Biodiritto, bioetica  -  Redazione P&D  -  03/06/2024

 Principi costituzionali per l’interpretazione e  l’applicazione della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale sull’ art. 580 CP e sui  limiti di non punibilità dell’agevolazione  del suicidio - S. Trentanovi

Sommario :

Premessa  :        cura, insufficienze, inefficienze e aiuto al suicidio –  L’impoverimento costante del SSN

                             Dispositivo della sentenza ------------------------------------- pg.5   

                             Limiti generali ---------------------------------------------------- pg.5 

                             Principi fondamentali------------------------------------------- pg. 5 

                             Presupposti, condizioni e verifiche--------------------------  pg. 13   

 Note            (indicate con asterischi    * )   -------------------------------------- pg. 16                                                                                                                                                     

Premessa : tra cura, insufficienze, inefficienze e aiuto al suicidio – L’impoverimento costante del servizio sanitario nazionale

Ritengo utile schematizzare in ordine logico e condensare, estraendoli  dalla mia relazione 20/1/2024  sull’interpretazione e le distorsioni applicative della sentenza  242/2019 della Corte Costituzionale* (che ha ritagliato, all’interno dell’art. 580 CP, una ristretta ed articolata condizione di non punibilità per chi agevoli l’esecuzione del suicidio altrui) , i principi costituzionali posti dalla Corte a base della sentenza stessa ; così facilitandone l’applicazione nella legislazione vigente attraverso criteri di corretta interpretazione.

 La sentenza è ‘autoapplicativa’, cioè deve essere applicata direttamente ed immediatamente, senza attendere successivi  provvedimenti ; infatti, per evitare che  “un annullamento secco” della norma penale rischiasse “di risolversi… in una menomata protezione di diritti fondamentali” ( nel caso specifico del diritto alla vita ), la Corte ha ricavato “dalle coordinate del sistema vigente i criteri di riempimento costituzionalmente necessari”.** E’ evidente che ogni provvedimento normativo-regolamentare, ogni  decreto ministeriale o interministeriale, ogni circolare, ogni direttiva o linea-guida amministrativa emanata ai diversi livelli  ( statale o  regionale, limitata o meno a singole ULSS  oppure a singole strutture sanitarie pubbliche o private) non può legittimamente discostarsi, nell’attuale assetto legislativo,   dai principi e dai criteri dettati dalla stessa Corte per la sua puntuale e corretta interpretazione ed applicazione.  In questo senso   deve parlarsi, in base all’attuale legislazione, di una ‘conformità  applicativa necessaria’ rispetto a tutte le disposizioni dettate dalla sentenza, in tutte le sue parti, senza alcuna possibilità di operare legittimamente ( e lecitamente ) - pur nell’ambito della ‘discrezionalità amministrativa’- in contrasto con il  testo del dispositivo e  della stessa motivazione della sentenza 242/2019. 

Non intendo in questa sede entrare nel merito dei futuri possibili  interventi legislativi  costituzionalmente legittimi, auspicati dalla stessa sentenza . Ma devo ribadire che il cd. ‘principio a conformità costituzionale necessaria’  è espressamente richiamato dalla sentenza della Corte nel formulare l’auspicio “che la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore”, sottolineando che tale intervento dovrà comunque esser realizzato  “conformemente ai principi precedentemente enunciati”.   Nello schema di lettura qui proposto mi  limiterò  a sottolineare con le parole   ‘principio a conformità  costituzionale necessaria’   quei principi  dettati dalla sentenza   che vincolano non solo chi interpreta ed applica attualmente la sentenza stessa ( anche in sede amministrativa e regolamentare)  ma  anche    il  legislatore nazionale .  Questa annotazione significa che il principio  enunciato deve essere  rispettato anche in futuri interventi legislativi, a pena di illegittimità costituzionale della norma contrastante.***

 Sottolineo subito che  presupposto necessario della non punibilità dell’agevolatore è che sia stata prima  pienamente proposta e percorsa la strada della ‘cura’ e delle ‘cure palliative’ ( corollario del riconoscimento della dignità assoluta di ogni essere umano e del compito di garantirla assegnato alla Repubblica )  come previsto nell’incipit del dispositivo dalla sentenza stessa: “con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 219/2017”; queste “ modalità” sono  costituite dal percorso di cura.  Il percorso di cura  previsto dalla legge, a sua volta, richiama testualmente - in particolare al primo comma dell’articolo 2 – le previsioni della legge 38/2010 sul diritto/ dovere istituzionale dell’offerta e dell’erogazione delle cure palliative e della  terapia del dolore ( valorizzando anche il diritto a rifiutare trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza – art. 1 comma 5  l. 219/2017).  

