Biodiritto, bioetica  -  Redazione P&D  -  25/06/2021

Il consenso informato - Commento alla legge 219/2017 parte quinta - S. Trentanovi, G. B.Gottardi

Sofferenza e cura, dolore e terapie (art. 2) – Le DAT (art.4)

In  questa quinta parte della relazione ( Gottardi – presidente Comitato Etico per la pratica clinica AULSS 7 Veneto e Trentanovi, membro dello stesso Comitato )  sviluppiamo a titolo personale, riflessioni sulla legge 219/2017 svolte in sede di Comitato Etico, con nostre valutazioni  condivise tra noi   (ma che restano autonome da qualsiasi scelta o indicazione del Comitato ) affrontando la  problematica, posta in particolare dall’art.2 della legge, del dolore e della sofferenza, della cura e  delle terapie, sotto i profili giuridico e bioetico. La stessa problematica del dolore e della sofferenza richiama la disciplina delle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), di cui alla legge 219/2018, di cui affrontiamo di seguito la disciplina (art.4) tentandone, come abbiamo sempre cercato di fare in questa relazione, una corretta lettura sistematica e costituzionalmente orientata, inserita nel quadro bioetico.

  In quest’ambito, la nota deve allargarsi da un lato  ad  una pur sintetica lettura della sentenza 212/2019 della Corte Costituzionale sull’art. 580 C.P.( cap.5 ) ; dall’altro però deve tener conto anche alle modalità con cui lo Stato, nelle sue articolazioni territoriali e funzionali, sta rispondendo e/o dovrebbe a nostro  avviso rispondere, per gli  stessi obblighi costituzionali posti dagli artt. 2-3-32, alle esigenze sanitarie e socio-sanitarie della collettività ( in specie, attualmente, a quelle  collegate alla pandemia COVID) e, in generale, a quelle relative alla tutela dei beni comuni fondamentali della vita e della salute delle ‘persone’ (diritti inviolabili dell’uomo) che ne formano, appunto, la ‘collettività’ (art.32 Cost.) e/o il ‘popolo’(art.1 Cost.).

In questo senso non possiamo evitare di sottolineare insufficienze e ritardi oggettivi, anche nell’acquisizione e nell’utilizzazione coordinata di disponibilità economiche nonché nell’elaborazione di ‘piani generali’ che permettano di superare la logica del modesto ‘rattoppo’ o dell’intervento ‘puntuale’ e/o emergenziale all’interno del sistema socio-sanitario attuale, che ha già rivelato e sta nuovamente rilevando insufficienze specifiche ed eccessivi  ‘frazionismi’; esso abbisogna invece, crediamo, di una profonda e rinnovata, generale  e ‘costosa’ ristrutturazione orientata al bene comune prima che al risparmio . 

 Il sistema costituzionale non    può certo esigere ‘eroismi’ dal personale ‘competente’ e ‘responsabile’ del settore sociosanitario, sempre numericamente insufficiente e talora non idoneamente formato e organizzato; né, ancor meno, può consentire o tollerare il ricorso a disumane ‘selezioni anticipate ed organizzate’ di pazienti a cui soltanto riservare livelli di assistenza terapeutica adeguati. 

Proprio questo è il tempo in cui è essenziale un atteggiamento di fattiva, unitaria volontà di tutela dei beni comuni, dalla vita, alla salute, allo stesso ambiente.

Il raggiungimento di un adeguato livello di cura di tutte le persone sofferenti è imposto come ‘compito della Repubblica’ dal secondo comma dell’art.3 della Costituzione ed è il dovere primario dello Stato, che discende dal carattere fondamentale della tutela della vita e della salute e dall’adempimento dei ‘doveri inderogabili di solidarietà’ (art.2 Costituzione). 

Lo Stato, perciò, anche attraverso ed in collaborazione con le autonomie locali e funzionali (art.5 Cost.), ha il dovere di finanziare ed organizzare un sistema sociosanitario idoneo (tenendo conto delle realtà e delle esigenze attuali ma anche in previsione di quelle future) a garantire al massimo la funzionalità di questo servizio alla cura della persona, di ogni persona, al di là di ogni frazionamento territoriale del Servizio Sanitario Nazionale.  Così si potrà permettere davvero  agli operatori della ‘rete’ di ‘alleviare le sofferenze’ della collettività,  contemporaneamente anche riducendo, con l’impiego degli adeguati strumenti di prevenzione - diretti ed indiretti –  e con l’impegno di personale numericamente sufficiente, informato e ‘formato’, le probabilità stesse di ammalarsi ; e si potrà assicurare parallelamente l’idoneità di personale, strutture e strumenti  per la somministrazione delle migliori terapie e per le cure, comprese quelle previste dall’art. 2 della legge 219/2017 e dalla legge 38/2010. 

Per questo,  anche  all’interno dei capitoli in cui si articola questo commento, l’attualizzazione della riflessione focalizza, in maniera critica ( senza voler entrare nel dettaglio degli interventi e delle omissioni ) alcuni aspetti che rivelano carenze e insufficienze  del servizio sanitario e socio-sanitario , cui non risulta essersi data  ( né , talora, tentato di dare) adeguata  ‘copertura’ economica ed organizzativa, con profili di responsabilità politica  che possono  sostanzialmente riguardare, sotto aspetti diversi, pressoché tutti i ‘decisori’ delle linee di  ‘indirizzo politico’ del Paese.

Dobbiamo anche constatare con amarezza (a prescindere dalla valutazione politica della perdurante scelta di non ricorrere al cosiddetto “MES” sanitario) che, nei fatti, il piano socio sanitario che va delineandosi, anche nell’ambito del ricorso al PNNR, non apparirebbe sufficiente a colmare le perduranti lacune, più volte sottolineate, del servizio socio sanitario pubblico, soprattutto nelle sue articolazioni territoriali.

  

1) Cura e terapie- Il coinvolgimento necessario ed il rifiuto della possibilità dell’abbandono terapeutico, di fronte al dolore.

Nell’ art. 2, come in diverse disposizioni di quelli successivi, il legislatore sembra usare indifferentemente i sostantivi plurali ‘cure’ e ‘terapie’ come sinonimi. Si tratta di una non felice (e forse non del tutto consapevole) ‘ uniformazione terminologica’ anche rispetto alla legge 38/2010, che prevede il diritto di accesso alle ‘cure palliative e alla terapia del dolore’ distinguendo però espressamente i due termini alla lettera a ed alla lett.b dell’art.2. Se non venisse data una lettura logico-sistematica a queste disposizioni  ,  si potrebbe  rischiare  di confondere il concetto generale ( singolare ) di ‘cura’, integrato dal ‘prendersi a cuore  qualificato ed esistenzializzato’ ( che orienta tutte le disposizioni dell’art.1 e – rafforzando e concretizzando i principi della l.38/2010 - costituisce il ‘vestito nuovo’ della cultura medico-giuridica di cui la legge 219/2017 vuole essere espressione ) con quello, singolare o plurale, di terapie (o terapia)-trattamento ( o trattamenti/interventi ) sanitari .

 Quest’ultimo concetto deve correttamente ritenersi integrato, all’interno della ‘relazione di cura e di fiducia ‘ di cui al c.2 dell’art.1, anche (ma non solo) da proposte terapeutiche-trattamenti sanitari  ( o ‘singoli atti del trattamento stesso’ -c.5,prima parte dell’art.1) che si inseriscono nel rapporto di cura.  In questo senso la l. 38/2010 qualifica con il concetto multidimensionale di ‘ insieme ‘ le cosiddette ‘cure palliative’ (‘cura’- al singolare- o ‘cure ’-al plurale- finiscono così per esser sinonimi) : in esse infatti rientrano -lett.a dell’art.2 – non solo gli interventi diagnostico-terapeutici qualificabili come ’trattamenti sanitari’  ma anche  (e soprattutto) quelli ‘assistenziali’ . Questa disposizione precisa ulteriormente che si tratta dello ‘insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici’.        

