-  Redazione P&D  -  06/02/2014

ALLONTANAMENTO DAL LUOGO DI DETENZIONE DOMICILIARE: NON E EVASIONE SE INFERIORE ALLE 12 ORE - Sabrina CAPORALE

 

"Allontanamenti anche ingiustificati dal luogo di detenzione speciale di cui all"art. 47 quinquies della legge n. 354 del 26 luglio 1975 che si protraggano per un tempo inferiore alle dodici ore non integrano il reato di cui al"art. 385, comma 3 cod. pen., essendo suscettibili soltanto di valutazione a fini disciplinari".

 

La vicenda oggetto dell"odierno intervento della Cassazione tocca il tema assai delicato delle misure di espiazione alternative della pena, ai sensi dell"art. 47 quinquies L. 354/1975.

Invero, la ricorrente già sottoposta a procedimento penale e ivi condannata per i reati di concorso in tentata rapina aggravata e lesioni personali aggravate, si rendeva altresì responsabile del reato di sostituzione di persona ed evasione dal luogo di detenzione domiciliare, nella specie per essersi allontanata, per un tempo seppure inferiore alle 12 ore, della propria abitazione, ove espiava la pena medesima.

La donna riteneva di aver posto in essere una condotta penalmente neutra e, ciò alla luce della sentenza costituzionale n. 177 del 12 giugno 2009; sentenza con la quale veniva per l'appunto parificato il regime sanzionatorio penale in caso di allontanamento ingiustificato dal domicilio coatto nel caso del citato art. 47 ter lett. a) a quello previsto dallo art. 47 sexies, comma 2 per il caso dell'art. 47 quinquies della stessa legge, stabilendo la rilevanza penale solo di quello superiore alle dodici ore e comunque subordinando l'operatività della parificazione all'esistenza di un giusto motivo legittimante nella necessità di prestare cura ai minori o sopperire alle loro esigenze.

I giudici di merito, al contrario, rilevavano che la sentenza costituzionale de quo, riguardasse non tutti i casi di allontanamento ingiustificato dal luogo della detenzione domiciliare, ma solo quello riguardante le madri di prole infradecenne di cui all'art. 47 ter, comma 1 lett. a) legge n. 354 del 1945 e, che nel parificare per esso il margine di tolleranza stabilito dell'art. 47 quinquies della stessa legge, fosse stato fatto salvo "il presupposto della prognosi di insussistenza di un pericolo concreto di commissione di altri delitti".

Nella specie, tuttavia, essi ritenevano che l"allontanamento della donna dalla propria abitazione, seppure di durata inferiore alle 12 ore, fosse "finalizzato non già alla cura dei minori o alle loro esigenze, ma alla commissione di un nuovo e grave delitto".

Il ricorso veniva, pertanto, portato dinanzi alla Cassazione.

L'art. 47 quinquies, comma 1 stabilisce che "le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza e accoglienza, al fine di provvedere alla cura ed all'assistenza dei figli, dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena o di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo secondo le modalità di cui al comma 1 bis".

Si tratta, a ben vedere di un regime sanzionatorio di favore contemplato "nel rispetto del diritto - dovere di cura ed educazione della prole, ancor più se minorenne, sancito a livello costituzionale (art. 30 Cost.)". Regime, quest"ultimo, che rischia tuttavia, di essere vanificato in ipotesi di violazioni come quella oggetto del presente giudizio.

Ebbene, non a caso il legislatore, ha predisposto a tutela e presidio di siffatto regime, l"art. 47 sexies, comma 1, stessa legge, nel quale si dice espressamente che laddove la condannata ammessa al regime della detenzione domiciliare speciale rimane assente dal proprio domicilio, senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, può essere proposta per la revoca della misura"; qualora, invece, l'assenza sia superiore al limite massimo stabilito, la stessa sarà punita ai sensi dell'art. 385, primo e ultimo comma c.p.

Tutto ciò premesso, la Corte coglie altresì l"occasione di richiamare, a motivo di riflessione, la somiglianza strutturale esistente tra l"art. 47 citato, e l"art. 30, comma 3 della stessa legge n. 354/75 in tema di permessi ordinari concessi ai detenuti, il quale contempla che "il detenuto che non rientra in istituto allo scadere del permesso senza giustificato motivo, se l'assenza si protrae per oltre tre ore e per non più di dodici, è punito in via disciplinare; se l'assenza si protrae per un tempo maggiore, è punito a norma del primo comma dello art. 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione dell'ultimo capoverso dello stesso articolo".

Mai la giurisprudenza – affermano gli ermellini - ha dubitato della punibilità del condannato esclusivamente per assenze protrattesi oltre le dodici ore (v. Cass. sez. 3, sent. n. 647 del 16/11/1982, che ha sancito che il dolo del delitto di evasione nella forma del mancato rientro in istituto senza giustificato motivo alla scadenza del permesso, di cui all'art. 30, comma terzo, legge 26 luglio 1975 n. 354 consiste nella consapevole volontà del detenuto di protrarre oltre il termine stabilito il temporaneo stato di libertà derivante dal permesso, senza che la protrazione possa considerarsi giustificata da una causa che impedisce il rientro in istituto) tant'è che ne ha escluso l'applicazione analogica all'ipotesi dell'imputato agli arresti domiciliari fruitore di permessi di allontanamento per le finalità di cui all'art. 284, comma 3 cod. proc. pen. attesa la diversa natura e struttura degli istituti giuridici considerati (Cass. sez. 6 n. 6617 del 21/03/1994).

Di qui la domanda degli stessi: non è forse alquanto fuorviante identificare l'ingiustificato motivo solo e sempre con la commissione di una condotta penalmente rilevante?

In altri termini, se è vero che "allontanandosi dal domicilio speciale il detenuto commette, come occorso nella fattispecie, uno o più reati, esso ne risponderà secondo le consuete regole dell"accertamento penale ed evidentemente anche quando essi siano stati perpetrati entro la fascia oraria delle dodici ore, va da sé, allora, che in tali casi la revoca seguirà in maniera quasi automatica, ma non possono in astratto escludersi valutazioni di segno diverso (si pensi ad es. al caso di contravvenzioni non implicanti condotta in concreto dolosa). Se, al contrario, l"assenza si protrae oltre le dodici ore, il comma 2 dell"art. 47 sexies della legge n. 354 del 26 luglio 1975 configura, al pari del ricordato art. 30, comma 3 della stessa disciplina, un"ipotesi speciale di evasione di cui all"art. 385 cod. pen. mediante espresso rinvio al comma 3 della previsione codicistica ed al caso ivi contemplato di allontanamento dagli arresti domiciliari. Le disposizioni precedenti si applicano anche all"imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonchè al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale").

Ne discende l"affermazione del principio di diritto che "allontanamenti anche ingiustificati dal luogo di detenzione speciale di cui all"art. 47 quinquies della legge n. 354 del 26 luglio 1975 che si protraggano per un tempo inferiore alle dodici ore non integrano il reato di cui al"art. 385, comma 3 cod. pen., essendo suscettibili soltanto di valutazione a fini disciplinari comportanti anche la revoca dell"ammissione alla misura alternativa alla detenzione carceraria, ferma restando la responsabilità penale a diverso titolo per altri reati nel medesimo arco temporale eventualmente commessi". 

La sentenza impugnata va, pertanto, annullata quanto al punto della ritenuta sussistenza del reato di cui all"art. 385 cod. pen. in relazione all"art. 47 quinquies della legge n. 354 del 26 luglio 1975.




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