Già questo fatto prova di per sé  che  il sistema costituzionale è orientato alla cura e non alla cessazione definitiva della stessa possibilità di cura attraverso la ‘scelta’ tragica dell’aiuto al suicidio;  “compito della Repubblica” è quello della  protezione ‘attiva’ dell’insopprimibile dignità dell’essere umano in ogni  condizione ( la cura ) e non  la sua soppressione.

 A  proposito della “cura”, compito fondamentale che la Costituzione assegna alla Repubblica (artt. 2,3,32 Cost.), constato che, nonostante tanti discorsi e dichiarazioni di impegno ( e, ormai, anche in mancanza di essi)  si è fatto e  si fa molto poco ( e sempre con interventi emergenziali o a ‘spot’) per garantire sul serio  il miglior funzionamento ‘integrato’ del servizio socio-sanitario pubblico unitariamente inteso, che purtroppo ‘sta andando a rotoli’  e necessita di un’adeguata riorganizzazione nazionale  ( e non solo regionale )  nonchè  di  indispensabili ed effettivi  rilevanti  finanziamenti  in grado di valorizzarlo ed attualizzarlo a fronte degli immanenti  ( e ancor di piu’ futuri ) gravissimi problemi  strutturali e logistico-organizzativi da cui è afflitto nonché della sempre piu’ drammatica carenza di personale. Questi problemi sono costantemente moltiplicati dal progressivo inesorabile aumento dell’età e della conseguente fragilità-morbilità della popolazione ( che inevitabilmente è sulla strada di una costante riduzione della cd. ‘produttività’); eppure ogni giorno si può  verificare la disponibilità al sacrificio della grande maggioranza dei medici e del personale socio-sanitario      (cui talora corrispondono mugugni, proteste e lamentele, talora  ingiustificate, da parte di numerosi utenti).

 E’ davvero difficile, se non viene realizzata senza tentennamenti una totale riorganizzazione, rivalutazione e rivalorizzazione di tutto il servizio sanitario nazionale (al di là di ogni frammentazione territoriale), attraverso il suo effettivo e complessivo rafforzamento ( che ponga sempre al centro la  persona-malato e  la sua dignità  e , parallelamente, il riconoscimento della “competenza, autonomia professionale e responsabilità del medico” e dell’intera équipe socio-sanitaria) anche solo tentare, nell’incalzante succedersi delle emergenze vere e delle necessità burocratiche, un effettivo coinvolgimento del personale in aperti ed autentici “percorsi formativi in materia di cure palliative e di terapia del dolore” , come  richiesto ad esempio dall’art. 8 della l.38/2010 e dai commi 9 e 10 dell’art.1 l.219/2017 (principio di “formazione continua”) e dallo stesso comma 10 dell’art.1 l.219/2017 ( principio secondo cui “il  tempo della comunicazione  tra medico e paziente costituisce tempo di cura”).  Si tratta di disposizioni-quadro; ma esse sono costantemente limitate dal  legislatore  attraverso la tremenda ‘clausola di invarianza finanziaria’- di cui sono esempio il comma 5 dell’art.5 della legge 38/2010  e  l’art. 7 della  l. 219/2017 (ma parallelamente, seppur con diverse formulazioni, l’intera normativa sull’amministrazione di sostegno  : legge 6/2004-)-  che spesso rende solo illusorie e declamatorie, quando non  farisaiche, anche le piu’ belle disposizioni normative. 