Il rapporto tra ‘cura’ (cure) ‘ e ‘terapia’ (terapie) può trovare un   parallelismo in quello tra ‘sofferenza’ e ‘dolore’. Di fronte alla sofferenza ( anche ma non soltanto causata dal ’dolore’ ) della persona-paziente per le sue condizioni di malattia , il medico - assieme con la struttura socio-sanitaria competente ( l’art.1, secondo comma della l.219/2017  specifica gli obblighi dell’équipe sanitaria , inserita dalle lett.e-f dell’art.2 della l.38/2010 nella ‘rete’ multidimensionale che deve ‘garantire la continuità assistenziale del malato’) – deve, nella sua ‘relazione di cura e di fiducia’ , ‘chinarsi’ sul malato e sul suo nucleo familiare  in difficoltà adoperandosi - anche ma non solo con ‘un’appropriata terapia del dolore’…- ‘per alleviarne le sofferenze’ (prima e seconda parte del c. 1 dell’art.2 l.219/2017 ), mettendo in atto non solo interventi sanitari ma anche assistenziali.

La ‘cura’ può essere intesa come il contrario dell’abbandono ed è costituzionalmente dovuta a prescindere dall’eventuale rifiuto, da parte del paziente, del trattamento sanitario proposto/indicato dal medico come necessario e/o opportuno (la norma della prima parte del primo comma dell’art.2 l.219/2017 esprime con grande chiarezza questo fondamentale principio –dovere inderogabile). Il ‘ farsi  accanto’, nell’attuazione  comunque necessaria di un ‘progetto di cura’,  con l’accompagnamento attivo in concreto possibile del paziente sofferente  costituisce, per la nostra stessa Costituzione ( art.2-3 anche in relazione all’art.32, che tutela la salute ‘come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività ‘) un ‘dovere inderogabile di solidarietà sociale’ declinato, nella legislazione ordinaria, in particolare ( ma non soltanto ) dagli artt.1-2 -3 della l.38/2010 e dagli artt. 2-5 della l.219/2017 nonché ,con terminologie e finalità parzialmente diverse ,dagli artt.1 l. 6/2004 e 404 C.C..

In nessun caso è prevista la possibilità dell’abbandono della ‘ cura ‘; e non è neppure prevista la possibilità del cd. ’abbandono terapeutico ‘in senso stretto, cioè dell’astensione preventiva - rinuncia del medico a proporre il trattamento sanitario (anche con l’erogazione delle cure palliative) che, nel perdurante rapporto di cura (e di fiducia) con il paziente-malato, il medico ritenga opportuno, in base all’evoluzione della malattia, indicare (sempre salvo il diritto del paziente cosciente ed informato di rifiutare lo specifico trattamento). 

È possibile, invece, come si è visto nella parte- III – precedente, la cd. ’pianificazione condivisa delle cure’ ( c.1 dell’art.5 della l.219/2017) attraverso la quale il paziente ( ‘informato’ secondo quanto previsto dal c.2 ), nella sua ‘relazione di cura e di fiducia’  con il medico , a fronte dello ‘evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione con prognosi infausta’, condivide con il medico – che resta comunque il proponente ( vedasi l’espresso richiamo operato dal c. 3  dello stesso art.5) - un programma /progetto di terapie attuali e future ( la cd. ’pianificazione delle cure condivisa’).

La semplice (seppur sistematica) lettura della norma rende evidente che la pianificazione delle cure condivisa (che fra l’altro prevede espressamente, al c.2, il normale coinvolgimento - seppur sempre con il consenso del paziente - di familiari e/o fiduciario) realizza una possibilità di cura della persona totalmente in antitesi con qualsiasi forma di “abbandono”.

Anzi, il concetto di ‘cura condivisa’ richiama necessariamente quell’atteggiamento di solidarietà/responsabilità allargata e vicinanza, di fronte alla sofferenza, che è previsto espressamente dalle disposizioni’ dell’art.1 (con il richiamo al contributo dell’équipe sanitaria e dei familiari -c.2 –ed al ‘progetto di sostegno’ di cui  fanno parte familiari e servizi di assistenza psicologica –c.5-),  dell’art.3 (legittimazione al ricorso, in caso di contrasto di scelte, non solo del rappresentante legale del minore/incapace, ma anche dei familiari nonché di medico e rappresentanti della struttura sanitaria interessata -c.5, richiamato anche dal c.5 dell’art.4- ), dell’art.5 ( coinvolgimento dei familiari  nella pianificazione condivisa delle cure –c.2-) della l.219/2017. Ancora, la l.38/2010 prevede che ‘ le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore’ assicurino un programma di cura individuale per il malato e la sua famiglia’ (c.3 dell’art.1) e, alla lett.c dello stesso comma, un ‘adeguato progetto di sostegno sanitario e socioassistenziale della persona malata e della famiglia’. Lo stesso ambito definitorio dei concetti  di ‘cure palliative’, ‘terapia del dolore’,  ‘reti’, ‘assistenza residenziale’, ‘assistenza domiciliare’, richiama, nelle diverse previsioni delle lettere corrispondenti dell’art.2 l.38/2010 – a,b,d,e,f, il concorso nella ‘cura attiva e totale dei pazienti’, non solo di medico competente/responsabile, ma anche di ‘ nucleo familiare’, ‘terapie del dolore (e corrispondenti ‘figure professionali’)… tra loro variamente integrate’, ‘insieme di strutture sanitarie, ospedaliere , territoriali e assistenziali volte…a garantire la continuità assistenziale’, équipe multidisciplinari, ‘équipe specialistiche di cure palliative, di cui il medico di medicina generale è in ogni caso parte integrante, garantendo una continuità assistenziale ininterrotta’.

Disposizioni tutte che, in conformità ai fondamentali principi degli art.2-3-32 della Costituzione, sviluppano e tendono ad attuare e garantire verso la singola persona sofferente quel   ‘personalismo solidale condiviso’ che deve esser riconosciuto frutto del riconoscimento dell’inalienabile dignità di ogni essere umano (art.1, c.3, lett.a l.38/2010 e art.1 c.1 l.219/2017). Da essa discende il diritto –dovere inviolabile alla cura, che non si esaurisce certo nella proposta-attuazione-consenso/rifiuto di un singolo trattamento sanitario, ma si basa e si allarga alla ‘presenza-ascolto- sostegno personale’. In tal senso può definirsi disposizione-simbolo del sistema l’espressione ‘ culturalmente ed organizzativamente rivoluzionaria secondo cui ‘il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura’ (c.8 dell’art.1 l.219/2017).

Questa condivisione attraverso la comunicazione (che non è fatta solo di scambio di parole, ma di ascolto reciproco, comunque realizzato), pur ponendo il medico ‘accanto’ al malato in una ‘logica del cuore’ che si avvicina alla ‘immedesimazione’, tuttavia non può e non deve mai diventare totale immedesimazione. Va infatti  evitata la perdita di ‘terzietà’ del medico, che rischierebbe di annullare la sua proposta sanitaria nella volontà del paziente ; questo comprometterebbe il ruolo di garanzia del medico (nei confronti dello stesso paziente-beneficiario della cura), non permettendo che l’indirizzo della cura e le proposte terapeutiche  mantengano  quella ‘autonomia’ indispensabile perché il diritto alla vita ed alla salute della persona sofferente sia davvero comunque garantito, come prevede il secondo comma dell’art.1 l. 219/2017, dall’esercizio necessario di quella ‘competenza, autonomia professionale e responsabilità’ che  qualificano il ruolo del medico anche dal punto di vista degli obblighi costituzionali (artt.2-3-32  della Costituzione).

Di fronte al ‘dolore’ causato dalla malattia –che è una delle più tipiche cause di sofferenza - il medico deve sempre ‘garantire’ al malato ‘un’appropriata terapia del dolore’, mettendo a sua disposizione  tutti i ‘trattamenti sanitari’ possibili ed adeguati, e cioè un ‘insieme di interventi’ diagnostico-terapeutici, ‘terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative ,tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore’  (art.2 ,primo comma lett.b della l.38/10 e art.2,c.1 della l.219/2017 ).

