-  Ricciuti Daniela  -  23/11/2016

Ancora un sì al danno esistenziale - Cass., sez. III, 19 ottobre 2016 n. 21059 - Daniela Ricciuti

- Riconoscimento del risarcimento del danno esistenziale, a prescindere dal nomen iuris con cui etichettato, in ossequio al principio dell'integralità del ristoro, che comporta la liquidazione autonoma e separata delle voci di danno non patrimoniale ontologicamente diverse.

- Valutazione equitativa e personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale.

- Applicazione delle cc.dd. Tabelle di Milano su tutto il territorio nazionale, salva la possibilità del giudice, motivando adeguatamente, di optare per l'utilizzazione di tabelle diverse.

 

Un militare, durante una pausa tra un turno e l'altro del servizio di leva, era salito su una piattaforma di un radar e, a causa del crollo del parapetto, era caduto da un'altezza di circa 4 metri.

Aveva agito per ottenere il ristoro di tutti i pregiudizi conseguentemente patiti e la Corte d'Appello di Venezia aveva condannato il Ministero della Difesa al risarcimento dei danni subiti, negando però espressamente il riconoscimento del danno esistenziale.

Insoddisfatto dell'esito del giudizio, il danneggiato era ricorso alla Suprema Corte, dolendosi del fatto che non era stato liquidato il danno esistenziale e che non erano state applicate le Tabelle di Milano ai fini della valutazione del quantum risarcibile in suo favore a titolo di danno non patrimoniale.

La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso e lo ha accolto rilevando come la Corte di merito nella decisione impugnata abbia disatteso i principi vigenti in materia di danno non patrimoniale ed in particolare di danno esistenziale, cogliendo l'occasione per precisarli ancora una volta.

In particolare la S.C. bacchetta il Giudice di prime cure, laddove ha apoditticamente affermato che "con riferimento al quantum ulteriore domandato, devono essere escluse le voci concernenti il richiesto ristoro del c.d. danno esistenziale (non più riconoscibile a seguito del recente orientamento della giurisprudenza di legittimità S.U. 26972/08)"; ed ancora laddove ha liquidato il danno alla salute con l'impiego di Tabelle diverse da quelle di Milano, senza adeguatamente motivare la scelta e senza renderne nemmeno nota la provenienza, in tal modo rendendo nemmeno controllabili i criteri di relativa elaborazione.

La Corte rileva come in più occasioni abbia affermato che la diversità ontologica delle singole voci di cui si compendia la categoria generale del d.n.p., in ossequio al principio dell'integralità del ristoro, impone che, laddove sussistenti e provate, le singole voci del d.n.p. vengano tutte risarcite e nessuna sia lasciata priva di ristoro.

Del pari la S.C. ha avuto più volte modo di sottolineare come, al contrario di quanto da alcuni dei primi commentatori sostenuto e anche in giurisprudenza di legittimità a volte affermato, debba escludersi che le Sezioni Unite del 2008 abbiano negato la configurabilità e la rilevanza a fini risarcitori del c.d. danno esistenziale.

Invero le famose sentenze di San Martino, al di là della qualificazione in termini categoriali, hanno piuttosto confermato che ben possono essere definiti come esistenziali gli aspetti o voci di d.n.p. attinenti alla sfera relazionale della persona, autonomamente e specificamente configurabile, e non rientranti nell'ambito del danno biologico.

La stessa Corte costituzionale ha da tempo posto in rilievo come il danno biologico possa sostanziarsi nel danno alla salute quale momento terminale di un processo patogeno, originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico, che sostanzia il danno morale soggettivo, e che, anziché esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato di angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente, in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, etc.): in questi casi il risarcimento va commisurato alle conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto.

La giurisprudenza di legittimità è poi costante nel ribadire che, in sede di liquidazione del d.n.p., il giudice debba tener conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi dello stesso d.n.p. nel singolo caso concreto.

E ciò a prescindere da affermazioni di principio in base alle quali la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona, sarebbe preclusa dal principio di unitarietà della liquidazione del d.n.p. ex art. 2059 c.c.

Difatti il principio dell'integralità del ristoro impone la necessaria considerazione di tutte le voci di d.n.p. che ricorrono nel singolo caso concreto. Senza che a tal fine rilevi se la determinazione del complessivo ammontare del d.n.p. risarcibile derivi dalla somma dei vari "addendi" ovvero dall'imputazione alle varie voci di d.n.p. di percentuali del complessivo determinato ammontare.

D'altro canto a piazza Cavour si è ripetutamente sottolineato che il principio della integralità del ristoro del danno non si pone in termini antitetici, ma viene anzi a correlarsi con l'esigenza di evitare ingiuste locupletazioni e duplicazioni risarcitorie.

Al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, in sede di liquidazione del d.n.p., ciò che rileva non è certo il "nome" assegnato al pregiudizio lamentato ("biologico", "morale", "esistenziale"), ma unicamente il concreto pregiudizio che ricorre nella fattispecie specifica.

Pertanto è compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nomen iuris allo stesso attribuito, individuando quali ripercussioni negative sul valore persona si siano verificate e provvedendo al relativo integrale ristoro.