 Si tratta di scelte e di priorità, entro ma anche al di là dei parametri del debito pubblico!   Per esempio tutti parlano tanto  della  necessità di ridurre le tasse,  e perfino di quella della realizzazione  del Ponte sullo Stretto di Messina, ma non  altrettanto  del dovere costituzionale primario  di garantire ( “dovere inderogabile”) davvero il diritto alla vita ed alla salute.  Forse l’esigenza ‘politica’ di garantire il miglior funzionamento del servizio socio-sanitario pubblico, la stessa vita e la salute di ogni persona, nell’ambiente in cui è chiamata a vivere, non viene ritenuta abbastanza redditizia in termini di consenso popolare da nessun partito, nonostante l’esperienza  recente ma sostanzialmente dimenticata di una angosciante pandemia ?  O forse non si sa davvero come fare a passare dalle affermazioni astratte di buona volontà e disponibilità alle  ristrutturazioni generali  ed organiche, per quanto possibile unitarie,  organizzativamente ed economicamente molto impegnative, di un servizio pubblico che per tanti anni ha  saputo contribuire in modo decisivo allo sviluppo sociale ed anche economico dell’Italia, portandola a raggiungere una delle aspettative di vita alla nascita piu’ alte al  mondo? ****

Ma tutto rischia di crollare e sta già crollando, come risulta  dal recente  appello di 14 grandi scienziati italiani  per la salvaguardia della nostra piu’ importante ‘opera pubblica’,  il Servizio Sanitario Nazionale, che ha di fatto contribuito in modo essenziale allo  sviluppo sociale ed economico dell’ Italia. 

 Basta riflettere su alcuni numeri : il finanziamento del SSN equivale a meno di 3.000 euro l’anno per persona, mentre la Germania finanzia il servizio corrispondente con circa 7.300 euro e la Francia con piu’ di 6100 .  I posti-letto negli ospedali pubblici si sono ridotti in vent’anni -per ogni 1000 abitanti- dai   quasi 6 del 1998 ai poco piu’ di 3 nel 2022 ( la Germania ne ha 8 e la Francia 5 ) a fronte di una popolazione in rapido invecchiamento e conseguentemente sempre piu’ malata.  Mancano circa 40.000 medici, tra ospedalieri   (gravissima è la crisi dei pronto-soccorso) e medici di medicina generale ( che, di fatto, spesso ormai non ci sono  piu’ neppure fisicamente ) e 65.000 infermieri.  In Italia abbiamo 97,4 operatori sanitari per 10.000 abitanti, mentre negli altri paesi europei le proporzioni sono molto piu’ alte, fino ai 135 dell’ Austria.  I medici (ma anche il personale infermieristico) del servizio pubblico in buona parte migrano dal pubblico al privato e vanno  soprattutto all’estero, sono sempre piu’ anziani, svalorizzati, mal pagati e spesso   gravati da turni di lavoro  troppo  pesanti e frenetici.  In percentuale I finanziamenti del SSN, previsti per il 2025 nel limite del 6,2% del Pil, sono sensibilmente inferiori a quelli di venti anni fa.  Risulta che, a causa di liste d’attesa lunghissime e dell’impossibilità economica di   ricorrere al privato, circa 4.000.000 di persone rinunciano ogni anno a ‘curarsi’ e ancor di piu’ a ricorrere agli accertamenti preventivi necessari o consigliati.

In questo quadro rischia di essere davvero difficile realizzare ovunque, per esempio, condizioni che garantiscano a tutti la possibilità di un’effettiva “relazione di cura e di fiducia” paziente-medico-équipe sanitaria,   adeguate “azioni di sostegno” che coinvolgano  anche i “servizi di assistenza psicologica”; assicurare anche organizzativamente il magnifico principio per il quale “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura” ( quando, in certi contesti, rischia di mancare perfino il tempo di ‘pensare’);  e garantire  a tutti – anche al di là dei limiti della fase terminale della vita o delle ‘malattie inguaribili’( che però non sono e non possono mai essere ‘incurabili’!)- una “appropriata terapia del dolore”, fino alla “sedazione palliativa profonda continua” ( artt. 1-2  l. 219/2017).  Rischia di restare un sogno, anche, “garantire la continuità  assistenziale del malato dalla struttura ospedaliera al suo domicilio”, “assicurare adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia”, realizzare “day hospice” dotati di una “articolazione organizzativa… che eroga prestazioni diagnostico-terapeutiche e assistenziali a ciclo diurno non eseguibili a domicilio”; così come assicurare ovunque l’indispensabile “insieme degli interventi sanitari, socio-sanitari e assistenziali che garantiscono l’erogazione di cure palliative e di terapia del dolore al domicilio della persona malata…coordinati dal medico di medicina generale”; e, nei fatti, assicurare davvero la “tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione” assieme alla “tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine” ( artt. 1 e 2  l. 38/2010).

