riferimento alla recentissima sentenza della Cassazione che, rilevando preliminarmente come la sentenza n. 278/2013 sia stata accolta e come il suo contenuto non si risolva soltanto nell"addizione di un principio, ma anche nella indicazione di una regola chiara circa la possibilità di interpello della madre da parte del giudice su richiesta del figlio, afferma che "per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 278/2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione". È chiaro dunque che la perdurante inerzia del legislatore non potrebbe oltremodo giustificare la violazione di un diritto del figlio, il cui riconoscimento e la cui tutela non trovano più alcun ostacolo normativo nel comma 7 dell"art. 28 della legge n. 184/1983, ormai espunto dall"ordinamento. Continuare ad applicare la norma dichiarata incostituzionale si risolverebbe, in definitiva, nel mantenimento del vulnus recato agli artt. 2 e 3 Cost. da una disposizione – art. 28, comma 7, l. 184/83 - che trasformava il diritto all"anonimato della madre naturale in un vincolo assoluto e immodificabile, un vulnus che la Corte Costituzionale non si è limitata ad accertare, ma che ha sanato e rimosso, introducendo in via di addizione il principio che il figlio possa chiedere al giudice di interpellare la madre ai fini della revoca della dichiarazione, a suo tempo fatta, di non voler essere nominata nell"atto di nascita. Dunque questa disposizione vive ancora nell"ordinamento, ma con l"aggiunta del principio che fissa un punto di equilibrio tra la posizione del figlio adottato e i diritti della madre. In definitiva, la circostanza che tale pronuncia di incostituzionalità consegni l"addizione di un principio, senza introdurre regole di dettaglio self-executing quanto al procedimento di appello riservato, indirizzandosi al legislatore per tale adempimento, non esonera gli organi giurisdizionali, nell"attesa di questo intervento, dall"applicazione diretta di quel principio, né implica un divieto di reperimento dal sistema delle regole più idonee per la decisione dei casi loro sottoposti.

Quanto alle modalità procedimentali, la Corte afferma che debbano essere "tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte Costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna", e  propone vari referenti normativi, come ad esempio il procedimento in Camera di consiglio previsto dai commi 5 e 6 dell"art. 28 l. 184/1983, che si svolge dinanzi al Tribunale per i  minorenni del luogo di residenza, dettato per la ricerca delle origini del figlio adottato, una volta che questi abbia  raggiunto la maggiore età, nel caso in cui la madre non ha fatto la dichiarazione di anonimato. Preme rilevare come già prima della pronuncia in commento anche alcuni Tribunali di merito avevano delineato delle procedure per l"interpello, in applicazione della sentenza del 2013, tra questi il Tribunale di Trieste (Trib. min. Trieste, 8 maggio 2015) che aveva previsto tre momenti fondamentali: la convocazione della madre biologica davanti al Tribunale mediante recapito "esclusivamente a mani proprie dell"interessata" da parte dei Servizi sociali del comune di residenza della stessa, il colloquio fra diretta interessata e giudice onorario incaricato, nel corso del quale la madre biologica viene informata della richiesta avanzata dal figlio/a e della sua facoltà di disvelare la sua identità, e infine la manifestazione di volontà dell"interessata. Questa pronuncia ha costituito un "vademecum" per l"iniziativa parlamentare, che ha dato seguito a otto disegni di legge presentati presso la Camera dei Deputati e il cui esame si è concluso con la formulazione  di un testo unificato (Atto Senato 1978, Modifica all"articolo 28 della legge 4 maggio 1983 n. 184, e altre disposizioni in materia di accesso alle informazioni sulle origini del figlio non riconosciuto alla nascita), poi approvato dall"Assemblea nella seduta del 18 giugno 2015 e ora in discussione al Senato, che presenta tra i suoi caratteri principali l"espressa previsione dell"accesso per il figlio alle informazioni sulla sua origine e la rispettiva possibilità per la madre di revocare la sua decisione. In attesa che questo testo si concretizzi in legge, il principio di diritto della Cassazione resta l"unico riferimento per le autorità giurisdizionali per non esimersi dal tutelare il diritto dell"adottato all"accesso alle informazioni, "fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l"anonimato non sia rimossa in seguito all"interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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