Richiamando concetti già più volte espressi nelle parti precedenti  di questo testo, valorizzati alla luce dell’ esperienza della pandemia da COVID, si deve ancora una volta sottolineare con fermezza che non è possibile né eticamente, né costituzionalmente né normativamente (e, a maggior ragione, non dovrà esser più possibile in futuro) ipotizzare una sorta di privilegio di  ‘terapie  riservate’ a persone ritenute più idonee a rispondere con successo a tali interventi (che siano invece appropriate  anche per  gli altri, gli ‘esclusi’ per motivi di età e/o di concomitanti patologie) perché non ne sono disponibili in numero sufficiente rispetto a quello  previsto o già ‘saturato’ per  l’evoluzione di una epidemia o di una patologia comunque diffusa; né tantomeno perché troppo ‘onerose’. Questa ‘selezione’, che realizza un programmato vero e proprio abbandono terapeutico e di cura, contrasta insanabilmente con il principio fondamentale del riconoscimento e della garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo e della eguale dignità di ogni persona, a prescindere dalle sue condizioni personali e sociali (artt. 2-3 Costituzione).  Esiste pertanto un vero e proprio obbligo costituzionale di attuare tutte quelle iniziative politiche ed organizzative che evitino in ogni modo il verificarsi delle conseguenze di quelle lacune sanitarie e sociali già emerse e constatate in particolare (ma non soltanto) nel fronteggiare la pandemia da COVID.

Sacrificare per ragioni ideologiche o politiche o economiche questo principio, non impiegando tutte le risorse disponibili in un ‘piano-salute’ che realizzi  per tutti, in primis per le persone più fragili, le possibilità di ‘pieno sviluppo della persona umana’ , almeno nel campo essenziale della tutela della vita e della salute, minerebbe alla base la credibilità stessa della politica  rispetto  ai principi di autentica democrazia personalista e solidaristica che  costituiscono il fondamento della nostra Costituzione (artt.2-3-32). Accettare in anticipo culturalmente, programmaticamente e/o pragmaticamente,  che certe ‘scelte’ debbano o possano verificarsi inevitabilmente nelle condizioni di un supposto stato di necessità dettato dall’emergenza, quando  il pericolo reale di tale ‘emergenza’ è conosciuto e si possono approntare i mezzi per farvi fronte con risorse in qualsiasi modo disponibili e di cui è organizzabile l’impiego, realizza una posizione che contrasta con l’essenza stessa dello stato di necessità (art.54 CP). Infatti, il pericolo attuale di danno alle persone così ‘sacrificate’, prevedibile ed evitabile, può qualificarsi  in tal caso come ‘volontariamente causato’.

2) Il compito ‘politico’ della Repubblica nella garanzia della salute (art.3 e 32 Cost.).  L’obbligo di alleviare le sofferenze e la terapia del dolore - Le cure palliative

Prima di affrontare specificamente le problematiche poste dall’art.2 della legge 219/2017, relative alla sofferenza ed alla terapia del dolore, è necessario, soprattutto tenendo conto dell’esperienza della pandemia ancora in corso, accennare agli obblighi costituzionali che gravano non solo sui medici e sulle persone impegnate nel servizio sanitario ( e sociale) , ma prima di tutto sullo Stato , anche attraverso le autonomie territoriali e funzionali riconosciute, per garantire a tutti cure e trattamenti sanitari  adeguati anche alla luce  delle leggi 219/2017 e 38/2010 ; e, prima ancora, per porre in essere le condizioni possibili per evitare l’insorgere stesso , l’estendersi e l’aggravarsi delle epidemie ( ma anche delle più comuni o comunque diverse patologie ) e assicurare ,anche attraverso l’attuazione di una effettiva prevenzione, il  diritto alla salute dei singoli e della collettività ( bene comune).

L’attuazione ‘politica’ di questo obbligo costituzionale vale a prevenire, terapizzare, guarire e lenire moltissime malattie e sofferenze e quindi impatta enormemente, direttamente e indirettamente, anche sulle specifiche problematiche dell’art.2 della l.219/2017 e della stessa legge 38/2010.  Questo è possibile solo con la  programmazione urgente di interventi di ampio respiro, diretti e/o indiretti (seppur economicamente molto onerosi) che impattino positivamente sulle stesse condizioni di risposta, a tutti i livelli, del servizio sanitario  e sociale), intercettando le esigenze ed i bisogni, a tutti i livelli, di chi opera in questo servizio fondamentale e delle persone stesse che necessariamente ne usufruiscono a fronte delle proprie necessità di salute.

In questo quadro, presupposto di ogni adeguato intervento, vanno letti gli obblighi solidaristici del secondo comma dell’art.3 della Costituzione collegati in generale ai diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art.2 ed in particolare alla tutela della salute come ‘ fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività’ (art.32 della Costituzione).

 L’obbligo di alleviare le sofferenze (di cui all’art.2 della legge 219/2017, che grava sugli operatori dei settori interessati e in particolare su medici ed operatori sociosanitari a tutti i livelli), si estende alla comunità tutta ma, principalmente, fa carico allo Stato (comma 2 dell’art.3 Cost.). Esso deve saper garantire, attraverso le sue articolazioni, la possibilità (disponibilità di personale numericamente sufficiente e ‘formato’, mezzi adeguati ed organizzazione efficiente) che gli operatori sanitari possano effettivamente operare (con la necessaria ‘formazione’) in un contesto ‘favorevole’, senza esser sottoposti ad abituali condizioni di eccessivo stress lavorativo. 

Questa esigenza impone una complessiva reimpostazione del servizio che ponga al centro la persona. Essa è comunque esigenza primaria e deve esser considerata tale tra tutte le altre pur gravissime urgenze che gravano sulla nostra Repubblica, con i relativi altissimi costi complessivi. D’altra parte, l’efficienza ad ogni livello del sistema sanitario e sociale è il presupposto di ogni intervento orientato al bene comune ed al benessere di tutte le persone che vivono nella comunità; ed il ‘compito’ relativo- si ripete- grava prima di tutto sullo Stato (art.3, secondo comma della Costituzione).

 Le attuali carenze del settore  e le relative  esigenze  sono conosciute e qualsiasi responsabile di  servizi socio-sanitari saprebbe evidenziarle, a livello territoriale , domiciliare, ospedaliero, nelle strutture residenziali e nell’organizzazione del collegamento tra le varie componenti della ‘rete’ che deve garantire la ‘continuità assistenziale’( lett.d dell’art.2 l. 38/2010) ; del resto sono state e sono sottolineate pubblicamente, al di là di ogni giudizio politicamente diversificato   , durante il percorso della pandemia da COVID tuttora in essere.

Il piano generale degli interventi nel settore ha dunque carattere prioritario; esso è estremamente articolato ma, al di là delle possibili diverse opzioni organizzative, deve essere tecnicamente formulato in base alle necessità constatate e/o prevedibili. Esso è nei fatti concretamente realizzabile ed organizzabile, anche se particolarmente oneroso per il bilancio pubblico (la sanità è reduce, del resto, da decenni di restrizioni oggettive, anche quando denominate ‘razionalizzazioni’, motivate sostanzialmente dalla necessità di sopperire a difficoltà economiche generali , che non hanno tenuto adeguatamente conto del carattere prioritario del servizio sanitario).

In questo quadro, tra gli interventi diretti ed indiretti indispensabili, in primo piano vanno considerati anche quelli per la ricerca, storicamente destinataria di un costante immiserimento di stanziamenti che obbliga ora lo Stato ad un’immissione di fondi straordinaria, indispensabile per attrezzare il nostro Paese di fronte alle necessità attuali ed a quelle future, così valorizzando nuovamente in Italia anche il ruolo di giovani particolarmente qualificati.

In questo contesto, l’emergenza COVID ha imposto all’Unione Europea di farsi finalmente parte attiva nello sforzo di ‘aiutare’ economicamente i Paesi membri nella ‘ricostruzione’; e, prima di tutto, a colmare le lacune che gravano, ‘direttamente o indirettamente’, sui servizi sanitari dei singoli Stati. 