Eppure la sentenza della Corte Costituzionale, riprendendo il parere espresso il 18/7/2019 dal Comitato Nazionale per la Bioetica, ha constatato come oggi  “la necessaria offerta effettiva di cure palliative e di terapia del dolore…sconta molti ostacoli e difficoltà, specie nella disomogeneità territoriale dell’offerta del SSN, e nella mancanza di formazione specifica nell’ambito delle professioni sanitarie, …che dovrebbe rappresentare, invece, una priorità assoluta per le politiche  della sanità”. 

 In questo contesto, in mancanza degli interventi necessari ad assicurare nella realtà,  come “priorità assoluta per le politiche della sanità”,  l’effettività della ‘cura’, delle ‘cure palliative’ e della ‘terapia del dolore’, “si cadrebbe…- (anzi, purtroppo, si cade: nota dell’autore)- nel paradosso di non punire l’aiuto al suicidio senza aver prima assicurato l’effettività del diritto alle cure palliative”.

Desidero sottolineare anche in questa sede, affrontando nuovamente le problematiche connesse ai presupposti ed alla condizioni cui la Corte subordina la non punibilità  di una pur ristretta ipotesi di agevolazione all’esecuzione dell’altrui suicidio che,  mentre i presupposti, i limiti, gli accertamenti ed i controlli  richiesti possono  sembrare ‘intralci burocratici’  o esser vissuti come tali dalla persona sofferente e da coloro che la circondano, tuttavia essi sono funzionali alla necessità  di proteggere la vita umana- valore primo dell’intero ordinamento democratico e fondamento della nostra Costituzione- anche e soprattutto  nelle situazioni di maggior sofferenza personale, quando le persone sono “piu’ deboli e vulnerabili” e maggiormente  assoggettabili,  perciò, a pressioni e condizionamenti, diretti ed indiretti.

Ma ogni precisazione interpretativa ed ogni chiarimento del senso della sentenza della Corte non mettono assolutamente in discussione il riconoscimento delle diversificate realtà di grande e concreta sofferenza  delle persone che, in condizioni di disperazione a fronte di una patologia irreversibile, si determinano ad  una scelta suicida e che, non riuscendo ad eseguire da soli il suicidio, chiedono aiuto ad altri per la sua esecuzione. Non può essere espresso alcun giudizio su questa tragica ‘scelta’, che merita comunque rispetto, comprensione e ‘con-passione’, anche quando sia sostanzialmente frutto dell’incapacità della società, dei servizi socio-sanitari, di tutti coloro che hanno l’onere della  ‘cura’- e, in fondo, di tutti noi - di offrire concrete risposte al grido di sofferenza del malato  e, magari, al suo stesso ‘sentirsi un peso’ per la famiglia e per la società.

Ritengo opportuno, per facilitare la  lettura   di questa sintesi schematica,  riportare di seguito testualmente il dispositivo della sentenza 242/2019, evitando di trascrivere solo la parte relativa alla  regolamentazione dei fatti anteriori alla pubblicazione della  sentenza stessa, inserita dalla Corte tra due interpunzioni ( -    -  ).

IL DISPOSITIVO DELLA SENTENZA 

“La   Corte   Costituzionale

Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 CP, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della l. 219/2017    - ……. ******-,   agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.” 

 Limiti e  principi fondamentali della sentenza  242/2019  sull’art. 580 CP  (“istigazione o aiuto al suicidio”)

A )   Limiti  generali  

La sentenza 242/2019  ( paragrafo 6 della motivazione “in diritto”)  “si limita ad escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici.  Resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato”. Pertanto, non essendo  stabilito né previsto dalla sentenza  alcun dovere od obbligo  del medico (e, correlativamente, del personale sanitario) o di qualsiasi persona o ente ( sia che faccia parte di “strutture pubbliche del servizio sanitario nazionalesia che non ne faccia parte) di agevolare l’esecuzione dell’altrui suicidio, è evidente che non può porsi alcun problema di obiezione di coscienza. Infatti, come dispone la sentenza,  il terzo ( identificato nel “medico”) può  “scegliere se prestarsi” (rimanendo non punibile) o meno ad agevolare l’esecuzione del suicidio, mentre l’obiezione di coscienza è possibile ed  ha ha un senso solo di fronte ad una legge che stabilisca un dovere-obbligo, generale o specifico, di partecipare attivamente ad una procedura ritenuta contrastante  con la propria coscienza.******