Sicché si ha duplicazione di risarcimento laddove il medesimo pregiudizio sia liquidato due volte solo perché diversamente denominato.

Ne deriva che il danno morale, il quale si sostanzia in patemi d'animo e mera sofferenza psichica interiore, non potendo essere risarcito più volte, è normalmente assorbito dalla liquidazione del danno biologico, allorquando non rimanga allo stadio interiore o intimo, ma si obiettivizzi degenerando in danno biologico o in danno esistenziale.

In questo senso le Sezioni Unite del 2008 parlano di "portata tendenzialmente onnicomprensiva" del danno biologico.

D'altra parte - sottolineano espressamente gli Ermellini - non è corretto l'assunto in base al quale, in caso di aspetti relazionali, il danno biologico assorbe sempre e comunque il danno esistenziale, posto che il giudice deve dare il giusto rilievo anche al danno esistenziale, inteso come radicale cambiamento di vita, alterazione e cambiamento della personalità, sconvolgimento dell'esistenza del soggetto; mentre non è configurabile un danno esistenziale risarcibile in presenza di ipotesi bagatellari, quali meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress.

Quindi in presenza di una liquidazione del danno biologico o del danno morale, che contempli in effetti anche l'incidenza negativa sugli aspetti dinamico-relazionali del danneggiato, è corretto escludersi la possibilità che venga attribuito in aggiunta un ulteriore ammontare a titolo di danno esistenziale.

Al contrario non può prescindersi dal ristoro del pregiudizio esistenziale patito, laddove i suddetti aspetti relazionali non siano stati invece presi in considerazione dal giudice nel momento della liquidazione del danno.

Liquidazione del danno che in questi casi è rimessa alla valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c., e dunque alla prudente discrezionalità del giudice, il quale è tenuto ad una valutazione equa, e cioè adeguata e proporzionata, in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico mediante la c.d. personalizzazione del danno, al fine di addivenire ad una quantificazione congrua, sia sul piano dell'effettività del ristoro del pregiudizio, sia sul piano della relativa perequazione sul territorio nazionale, pur nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti.

Sotto tale profilo, strumento idoneo a consentire al giudice di dare attuazione alla clausola generale dell'art. 1226 c.c., è costituito dal sistema delle Tabelle, cui ha fatto espresso riferimento lo stesso legislatore, oltre alla giurisprudenza.

Difatti in tema di responsabilità civile da circolazione stradale, il d.lgs. n. 209 del 2005 ha introdotto la Tabella unica nazionale per la liquidazione delle invalidità c.d. micropermanenti.

In assenza di tabelle normativamente determinate - come, ad esempio, in caso di lesioni di non lieve entità (dal 10% al 100%) conseguenti alla circolazione, nonché in ipotesi (come nella specie) diverse da sinistro stradale, - la giurisprudenza fa normalmente ricorso a tabelle elaborate in base alle prassi seguite nei diversi Tribunali, con l'avallo delle Sezioni Unite nei limiti in cui, nell'avvalersene, il giudice proceda ad un'adeguata personalizzazione della liquidazione del d.n.p., ai fini di un ristoro del danno nella sua interezza.

In particolare la S.C. ha stabilito che le Tabelle di Milano vanno considerate punto di riferimento, quale valido criterio di valutazione equitativa, in ragione della "vocazione nazionale" che sono andate nel tempo assumendo, in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell'equità valutativa e ad evitare o quantomeno ridurre ingiustificate disparità di trattamento, al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali.

Dopo essersi per lungo tempo esclusa la necessità di motivare in ordine all'applicazione delle tabelle in uso presso il proprio ufficio giudiziario, necessità invece affermata per l'eventuale scelta di avvalersi di tabelle in uso presso altri uffici, la Cassazione ha radicalmente mutato il proprio orientamento, pervenendo ad affermare che la mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi comprese quelle in precedenza adottate presso la diversa Autorità giudiziaria di appartenenza, integra violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione (ai sensi dell'art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.).

Sotto altro profilo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, ove le tabelle applicate per la liquidazione del d.n.p. cambino nelle more tra l'introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice - anche d'appello - ha l'obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione.

 

In tema di risarcimento del danno esistenziale, cfr.: 

- Per un rapido excursus: "Il danno esistenziale nell'attuale panorama giurisprudenziale"

https://www.personaedanno.it/danno-esistenziale/il-danno-esistenziale-nell-attuale-panorama-giurisprudenziale-daniela-ricciuti

http://www.keyeditore.it/wp-content/uploads/2015/06/cendon-il-danno-esistenziale-INDICE-EBOOK1.pdf (in corso di pubblicazione la versione aggiornata al 2016)

- "Scacco matto - il dolce soffio del vento esistenzialista"

https://www.personaedanno.it/danni-non-patrimoniali-disciplina/scacco-matto-il-dolce-soffio-del-vento-esistenzialista-cass-civ-08-05-2015-n-9320-daniela-ricciuti 

- "Liquidazione autonoma delle voci di danno non patrimoniale"

https://www.personaedanno.it/danni-non-patrimoniali-disciplina/liquidazione-autonoma-delle-voci-di-danno-non-patrimoniale-cass-civ-30-07-2015-n-16197-daniela-ricciuti




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