Per lo Stato italiano il dovere politico- costituzionale che discende dal carattere primario del diritto alla vita-salute resta comunque quello di mettere a disposizione della sanità, con misure adeguatamente organizzate e ‘immediate’, tutti gli strumenti idonei alla protezione della vita e della salute dei cittadini (art.3 Cost. in relazione agli artt.2 e 32); e ciò non solo a fronte della pandemia ancora in corso ma anche per l’ordinario buon funzionamento dell’organizzazione sociosanitaria nonché in previsione di future ormai prevedibili calamità ed epidemie, in base ad un piano globale di interventi quale quello sommariamente ipotizzato. Solo successivamente, seppur parallelamente, va onorato il dovere di operare i grandi e diversificati interventi (resi possibili dagli ingenti fondi messi a disposizione dall’UE) necessari per il rilancio economico. Ma di esso costituisce presupposto oggettivo la realizzazione di una protezione effettiva e adeguata del ‘ bene comune’ vita-salute.

Le cure palliative possono essere definite come “un modello di organizzazione” più che come un’area disciplinare specialistica. Esse possono dirsi secondarie all’obiettivo di prendersi carico globale del paziente e del suo ambiente personale e sono rivolte a tutti quei malati che, a causa della complessità, gravità e carico assistenziale, richiedono delle cure coordinate. Esse sono volte, inoltre, a conservare o ridare, ove possibile, in modo “sistematico”, la “stima di sé” alla persona malata, preservando la sua dimensione biografica e le dinamiche relazionali ad essa riferibili. Si avvalgono, nel fare ciò, di numerose competenze disciplinari differenti, capaci di fornire ciascuna il proprio contributo, che ne conferisce il tipico approccio multiprofessionale. 

Motivazione su base vocazionale, costante dedizione, solida preparazione basata su formazione ad hoc, propensione al lavoro d’équipe, capacità di rivedere criticamente il lavoro svolto, sensibilità responsabile ed integrità, sono ritenuti i tratti prevalenti dell’operatore “ideale” di cure palliative. La capacità di adattare le proprie competenze disciplinari a situazioni cliniche disparate, ma soprattutto, l’abilità a gestirle in un contesto caratterizzato da una molteplicità di interlocutori differenti, per formazione di base, cultura, linguaggio specifico ed abilità pratiche, sono i presupposti del buon lavoro di squadra. La centralità “vera” del malato grave, ad alto impegno assistenziale e di presa in carico, multiproblematico, è l’asse portante per la costruzione del lavoro multiprofessionale. Le caratteristiche basilari di un buon team sono considerate come completate dalle condizioni che realizzano:

- Un buon clima comunicativo fra gli operatori,

- La costruzione del lavoro basato su obiettivi di salute, centrati sui bisogni biopsicosociali del malato e del suo ambiente specifico;

- Uso sistematico di mezzi idonei ad una leadership condivisa;

- Un coordinamento “intelligente” in cui la circolarità informativa sia una tematica costante;

- Un adeguato supporto organizzativo, che sia garante di quelli che sono ritenuti, dalle società scientifiche di riferimento, livelli minimi essenziali a garanzia della giustizia distributiva di un delicato contesto di cura supportati dal management direzionale

 Tornando specificamente alla l.219/2017 ed al concetto di ‘terapia del dolore’ (lett.b dell’art.2) , esso, pur a carattere  ampio , è limitato  a quel particolare  ‘insieme di interventi diagnostici e terapeutici’ (si tratta, comunque, di ‘accertamenti o trattamenti sanitari’ rientranti tra quelli previsti dal c.4 dell’art.1 l.219/2017, pur specifici per tipologia e destinatario) ‘volti a individuare…e applicare… adeguate terapie…tra loro variamente integrate , allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore ‘. 

Nonostante ciò, sono i valori etici fondanti che tengono uniti i gruppi di supporto palliativo. Fra questi, va citata, in questa fase d’analisi, la propensione individuale a saper riconoscere, particolarmente in un campo complesso come quello del lavoro multidisciplinare, che esistono differenti piani di responsabilità, quella individuale e quella collettiva, di gruppo. Solo riconoscendo ed ascoltando, con umile disponibilità, i diversi contributi degli altri professionisti impegnati, si contribuirà a costruire insieme una trasversalità di linguaggi condivisi, più ampi e ricchi delle singole individualità. Insieme a ciò, va posta attenzione a contribuire, attivamente con il portato attivo di ciascun membro del team, alla realizzazione di rapporti interpersonali caratterizzati da sincerità, non equivoci, considerato che si realizzano in un contesto portatore di complessità, ed a volte, onerosità relazionale. E’ in tale ambito che si dovranno porre in atto le azioni professionali, spesso molto delicate. Da ultimo non va trascurato che il turn over, cui sono oggi spesso sottoposti i vari team multiprofessionali di cure palliative, per carenze d’organico, può costituire un ostacolo alla crescita fisiologica di quella confidenzialità nei rapporti che deriva da consuetudini di pratiche relazionali che possono supportare talune criticità individuali, magari caricate da eccesso di carico emotivo. Tali relazioni di vicinanza sono, inoltre, capaci di supportare la creazione e l’uso di un “linguaggio comune” di gruppo, un “esperanto” che traghetta differenti competenze verso l’approdo ad una presa in carico globale del paziente. D’altro canto, una stabilità eccessiva della composizione del gruppo può “escludere” i membri storici all’apertura verso nuovi contributi, che verrebbero percepiti come estranei alle dinamiche consolidate, mentre possono essere apportatori di innovazione e valore aggiunto. In tale senso, va sempre premiata la disponibilità alla trasversalità verso nuovi campi di riflessione, quale sinonimo di contributo all’innovazione. Ricordiamo che il campo operativo delle cure palliative è un terreno ad alto tasso di criticità assistenziale e a rilevante consumo energetico, morale, personale sia per gli operatori che per l’ambiente circostante il malato, impegnato nel suo percorso biografico oneroso.

Un cenno a parte merita, in termini di giustizia, la situazione dell’accessibilità alle cure palliative, vero riferimento in merito al diritto di trascorrere con dignità il fine vita, ma soprattutto di essere prontamente accompagnato, nella cura, ove appropriato, da figure professionali con specifiche competenze ed abilità, organizzate e strutturate. Essa è oggetto anche di specifici rapporti al Parlamento sullo stato di attuazione della L. 38/2010, l’ultimo dei quali fa riferimento al triennio 2015-2017. Da un lato l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (DPCM 12 gennaio 2017) ha positivamente fatto trovare spazio alla medicina palliativa sia nelle visite specialistiche ambulatoriali (alla voce “Prima visita multidisciplinare per cure palliative” e con il corollario di “visita di controllo per cure palliative”) sia nelle attività territoriali (alla voce “Percorsi assistenziali integrati”, all’art. 23 Cure palliative domiciliari, così come all’art. 31 “Centri residenziali di Cure Palliative”, mentre all’art. 38 “Ricovero ordinario per acuti” esse sono pertinentemente citate come diritto la … “terapia del dolore e le cure palliative”). A fianco di ciò appare ancora diseguale lo scenario fra le diverse regioni italiane in tema sia di offerta formativa per gli operatori che di percorsi assistenziali di presa in carico del paziente, mentre “resta particolarmente critica la situazione delle Reti di cure palliative e terapie del dolore pediatriche”.

Va ribadito che la ‘cura’ (in particolare da parte del ‘medico responsabile ‘o, applicandosi una terminologia di derivazione giuslavoristica, ‘competente’) di fronte alla sofferenza è irrinunciabile e non prevede esenzioni o deroghe perché strettamente connessa alla dignità della persona ed all’obbligo solidaristico (dovere inderogabile di solidarietà sociale) di cui allo stesso art.3 Costituzione. Costituisce conseguenza specifica ed applicazione di questo principio la disposizione del c.1 dell’art.2 della legge 219/2017, relativa al dovere del medico nei confronti di ogni paziente di offrire (‘garantire’ ) ‘un’appropriata terapia del dolore’  e , comunque, di ‘adoperarsi per alleviarne le sofferenze’ anche ‘in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico’ . La singola proposta/trattamento sanitario è invece ‘rifiutabile/rinunciabile’ secondo le previsioni (sopra ampiamente commentate) del c.5 dell’art.1, perché sottoposta alla scelta consapevole del paziente che sia in grado (in fatto ed in diritto) di autodeterminarsi.