B )   Principi fondamentali

1.  Principio di tutela necessaria del diritto alla vita -      Il “diritto alla vita” è riconosciuto e garantito  “come primo dei diritti inviolabili dell’uomo… in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri…dall’art. 2  della Costituzione, nonché, in modo esplicito, dall’art. 2 CEDU” (par. 2.2) .  La vita umana è un bene di per sé indisponibile.   Ad ogni persona deve esser riconosciuta un’inviolabile, oggettiva ed assoluta dignità, quali che siano le sue condizioni ;   è  compito della Repubblica  garantirla  anche  attraverso  la cura  delle  persone sofferenti  - principio a conformità costituzionale necessaria - ;

2.   Principio di esclusione  del diritto alla morte  -     E’ escluso dalla Costituzione il “diritto alla morte”, cioè il diritto di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire .  “Dall’art. 2 Cost.- non diversamente che dall’art.2 CEDU -  discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo : non quello  - diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo  la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire”( par. 2.2 ) - principio a conformità costituzionale necessaria -;     

3.  Principio di autodeterminazione ed esclusione del diritto alla morte  -    E’ escluso che il  “diritto alla morte”  possa  esser desunto  “da un generico diritto all’autodeterminazione individuale, riferibile anche al bene della vita” collegato al principio costituzionale di inviolabilità della libertà personale ( art.13, primo comma Costituzione; par.2.2 ).  Quest’ultimo può   ‘giustificare’  il diritto del paziente a rifiutare il trattamento sanitario indicato  dal medico, anche quando si tratti di “trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza” ( art. 32, sec. comma Cost; art. 1 comma 5 della legge 219/2017 );  ma non può legittimare il coinvolgimento attivo/intromissione di terzi nell’aiutare la persona sofferente a suicidarsi ( e, tantomeno la previsione di qualsiasi “obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici” o a qualsiasi persona o ente-cfr. sopra n.1) - principio a conformità costituzionale necessaria- ;

4.  Principio del rispetto della vita privata ed esclusione del diritto alla morte  -    “Le medesime considerazioni valgono altresì ad escludere”  che tale “diritto alla morte” possa derivare dall’ art. 8  CEDU, che sancisce il diritto di ciascun individuo al rispetto della propria vita privata”, ma non la possibilità di terzi di intervenire attivamente nella realizzazione dell’altrui suicidio ( par.2.2) . Infatti la circostanza che sia costituzionalmente corretto che “l’ordinamento non sanzioni  chi  abbia tentato di porre fine alla propria vita” non rende  “affatto incoerente la scelta di punire chi cooperi materialmente alla dissoluzione della vita altrui, coadiuvando il suicida nell’attuazione del suo proposito.  Condotta, questa, che -diversamente dalla prima- fuoriesce dalla sfera personale di chi la compie, innescando una  relatio ad alteros  di fronte alla quale viene in rilievo, nella sua pienezza, l’esigenza di rispetto del bene della vita”  - principio a conformità  costituzionale necessaria- ;

