Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione ( sez. I Penale, sentenza 11 febbraio – 30 aprile 2014, n. 1811) si è occupata del reato di minaccia - nei rapporti tra ex coniugi - e della relativa soglia di punibilità penale.
Riportiamo, brevemente, i fatti di causa: Il Tribunale di Napoli in composizione monocratica con sentenza del 19.7.2012, condannava R.S. per il reato di cui all'art. 660 cod. pen. alla pena di euro 300 di ammenda perché alla guida della propria autovettura seguiva con insistenza l'auto della ex moglie, P.M., ritenendo insussistente, invece, il reato di tentata violenza privata contestato ai sensi dell'art. 81 cpv. cod.pen. come reato contiunato all'interno del medesimo disegno criminoso.
L'imputato proponeva ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando violazione di legge ed il vizio della motivazione.
In particolare contestava la configurabilità del reato di cui all'art. 660 cod. pen., tenuto conto che il pedinamento non poteva considerarsi sufficiente ad integrare la fattispecie anche se interferisce nell'altrui sfera di libertà. Egli, infatti, non aveva bloccato l'auto della ex moglie e, pertanto, tale condotta non poteva essere considerata elemento costitutivo del reato di molestia.
Tuttavia, per i giudici di Piazza Cavour il ricorso non è fondato e, pertanto, deve essere rigettato.
Il giudice ha fondato la responsabilità dell'imputato sulle circostanze di fatto riferite dalla persona offesa che sono le segeunti: - la donna mentre percorreva a bordo della propria auto la tangenziale si era accorta di essere seguita dall'ex marito; - nonostante avesse sostato all'area di servizio, l'imputato aveva continuato a seguirla; - quindi, avendo accostato presso una rotonda e lo S. aveva preso a girarle intorno con la sua auto ripetutamente; pertanto, spaventata aveva chiamato il 113, come unica soluzione al problema.
Ad avviso del giudice, il pedinamento prima e il successivo «marcamento», posti in essere dall'imputato con particolare insistenza avevano arrecato turbamento alla donna, ancorché non vi fosse stata una effettiva coazione della sua libertà di movimento con conseguente insussistenza del reato di violenza privata.
L'articolo 660 cod. pen., per la sua sussistenza, richiede che l'agente sia mosso da petulanza o da altro biasimevole motivo, consistente nella volontà di interferire inopportunamente nell'altrui sfera di libertà. Non si può negare che, nel caso di specie, la complessiva condotta tenuta dall'imputato fosse oggettivamente idonea ad arrecare molestia e disturbo alla persona offesa, ponendola consapevolmente in una condizione di disagio e alterandone le normali condizioni di tranquillità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, al rimborso in favore dello Stato delle spese giudiziali della parte civile P.M. che liquida in euro 2000 oltre accessori di legge.