Nell’ambito  della relazione di cura e fiducia paziente-medico  , viene ribadito dalla stessa legge  l’obbligo  generale ed incondizionato del medico di   ‘adoperarsi per alleviarne  le sofferenze’ anche quando il paziente abbia espresso o esprima ‘rifiuto o revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico’( anche in relazione a proposte di trattamenti che rientrano in quelli di terapia del dolore ) ;  questo dovere andrà realizzato non in astratto, ma nella situazione e nelle condizioni concrete in cui il paziente viene a trovarsi (‘avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente’, specifica lo stesso c.1 dell’art.2 ), quand’anche causate o concausate dal rifiuto di trattamenti sanitari proposti.

La sofferenza di ogni singolo essere umano-persona richiede il coinvolgimento possibile di chi gli ‘sta accanto’  e, nella prospettiva personalistico-solidale degli artt.2-3-32 della Costituzione, impone all’organizzazione sociale, a fronte di una’ malattia’ , il dovere inderogabile di solidarietà attiva ( che si traduce nel ‘dovere di cura’), in primis attraverso l’opera diretta ed indiretta del ‘medico responsabile/ competente’ ( art.2,c.1,prima parte l. 219/2017 ) anche quale coordinatore dei servizi socio-sanitari e degli stessi familiari ( cfr. ,ad es. c. 2 e 5 art.1 , art. 2 c.1  ed art.5 l.219/2017  nonché c.3 art.1 , lett.c  e l’intero articolo 2 della l. 38/2010 ). Proprio per questo la prima parte del primo comma dell’art.2 l.219/2017 prevede espressamente che ‘il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico’.

In questo contesto di ‘cura multidimensionale’ alla persona sofferente ( ‘ a tal fine’ ,precisa la norma nella seconda parte del c.1 dell’art.2)  si inserisce dunque, come specificazione rafforzativa e strumento qualificato con cui si realizza il dovere di cura , la  ‘garanzia ‘ di una ‘appropriata terapia del dolore ‘ : ‘A  tal fine è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore…’( il concetto di appropriatezza della terapia  ribadisce il rapporto necessario tra mezzi concretamente disponibili e  situazione/condizioni/scelte del paziente ).

La ‘terapia del dolore’ costituisce uno dei due nuovi ‘obiettivi prioritari’ convergenti (l’altro, in cui la terapia del dolore si inserisce come possibile strumento, è integrato dalle ‘cure palliative’) previsti dal Piano Sanitario Nazionale ai sensi dell’art.3 c.1 della l. 38/2010.

La ‘terapia del dolore ‘ è costituita, secondo la lett.b dell’art.2 della l. 38/2010, dallo ‘insieme di interventi terapeutici, diagnostici e terapeutici volti ad individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore ‘.

La definizione di ’ terapia del dolore ‘  contenuta nella lett.b dell’art.2 della l. 38/2010  è correlata, relativamente ai destinatari ( indicati come portatori di ‘ forme morbose croniche ‘di patologie ) , proprio all’essere uno dei due nuovi ‘obiettivi prioritari del piano sanitario nazionale ‘; ma il c.1 dell’art.2 l.219/2017,cui non sono direttamente applicabili le limitazioni di destinatari previste ( solo  ‘ai fini della presente legge’) dal c.1 dell’art.2 della l.38/2010 , apre , superando la problematica della cronicità, all’applicabilità della terapia del dolore ad ogni  persona-paziente che si trovi in una condizione di sofferenza   trattabile sanitariamente . In nessun caso, comunque, né la l. 38/2010 né la l.219/2017 esclusivizzano i possibili destinatari della terapia del dolore solo in coloro che si trovino in condizioni di malattia terminale o caratterizzata da una prognosi infausta.  

Il medico competente o responsabile, in base al primo comma dell’art.1 lett.a-b della l.38/2010 (che va letto in stretta connessione con il c.1 dell’art.2 della l. 219/2017), nell’ambito della ‘relazione di cura e di fiducia’ con il paziente, ha sempre l’obbligo di ‘adoperarsi per alleviarne le sofferenze’ ed è il primo responsabile (il ‘garante’) dell’approntamento/messa a disposizione di una  ‘ appropriata terapia del dolore’ .  Anche (ma non esclusivamente) nel quadro della garanzia della ‘ appropriata terapia del dolore’, le stesse disposizioni prevedono da un lato la possibilità-dovere di ’erogazione delle cure palliative di cui alla lett.a l.10/2018’; e dall’altro la necessità del ‘coinvolgimento del medico di medicina generale’.

Il primo comma dell’art.2 della l.38/2010 definisce, alla lett. a ,le ‘ cure palliative’ ( per definizione caratterizzate dal non esser destinate alla guarigione del paziente , ma al suo sollievo ) come” l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”.

E’ importante sottolineare che la definizione della lett a dell’art.2  l.38/2010 , inserendosi nello spirito della ‘ cura esistenziale’ alla persona , comprende non soltanto gli interventi diagnostico-terapeutici ma anche -e forse soprattutto – quelli ‘assistenziali ‘ , in cui necessariamente rientrano quelli psicologici e sociali , estesi sia ‘alla persona malata’ che ‘al suo nucleo familiare’ ;  si ricorda che ,in relazione alla rinuncia-rifiuto di ‘trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza ‘, il quarto periodo del quinto comma dell’art. 1 l.219/2017 prevede il coinvolgimento dei  ‘familiari’ e dei ‘servizi di assistenza psicologica’ nella promozione di ‘ogni azione di sostegno al  paziente’( si rinvia al commento contenuto nel relativo capitolo).  In ogni caso lo Stato si fa garante attraverso i servizi sociosanitari e, più in particolare, con l’attività del medico competente ed il ‘coinvolgimento del medico di medicina generale’ (art.2 c.1 seconda parte l.219/2017 e, per l’assistenza domiciliare, lett.f del c.1 dell’art. 2 l.38/2010) anche della erogazione delle’ cure palliative’. È anche attraverso queste disposizioni che si attua il concreto ‘la cura’ e si esclude alla radice la legittimità di ogni ipotesi di ‘abbandono’ curativo o terapeutico.

In sostanza si deve concludere che proprio l’obbligo del coinvolgimento solidaristico (‘immedesimazione’, con i limiti sopra richiamati)  nel dolore e nella sofferenza del singolo paziente, tutelato dai principi costituzionali fondamentali di cui al primo comma dell’art.1 l.219/2017, rende giuridicamente ed eticamente doveroso valorizzare culturalmente ed attuare  effettivamente, nelle singole e concrete situazioni personali, la cosiddetta   ‘medicina palliativa’, con il ricorso, previsto espressamente e necessariamente dal c.1 dell’art.2 l.219/2017  ( ‘il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze…‘ ; ‘è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore …’), alle più appropriate forme di cure palliative e di terapia del dolore ( secondo le previsioni della legge 38/2017,espressamente richiamate).

Sono  di tutta evidenza le difficoltà ( economiche, organizzative, formative, culturali ( si vedano, in particolare, i commi 9 e 10 dell’art.1 e tutto il capitolo successivo di questa parte del lavoro ) che incontra nella odierna realtà l’attuazione di questi principi che rientrano nella garanzia di cura effettiva della persona; per non ripetere concetti già espressi , la necessità di utilizzare risorse economiche davvero straordinarie per  adeguare l’organizzazione socio-sanitaria ( ricerca compresa) anche a questi fini  non richiede, si crede, commenti particolari.