5.    Principio di pari dignità-eguaglianza sostanziale -  necessità di prevenzione generale e  protezione penale del diritto alla vita come compito della Repubblica     -    “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” (  art.3, primo comma Costituzione - principio di pari dignità o di eguaglianza sostanziale ).  Essendo la vita umana ed il corrispondente diritto alla vita di ogni persona beni primari ed indisponibili , è necessario garantirli   anche   attraverso la protezione dissuasiva massima prevista dall’ordinamento . La sanzione penale corrisponde alla  protezione  generale massima  ( necessità di prevenzione generale)  contro chi per qualsiasi causa li aggredisca.  Da ciò deriva la necessità costituzionale della previsione di una pena anche per tutti coloro che istighino o comunque aiutino il suicidio altrui ( art. 580 CP. ; si veda l’intera motivazione della sentenza n. 50/2022 della stessa Corte Costituzionale sull’inammissibilità di referendum popolare  ‘abrogativo’ sull’omicidio della persona consenziente -art.579 CP-*******).  La  sentenza  242/2019 sottolinea che la correttezza costituzionale della previsione di una sanzione penale per chi aiuti o  agevoli  l’altrui suicidio     (art. 580 CP)  “può essere agevolmente scorta, alla luce del vigente quadro costituzionale, nella tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone piu’ deboli e vulnerabili,  che  l’ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema  ed irreparabile, come quella del suicidio. Essa assolve allo scopo, di perdurante attualità, di tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere”    .      Dal dovere costituzionale di  proteggere il bene primario della vita da ogni attacco di terzi  deriva dunque, come compito di garanzia e rimozione degli ostacoli  proprio della Repubblica, la necessità di  sanzionare anche penalmente  l’istigazione o l’aiuto al suicidio  (in qualsiasi forma venga realizzato ) : artt. 2 e 3 della Costituzione: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo….E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli….che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. “La  ratio della tutela di una norma quale l’art. 580 CP…. guarda alla persona umana come valore in  sé, e   non come semplice mezzo per il soddisfacimento di interessi collettivi”  - principio a conformità costituzionale necessaria- ;

6.   Principio del diritto - dovere di cura  -     La cura - cioè lo ‘stare accanto ad ogni persona che soffre’ prendendone a cuore la  sofferenza,  condividendola ognuno nel proprio ruolo e con le proprie  responsabilità ed offrendole  gli strumenti ed i trattamenti sanitari, psicologici e  sociali “appropriati allo stato del paziente”  per “alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico”( art. 2, primo comma l. 219/2017) -  costituisce compito primario della Repubblica ( artt. 2, 3 e 32 Cost.) e non solo del medico o dell’équipe sanitaria.  La cura riguarda la sofferenza nella sua totalità esistenziale,  sia nel suo aspetto ‘fisico’ (dolore) che  psicologico,  come sottolineato dallo stesso dispositivo della sentenza  della Corte (“….fonte di sofferenze fisiche  o  psicologiche che ella reputa intollerabili…”).           La cura impone di ‘non lasciar solo’  il paziente nella sua sofferenza e, a differenza dei singoli trattamenti sanitari proposti (che fanno parte della ‘cura’ ma non la esauriscono), non è  mai rinunciabile.  Non esiste pertanto la possibilità costituzionale di ‘abbandono della cura’: anche a fronte della richiesta di aiuto al suicidio, la cura’ deve proseguire autonomamente fino alla morte della persona-paziente.  A fronte della richiesta di aiuto all’esecuzione del suicidio, la cura dovrà pertanto proseguire fino alla morte della persona-paziente, pur se su di una ‘linea  operativa’ autonoma, parallela e sostanzialmente contrapposta al percorso di assistenza al suicidio.     Con essa si prospetteranno sempre “possibili alternative”, fino alla “sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore” ( art. 2, comma 2 della l. 219/2017); e si  promoverà  - anche con il coinvolgimento dei “familiari”- “ogni azione di sostegno al paziente medesimo,  anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica”,  garantendo sempre al paziente “la possibilità… di modificare la propria volontà” ( art. 1, comma 5 della l. 219/2017).     Nell’ambito del dovere di cura rientra il diritto alle  ‘cure palliative’ di cui all’art. 2 della stessa legge, che sottolinea che “il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al  trattamento sanitario indicato dal medico”.  La  sentenza intreccia il dovere di cura ed il “diritto alle cure palliative”  con i principi stessi del consenso informato ‘normativizzati’  dall’art 1  della legge 219/2017, sottolineando da un lato “ l’esigenza di coinvolgimento dell’interessato in un percorso di  cure palliative”  e  dall’altro come “debba esser sempre garantita al paziente un’appropriata terapia del dolore con l’erogazione delle cure palliative previste dalla legge n.38/2010” ( che rientrano nei livelli essenziali di assistenza)   -  principio a conformità  costituzionale  necessaria  - ;  

7.    Principio di sofferenza intollerabile e  di irragionevolezza della sanzione penale  - La non punibilità -  Secondo la Corte però esistono limitatissimi  casi di gravissime sofferenze artificialmente protratte, corrispondenti a “situazioni inimmaginabili all’epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali” ( par.2.3 sentenza);  in questi casi la previsione di una sanzione penale per chi si limiti ad agevolare esecutivamente (senza aver posto in essere alcuna attività di rafforzamento del proposito suicida)  il suicidio di un paziente che non sia in grado di eseguirlo da solo, può tradursi in una  misura irragionevole e sproporzionata ( art.3 Costituzione).  Per questi casi e solo per questi casi ( si tratta delle sole “situazioni in rapporto alle quali  l’indiscriminata repressione dell’aiuto al suicidio… entra in frizione con i precetti costituzionali”, che la Corte ha “già puntualmente individuato” nella ordinanza di rinvio 207/2018 ) nella concorrenza dei  presupposti, dei limiti e dei controlli indicati  nel paragrafo successivo,  la Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale della disposizione che, all’interno dell’art. 580 CP,  sanziona penalmente il comportamento di chi “agevola in qualsiasi modo l’esecuzione” del suicidio altrui,  senza averne in alcun modo determinato o rafforzato il proposito e la decisione ( fatti questi ultimi che restano e debbono restare sempre punibili  come istigazione ed aiuto al suicidio in base allo stesso art. 580 CP ). Solo per questi casi la Corte  ha ‘costruito’ una  corrispondente e  conseguente causa / condizione di non punibilità  -   principio a conformità costituzionale necessaria -;           

8.    Principio di esclusione del diritto soggettivo all’aiuto al suicidio  -         La Corte ha  espressamente  escluso che questa ‘non punibilità’ possa tradursi in un diritto soggettivo del paziente ad ottenere dalle strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale o da qualsiasi diversa struttura, ente o persona l’aiuto al suicidio richiesto  - principio a conformità costituzionale  necessaria -        La sentenza ha pertanto ritagliato soltanto, all’interno della disposizione penale, una condizione di non  punibilità  per chi, in presenza dei presupposti e dei limiti posti dalla stessa Corte, “agevola in qualsiasi modo l’esecuzione” del suicidio della persona-paziente che versi in condizioni di intollerabile sofferenza ( art. 580 CP ) ; ha creato così una norma penale eccezionale e come tale insuscettibile di qualsiasi interpretazione analogica o estensiva ( art. 13 Preleggi).   La sentenza stabilisce che lo Stato deve accettare – per una sorta di ‘inesigibilità’ di una scelta diversa da parte del malato ‘trasferita’ alla persona che materialmente concorre, come da richiesta della persona sofferente, nell’esecuzione del suicidio – che vada esente da pena la condotta di chi agevoli il suicidio in presenza dei presupposti, limiti, condizioni e verifiche rigidamente indicati dal dispositivo ( si veda il  principio di condizionalità di cui al numero 10 di  questo paragrafo in relazione ai requisiti di non punibilità elencati nel paragrafo successivo ).   La Corte in sostanza ritiene che, nel caso di sofferenze intollerabili del malato “tenuto in vita da trattamenti medici artificiali necessari per la propria sopravvivenza”, la  sua valutazione soggettiva sul carattere non dignitoso della prosecuzione delle cure possa ‘prevalere’ sull’ontologica permanente   dignità della sua stessa vita-persona;  tanto da legittimare la non punibilità di chi, di fronte alla richiesta della persona malata ( nei soli casi espressamente indicati )  agevoli  materialmente l’esecuzione del suicidio che il paziente non sia in grado di porre in essere da solo.  Ma la sentenza stessa non incoraggia affatto né fa sua questa ‘scelta’, ritenendo anzi compito della Repubblica ( dovere di solidarietà ) tentare – pur nel rispetto delle scelte del paziente - ogni mezzo di dissuasione della persona sofferente, innanzitutto mettendo a sua concreta disposizione tutte le alternative di cura possibili, un’appropriata  terapia del dolore e,  “in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari”, il ricorso “alla sedazione palliativa profonda continua in associazione alla terapia del dolore” ( anche a fronte del rifiuto di ulteriori trattamenti sanitari indicati dal medico ): art. 2 l. 219/2017 . Si tratta  del  ‘diritto alle cure palliative’ ( con corrispondente dovere dello  Stato ) già commentato sub 6 – principio a conformità costituzionale necessaria - ;