3) I protagonisti della cura: dal paziente al medico responsabile/competente. Il medico di medicina generale e la rete.  Il programma di cura individuale 

Il vero ‘centro’-  protagonista  della cura è il paziente-malato , con la sua’ dignità’ ed ‘autonomia ‘ ( lett. a dell’art.1 c.3 l. 38/2010 ) ; a lui   sono dovute la ‘ tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine’ e ‘  l’adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale’,  esteso alla ‘famiglia’ ( lettere b-c della stessa disposizione ) nell’ambito di un ‘programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia’      ( c.3 dell’art.1 della legge 38/2010 ). A lui sono indirizzate le ‘ cure palliative’ (art.2 lett.a) e la ‘ terapia del dolore’ (lett.b), con le correlative ‘reti’(lett.d ). Per lui sono previsti ‘ assistenza domiciliare’ (lett.f), ‘assistenza residenziale’ (lett.e), articolazione organizzativa di ‘day hospice’ ( lett.g ) e quello ‘insieme di interventi sanitari e assistenziali’ diversamente articolati che integrano l’ipotesi  di ‘assistenza specialistica di terapia del dolore’ ( lett.h dello stesso art.2 l.38/2010 ). A lui, nella situazione concreta della personale sofferenza esistenziale e per assicurare il pieno rispetto della sua dignità, sono rivolte tutte le disposizioni dell’art.2 della l.219/2017. Soltanto assieme  alla persona del paziente-malato ( e non su di lui o, tantomeno , contro di lui ) può esser efficacemente costruita quella possibilità di  ‘cura attiva e totale’ che costituisce la ‘ finalità’  non solo di tutto il sistema  delle leggi specificamente indirizzate alla protezione della persona nelle sue condizioni di malattia o infermità ( art. 2  lett.a della l.38/2010 ) ma anche delle disposizioni tutte che costituiscono e/o attuano i principi  fondamentali della nostra democrazia ( artt.2-3-32 della Costituzione ; art.1  c.1 della l.219/2017; art.1  l.6/2004 e 404 C.C.).

E’ opportuno rileggere  la definizione di ‘ malato’ proposta, sia pur limitatamente all’ambito di riferimento, al fine di ‘garantire l’accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore’, dalla lett.c dell’art.2 della l.38/2010 : si tratta infatti di norma che , per quanto restringa  ( espressamente solo ai soli fini della stessa legge- c.1 art.2- ) , nel senso già  commentato nel capitolo precedente a proposito della ‘terapia del dolore’, l’ampiezza della  la fascia dei destinatari , fornisce  criteri interpretativi particolarmente ( anche se non direttamente ) rilevanti anche per le previsioni  dell’art.2 della legge 2019/2017 , in cui peraltro si parla  (come in tutta la l.219/2017 ) di ‘paziente’ e non   (soltanto ) di  ‘ malato’ , ampliandosi così la fascia dei possibili destinatari. Ai fini della l.38/2010  ‘dedicata’ soltanto ( titolazione generale dell’intera legge )  a disposizioni rivolte a  ‘garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore’ , dunque, è  definibile “ malato”  ‘ la persona affetta da patologia ad andamento cronico ed evolutivo ,per la quale non esistono terapie o, se esistono, sono inadeguate o sono risultate inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia (N.d.R. :  il concetto di malattia richiama di per sé una condizione di salute patologica destinata naturalmente ad evolversi positivamente o negativamente nel tempo) o di un prolungamento significativo della vita ( N.d.R.: si tratta della previsione di un’evoluzione di per sé inevitabile e inarrestabile  il cui esito è definito con le parole ‘prognosi infausta ‘ dalla lett.a dell’art.2 ,che definisce le ‘ cure palliative’ ); rientra però nella stessa definizione anche ‘ la persona affetta da patologia dolorosa cronica da moderata a severa ‘ ( lett.c dell’art.2).

La legge 219/2017 invece, parlando di ‘paziente’ si rivolge di per sé a tutte le persone che, per motivi di salute fisica o psichica, si rivolgono ad un medico o richiedono o comunque vengono sottoposte ad intervento sanitario, che deve esser operato o coordinato da un medico. Tale concetto può considerarsi in linea generale da un lato comprensivo e dall’altro compreso tra i casi (‘infermità’ e/o menomazione fisica o psichica’) per i quali l’art. 404 C.C. prevede la possibilità di nomina di amministratore di sostegno ‘; nomina che viene però correttamente subordinata ( principio di sussidiarietà ) alla condizione che la persona venga a trovarsi ,a causa dell’infermità/menomazione , ‘nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi’.

È necessario a questo punto distinguere (pur senza potere né volere in questo contesto analizzare la posizione fondamentale e diversificata del medico nell’ambito del servizio sanitario nazionale) il concetto di ‘ medico responsabile/ competente’ da quello di ‘ medico di medicina generale’ in base alle disposizioni della l.219/2017 ed a quelle correlate della l.38/2010.

In sintesi, riteniamo possa qualificarsi ‘medico competente’ (o ‘responsabile’) il medico cui è affidata funzionalmente, al momento dell’intervento/trattamento, la responsabilità della cura, con il contributo possibile di quegli ‘esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria’ (c.2 dell’art.1 l. 219/2017). È al ‘medico competente’ cui è attribuita, dal c.2 dell’art.1, la responsabilità della’ relazione di cura e di fiducia’ con il paziente; è allo stesso medico cui fa carico direttamente l’obbligo di adeguata informazione per realizzare, nel contesto dei trattamenti sanitari proposti/indicati, il requisito del cd. consenso informato; è a lui che è attribuita e richiesta quella ‘competenza, autonomia professionale e responsabilità’ destinata ad incontrarsi con l’autonomia decisionale del paziente nella formazione del consenso (o dissenso/rifiuto) all’intervento sanitario proposto.

Nella figura del ‘medico responsabile/competente’ convergono (o ad essa si affiancano), nei limiti del loro intervento specifico, quelle dei diversi medici-specialisti chiamati ad intervenire (per obbligo giuridico e/o di fatto), all’interno o all’esterno di una équipe sanitaria ( ma anche - ove occorra- sociosanitaria ed assistenziale ); tale équipe può avere carattere multidisciplinare e multidimensionale .  Si citano alcuni esempi riguardo alla problematica specifica:

- l’art.1 c.3 della l. 219/2017, prevede al secondo periodo che debbano contribuire ‘ alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria’;

-lo stesso art.1 ,al c.5 , a fronte del rifiuto da parte del paziente di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza , onera sostanzialmente il medico responsabile/competente di formare una speciale équipe sociosanitario-assistenziale a cui possono esser chiamati a partecipare, per realizzare un’adeguata ‘azione di sostegno al paziente’, oltre ai familiari , anche, ‘ i servizi di assistenza psicologica’ ( senza che tale previsione espressa escluda l’intervento di altre professionalità ,sempre su iniziativa dal medico responsabile ed al fine di realizzare concretamente ‘ogni azione di sostegno al paziente’ ;

- ancora l’art.1, al settimo comma, prevede la sinergia del medico e dei componenti dell’équipe sanitaria nell’assicurare ‘nelle situazioni di emergenza e urgenza…le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla’;

- l’art.2 c.1 ultima parte prevede il ‘coinvolgimento del medico di medicina generale’ nell’équipe chiamata a ‘garantire un’appropriata terapia del dolore’ oltreché l’erogazione delle ’cure palliative’, richiamando espressamente sul punto le previsioni della l.38/2010;

- l’art.5 primo comma, in relazione alla ‘pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico’, dispone che ‘il medico e l’équipe sanitaria sono tenuti ad attenersi (-ad essa – n.d.r.) qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità’;

- la lett.f dell’art.2 l. 38/2010 prevede, per l’assistenza domiciliare, la diretta responsabilità/competenza del medico di medicina generale nel coordinamento ‘dell’insieme di interventi sanitari, sociosanitari ed assistenziali   che garantiscono l’erogazione di cure palliative e di terapia del dolore al domicilio della persona malata, per ciò che riguarda gli interventi di base’;

- la stessa lettera f, nella seconda parte, prevede (così ‘garantendo una continuità assistenziale ininterrotta’ anche a casa del malato) l’intervento ‘ delle équipe specialistiche di cure palliative, di cui il medico di medicina generale è in ogni caso parte integrante’;

- la lett. e dello stesso articolo prevede, in relazione alla cd. ‘assistenza residenziale’ che gli interventi sanitari, sociosanitari e assistenziali nelle cure palliative siano ‘erogati ininterrottamente da “équipe multidisciplinari” presso una struttura, denominata hospice’;

- la lett.h dell’art.2 prevede che siano comunque ‘équipe specialistiche’ ad erogare ‘in regime ambulatoriale, di day hospital, di ricovero ordinario e sul territorio’ l’insieme degli interventi sanitari ed assistenziali di terapia del dolore.