9.    Principio di estraneità del SSN alla partecipazione attiva all’aiuto al suicidio  -   Costituisce un’ inevitabile  conseguenza della lettura dei diritti e dei doveri costituzionali da parte della Corte che le strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale abbiano, come testualmente richiesto dalla sentenza, solo funzioni di controllo e verifica sulla sussistenza dei presupposti , dei limiti  e delle condizioni per i quali chi agevoli l’esecuzione dell’altrui suicidio  possa esser dichiarato non punibile.   Esse pertanto, in base alla sentenza della Corte,   non hanno né possono avere   alcun compito di intervento attivo nel percorso suicida  e di agevolazione del suicidio  del paziente che  versi in condizioni di intollerabile sofferenza.    La Corte si è limitata a creare una norma penale eccezionale, ‘restringendo’   la punibilità dell’agevolazione del suicidio altrui con l’aggiunta di  nuovi limiti e condizioni.  Essa è perciò insuscettibile di qualsiasi interpretazione analogica o estensiva ( art.  13 prel.).     La sentenza  stabilisce che lo Stato deve accettare - per una sorta di ‘inesigibilità’ di una scelta diversa da parte del malato ‘trasferita’ alla persona che   agevoli  l’esecuzione del suicidio - che vada esente da pena la condotta dell’agevolatore materiale del suicidio altrui in presenza dei  presupposti, limiti, condizioni e verifiche  rigidamente indicati dal dispositivo (riportati nel paragrafo successivo) .   La Corte  in sostanza ritiene che la valutazione soggettiva del malato sul carattere non dignitoso del prolungamento artificiale della sua vita, condizionata da una patologia irreversibile che gli provoca  sofferenze intollerabili, possa in casi estremi, collegati al carattere artificiale dei trattamenti di sostegno vitale che lo tengono in vita, ‘prevalere’ sull’ontologica permanente dignità della sua stessa vita-persona; e ‘legittimare’  in conseguenza la non  punibilità  di chi, di fronte alla richiesta del malato, agevoli materialmente,  nei  soli casi  delineati dalla Corte, l’esecuzione del  suicidio.       Ma è opportuno ripetere che la stessa sentenza non  incoraggia affatto    fa sua questa ‘scelta’, ritenendo compito della Repubblica ( dovere di solidarietà ) tentare ogni mezzo di dissuasione della persona sofferente dal proposito suicida, innanzitutto  mettendo a  sua concreta disposizione tutte le alternative di cura possibili, fino alla sedazione profonda continua assieme alle  piu’ avanzate forme di terapia del dolore  ( art. 2 l. 219/2017 ) : si tratta del  ‘diritto alle cure palliative’ (con corrispondente dovere dello Stato)  già  commentato   sub 6 e sub 8  - principio a conformità costituzionale necessaria-.   Compito del SSN  e delle sue strutture pubbliche  è la cura e, nell’ambito del percorso di cura, la  proposta-somministrazione  dei trattamenti  e degli strumenti sanitari adeguati allo stato del paziente, alleviandone le sofferenze con “un’ appropriata terapia del dolore”,  di cui fanno parte le cd.  “cure  palliative” ( artt. 2 l. 219/2017  e  1-2 l. 38/2010 );  non certo l’ aiuto  (seppur con un ‘percorso medicalizzato’) nella realizzazione del proposito suicida del paziente sofferente, destinato a far cessare definitivamente ed irrevocabilmente ogni percorso di cura. D’altra parte non può certo esser qualificato ‘trattamento sanitario o strumento di trattamento sanitario’ ( la cui proposta-prospettazione deve sempre esser avanzata dal medico ) l’utilizzazione di qualsiasi strumento, metodologia, sostanza o modalità ( pur conosciuta in medicina),  il cui impiego  sia nel caso specifico esclusivamente diretto a provocare la morte della persona ; né tale utilizzazione può esser considerata mezzo per un’appropriata terapia del dolore o comunque rientrare nel concetto di “erogazione di cure palliative”.  Nessuna normativa vigente assegna questo compito, radicalmente contrastante con il compito di cura, a strutture pubbliche del servizio sociosanitario, come emerge univocamente dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale che lo esclude.