Riteniamo si possa affermare che in tutti questi casi ed in casi simili, in cui sia previsto o comunque si verifichi l’intervento di équipe sanitarie e/o multidisciplinari, la competenza/responsabilità/garanzia della cura e dei trattamenti/interventi sanitari proposti /indicati sia attribuibile al medico che, in fatto o in diritto, assiste o deve assistere ‘in quel contesto’ il paziente a lui affidato.

Tale medico competente/responsabile può anche essere direttamente (al di là delle specializzazioni), il cd. ‘medico di medicina generale’, tipicamente destinato ad operare sul territorio, nell’assistenza domiciliare e/o presso strutture residenziali provvisorie e/o permanenti.

Il suo ruolo ( troppo spesso svilito dagli ‘specialisti’ e da prassi non sempre virtuose, ma anche da esigenze di risparmio ) è fondamentale nello sviluppo  e per l’efficacia della cura ;  promuove e/o comunque garantisce  nella quotidianità di un progetto-percorso di assistenza personalizzato , la correttezza ,la tempestività  e l’appropriatezza del ricorso ad eventuali accertamenti e trattamenti  (anche di équipe ) specialistici e/o multidisciplinari; contribuisce al corretto ricorso alle diverse strutture di ospedalizzazione e/o di assistenza , provvisoria o permanente, anche promuovendo e/o  partecipando a ricorsi/procedimenti diretti alla protezione delle fragilità ( vedasi, per es. gli interventi nell’ambito della legge sull’amministrazione di sostegno anche ex art.406,comma terzo C.C. quale responsabile di servizio socio-sanitario direttamente impegnato nella cura e assistenza della persona); è garante della erogazione di  una ‘appropriata terapia del dolore ‘ e della ‘erogazione delle cure palliative’( art.2 c. 1 l.219/2017 e lett. f dell’art.2 l.38/2010), in particolare, nell’assistenza domiciliare; costituisce il raccordo-snodo fondamentale e l’elemento unificante tra assistenza sanitaria e socio-assistenziale, tra assistenza ‘di base’ e assistenza specialistica, domiciliare   (lett.f dell’art.2 l.38/2010 ) e ‘strutturata’ (lett.e- assistenza residenziale in hospice -; lett.g- day hospice, funzionale a prestazioni diurne non eseguibili a domicilio-);  non solo è lo strumento privilegiato per l’accesso e la prosecuzione diversificata della assistenza specialistica di équipe per la terapia del dolore( ‘ in regime ambulatoriale, di day hospital, di ricovero ordinario e sul territorio’)-lett.h dello stesso art.2-, ma è anche direttamente coinvolto ( come primo ‘palliativista’ ) in quell’insieme di ‘interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti  la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici’( lett.a dell’art.2 ).

In tale contesto il MMG costituisce (e/o comunque deve costituire) la garanzia fondamentale di quella ‘continuità assistenziale ininterrotta’ che è uno degli obiettivi essenziali della legge 38/2010. Il ruolo necessario del MMG sul territorio e nel rapporto con le persone affidate per legge alla sua assistenza, visto alla luce delle sue concrete disponibilità di mezzi e possibilità di intervento, costituiscono uno dei più delicati oggetti di indispensabile intervento di globale ristrutturazione del settore sanitario e sociosanitario, perché attorno alla figura del MMG ruota la qualità del funzionamento della sanità pubblica. 

Si è così potuto constatare sia dalla lettura delle citazioni esemplificative sopra riportate in relazione alle previsioni di intervento del MMG nelle équipe sanitarie, specialistiche e multidimensionali (anche con funzioni coordinatorie), sia da quella, anch’essa esemplificativa, del suo ruolo e delle sue responsabilità alla luce (pur non esaustiva) delle disposizioni delle leggi 219/2017 e 38/2010, come molte  (indirettamente,anzi,pressoché tutte) delle previsioni normative di queste due leggi richiamino espressamente o comunque  direttamente (o indirettamente ) presuppongano  responsabilità e  partecipazione  del medico di medicina generale ai procedimenti/trattamenti relativi alla terapia del dolore ed alle cure palliative ( in particolare si  sottolineano ancora  l’art. 2 c.1 l.219/2017 e la lett.f art.2 l .38/2010, in particolare ma  non esclusiva  relazione alla  domiciliarità).

Ma, piu’ in generale, va sottolineata la responsabilità del MMG nel contributo alla conoscenza proporzionata, da parte del paziente, delle proprie condizioni di salute ex terzo comma dell’art.1 l.219/2017, presupposto di una corretta formazione del consenso informato in relazione a tutti gli accertamenti e trattamenti sanitari ; nell’azione di sostegno al paziente, in particolare, a fronte di un rifiuto di trattamenti sanitari proposti  (c.5 dello stesso art.1); nella comprensione di eventuali indicazioni relative a trattamenti sanitari a favore di persona non in grado di esprimere adeguatamente le proprie volontà ( art.3, comma 1 ); nella formazione delle stesse DAT di cui all’art.4 della stessa legge e nella cd. ‘pianificazione condivisa delle cure’ (art. 5) e, in particolare, nel suo ‘ aggiornamento’ (c.4 dello stesso articolo).

 In questa sede sembra infine sufficiente, per ribadire l’essenzialità funzionale del MMG nell’ambito delle cure palliative e della terapia del dolore, solo un richiamo alla lett. d dell’art.2 circa la partecipazione dello stesso alla rete nazionale per le cure palliative ed a quella di terapia del dolore; nonché la previsione della necessità della sua partecipazione alle campagne di informazione sull’accesso alle prestazioni relative (art.4 l.38/2010). Tali ‘campagne istituzionali di comunicazione’, articolate sul territorio, dovrebbero promuovere e diffondere ‘ nell’opinione pubblica la consapevolezza della rilevanza delle cure palliative…e della terapia del dolore, al fine di promuovere la cultura della lotta contro il dolore e il superamento del pregiudizio relativo all’utilizzazione dei farmaci per il trattamento del dolore, illustrandone il fondamentale contributo alla tutela della dignità della persona umana e  al supporto per i malati e per i loro familiari’.

 In sintesi il MMG risulta essere protagonista fondamentale della ‘rete’ solidaristica che si sviluppa ( e/o deve svilupparsi’ ) attorno al malato-paziente nei cui confronti e con la cui partecipazione va realizzata quella ‘ cura attiva e totale ‘,variamente diversificata , che costituisce, anche al di là delle previsioni specifiche relative alle ‘ cure palliative’ di cui alla lett. a dell’art.2 l.38/2010 ed al  c.1 dell’art.2 l.219/2017, obiettivo  unificante ( oltre gli stessi limiti dell’ art.3,c.1 l.38/2010 ) delle due leggi nell’ambito del piano socio- sanitario nazionale e del suo sviluppo concreto attraverso l’articolazione unitaria dei diversi servizi alla persona. Di questa rete, fisiologicamente multidimensionale, costituiscono parte integrante non solo tutti gli altri operatori dei servizi socio-sanitario-assistenziali pubblici e/o privati coinvolti in concreto nel porsi accanto alla persona sofferente, ma anche familiari e volontari che sono chiamati al possibile superamento o all’attenuazione e comunque alla condivisione del suo dolore e della sua sofferenza. E’ anche attraverso il concreto sviluppo di questa ‘rete’ (dimensionata sulla base delle effettive esigenze, bisogni, aspirazioni  della singola persona sofferente ) che può realizzarsi nel caso concreto un autentico ‘programma di cura individuale alla persona’ ( parte di quel ‘ progetto di sostegno personalizzato’ che costituisce non solo il cuore della legge 6/2004 , ma anche una delle linee fondamentali di intervento previste dalla legge 38/2010- vd. , per esempio  art.1,comma 3-  e dalla l.219/ 219/2017- vd., per esempio, la promozione ‘ di ogni azione di sostegno al paziente ‘ di cui al c. 5 dell’art.1 ).    

4) Prognosi infausta e divieto di ostinazione irragionevole- La palliazione

Di fronte a situazioni in cui ogni terapia si rivela inidonea per l’irreversibilità e l’inesorabilità dell’evoluzione negativa ‘a breve termine’ delle condizioni del paziente o per la previsione ragionevolmente certa della ‘imminenza di morte del paziente’, il secondo comma dell’art.2 offre alcune linee-guida per l’intervento sanitario nell’ambito comunque necessario della ‘cura’. Va sottolineato che tali condizioni esistenziali rientrano tra quelle, più generali , dei malati cui possono/debbono esser garantite cure palliative  (‘pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici’-art.2 lett.a l.38/2010 ), ma  costituiscono un ulteriore sviluppo negativo della malattia che determina una situazione personale pressoché completamente deteriorata ed irrevocabilmente compromessa in cui è comunque prevedibile la morte in tempi molto ravvicinati o addirittura  imminenti.

 In queste condizioni è ancor più necessaria la personalizzazione solidaristica della ‘cura’, ma è evidente la ‘fragilità’ degli stessi interventi sanitari possibili che, anche utilizzando un termine mutuato dal gergo dei sanitari curanti, viene definito come “accompagnamento”. Pertanto, le linee di indirizzo etico-giuridiche dettate, in particolare, dal secondo comma dell’art.2 vanno comprese sempre più in una logica in cui il ‘la separazione delle competenze ‘tra medico e paziente, che permane pur nella più piena relazione di cura e di fiducia (di cui al secondo comma dell’art.1), è ulteriormente destinata a sfumare progressivamente nella ‘condivisione delle sofferenze’.

 Tutte queste linee di indirizzo definitorio sono caratterizzate dall’inevitabile ricorso a qualificazioni generali ed astratte nella descrizione delle condizioni  esistenziali della persona sofferente (‘prognosi infausta a breve termine’, ‘imminenza di morte’) e degli stessi interventi  terapeutici specifici o palliativi applicabili ( descritti con concetti quali ‘appropriata terapia’, ‘ostinazione irragionevole’, ‘trattamenti inutili o sproporzionati’) , utili ed addirittura necessarie per orientare gli interventi sanitari nell’ambito della cura ( art.2,c.1 e c.2 ). Queste qualificazioni non sono mai da sole sufficienti per l’adozione, nell’ambito della relazione di cura, delle proposte terapeutiche e palliative e delle decisioni sanitarie nel trattamento dei singoli casi concreti, sempre diversamente umanizzati. D’altra parte, ogni casistica sarebbe comunque inadeguata, incompleta e rozzamente insufficiente, perché ogni condizione e situazione di sofferenza umana esige una personalizzazione della proposta-risposta che non è mai eguale a quella di un’altra persona, neanche in condizioni che paiono analoghe.

Gli stessi criteri di competenza, autonomia professionale e responsabilità del medico vanno vissuti nella logica della relazione di cura e di fiducia con il paziente (secondo comma dell’art.1), in particolare quando è afflitto da gravi sofferenze e da dolori ‘refrattari’ a trattamenti sanitari direttamente terapeutici nella fase terminale della vita (art.2) . Il profondo senso umano di fragilità che anima le disposizioni di questo articolo restituisce all’interprete, all’operatore ed a tutte le persone coinvolte la consapevolezza della difficoltà di trovare  ‘soluzioni’ sempre ‘giuste’ ed adatte per quel particolare paziente, in quel momento particolare della sua vita; ed aiuta a comprendere come, nell’ambito della relazione di cura e di fiducia paziente- medico,  la stessa rinuncia  ad ogni ulteriore intervento terapeutico possa esser non solo giuridicamente ed eticamente ‘giustificata’, ma anche doverosa.

Le linee di indirizzo dettate dal secondo comma dell’art.2 hanno una duplice caratteristica:

- per una parte sono ‘necessarie e vincolanti’ (il divieto di ‘ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure’- qui sicuramente intese come ‘trattamenti sanitari/terapie’- ed il divieto al ‘ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati’): ‘ nei casi di pazienti con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati’; 

-per altra parte sono ‘discrezionali’ ( la ‘sedazione profonda continua in associazione con la terapia del dolore’): in questo caso la proposta è rimessa alla  valutazione ( in scienza e coscienza ) del medico e deve esser correlata alle condizioni concrete del paziente, che deve esser gravato da ‘sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari’ ( leggasi agli ‘ altri trattamenti sanitari’) e che deve specificamente consentire alla stessa sedazione : ‘in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore,  con il consenso del paziente’.

 La sottolineatura relativa alla necessità di uno specifico consenso è forse pleonastica, dato che la necessità di preventivo consenso  costituisce  principio generale e presupposto per ogni trattamento sanitario, ma valorizza  efficacemente  l’ importanza fondamentale dello stesso a fronte di trattamenti/interventi sanitari che inevitabilmente producono, per  loro  natura - pur  senza aggredire specificamente causa o effetti della malattia-patologia (che resta comunque di natura tale da legittimare una ‘prognosi infausta a breve termine’ o da far ritenere la ‘imminenza di morte‘) - una condizione di prolungata (anche se di per sé non irreversibile ed  anche temporalmente modulabile ) perdita ‘della coscienza e della volontà del paziente; essa deve esser  voluta e/o quantomeno condivisa o  accettata/consentita dal paziente per superare ‘sofferenze’   diversamente ‘ non trattabili’ ( per il consenso del minore o della persona che non è  in grado di manifestare le proprie volontà/indicazioni valgono invece le disposizioni dell’art.3 della l.219/2017 , di cui a successivo capitolo ).

La norma afferma  il principio ( che va ritenuto anche eticamente corretto ed adeguato) secondo cui la persona  che, per l’infausta evoluzione delle sue condizioni patologiche ( ‘prognosi infausta a breve termine o imminenza di morte’) , viene a trovarsi in gravi sofferenze non trattabili in modo diverso (e perciò non aggredibili efficacemente, non eliminabili o significativamente attenuabili e così qualificabili come ‘refrattarie’; la lett.a dell’art.2 l.38/2010 parla più genericamente, per tutte le ‘cure palliative’, di condizioni in cui ‘ la malattia di base…non risponde più a trattamenti specifici’)  ha il diritto - per il periodo in qualche modo programmato, nell’ambito della ‘cura’ e sulla base della proposta/indicazione del medico-  di  ottenere di esser privata, quando da altri interventi sanitari non possa conseguire più una ‘ risposta’ positiva,  della stessa  coscienza e volontà ( attraverso la sedazione palliativa profonda continua anche ‘in associazione’ con altri strumenti di ‘terapia del dolore’) ; inevitabile conseguenza di questo trattamento palliativo  è la perdita , durante tale periodo, anche della possibilità di modificare/revocare il proprio originario consenso alla prosecuzione  di questo specifico intervento sanitario.

 La particolare delicatezza del ricorso alla sedazione profonda continua (che opportunamente la legge 38/2010 prevede specificamente, superando così ogni possibile ostacolo interpretativo e combattendo  immotivati pregiudizi culturali ed etici)  è confermata dalla previsione espressa (terzo comma dell’art.2 ) della necessità di motivazione sia del ‘ricorso alla sedazione palliativa profonda continua’ che dell’eventuale ‘rifiuto della stessa’ (l’obbligo di motivazione dell’adeguatezza della proposta medica ed anche dell’eventuale rifiuto sono previsti solo da questa disposizione , nell’ambito della l.219/2017 ). La necessità della specifica motivazione ‘alternativa’ si collega alla previsione dei presupposti normativi di applicabilità del trattamento (‘sofferenze refrattarie’ e ‘prognosi infausta a breve termine’ o ‘imminenza di morte’), che sono necessari o comunque utili a contrastare improprie ed immotivate generalizzazioni.

Il termine utilizzato dal legislatore (L. n.219/17, comma 2) di “sedazione palliativa profonda continua” appare essere corretto per due diversi ordini di motivi. Il primo perché si riferisce esplicitamente, enfatizzandolo, all’obiettivo di ridurre lo stato di coscienza dell’individuo, al fine di alleviare il complesso di sintomi refrattari ad ogni altro tentativo già documentatamente posto in atto e giudicati, coscienziosamente, come intollerabili. Essi debbono essere già stati fatti oggetto, da parte dei clinici, di analisi circa la loro proporzionalità