Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  11/03/2024

Diritto  all’affettività  della  persona  detenuta:  una  decisione  storica  della  Corte  costituzionale  - Massimo Niro

1.Con  la  sentenza  n.10  del  26  gennaio  2024  la  Corte  costituzionale  ha  accolto, nei  termini  precisati  in  motivazione, le  questioni  di  legittimità  costituzionale  dell’art.18  l. 354/1975 ( ord. penit. )  sollevate  dal  Magistrato  di  sorveglianza  di  Spoleto  e, quindi, ha  dichiarato  l’illegittimità  costituzionale  dell’art.18  ord. penit.,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  la  persona  detenuta  possa  essere  ammessa, nei  termini  di  cui  in  motivazione, a  svolgere  i  colloqui  con  il  coniuge, la  parte  dell’unione  civile  o  la  persona  con  lei  stabilmente  convivente, senza  il  controllo  a  vista  del  personale  di  custodia, quando, tenuto  conto  del  comportamento  della  persona  detenuta  in  carcere, non  ostino  ragioni  di  sicurezza  o  esigenze  di  mantenimento  dell’ordine  e  della  disciplina, né, riguardo  all’imputato, ragioni  giudiziarie   ( così  il  dispositivo  della  sentenza  in  esame ).

Si  tratta  di  una  sentenza  molto  attesa  e  molto  importante, che  può  addirittura  considerarsi  “storica”,  perché  decide  nel  merito,  respingendo  insidiose  eccezioni  pregiudiziali, questioni  molto  rilevanti  e  delicate,  che  attengono  al  riconoscimento  in  capo  alla  persona  detenuta  del  diritto  all’affettività  e  alla  rimozione  dell’ostacolo  normativo  costituito  dal  controllo  a  vista  del  personale  di  custodia  durante  lo  svolgimento  dei  colloqui  in  carcere  con  il  coniuge  o  la  persona  convivente  non  detenuta.   Tale  ostacolo  normativo  è  previsto  dall’art.18  ord. penit.,  che  stabilisce  che  “ I  colloqui  si  svolgono  in  appositi  locali  sotto  il  controllo  a  vista  e  non  auditivo  del  personale  di  custodia “ ( terzo  comma ).

Ebbene, con  la  sentenza  che  qui  si  commenta  i  giudici  della  Consulta  recepiscono, sostanzialmente, l’impostazione  dell’ordinanza  di  rimessione,  redatta  dal  Magistrato di  sorveglianza  di  Spoleto  con  completezza  di  argomentazioni  e  di  descrizione  della  fattispecie  concreta, e  respingono  l’eccezione  di  inammissibilità  delle  questioni  formulata  dall’Avvocatura  Generale  dello  Stato  per  l’intervenuto  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri.

Secondo  l’Avvocatura  dello  Stato, infatti,  le  questioni  sollevate  erano  da  dichiarare  inammissibili,  “per  aver  ad  oggetto  una  disposizione  legislativa  vertente  in  materia  riservata  alla  discrezionalità  del  legislatore “,  ritenendosi  “ tuttora  insuperate “  le  ragioni  già  esposte  dalla  Corte  costituzionale  nella  precedente  sentenza  n.301  del  2012,  che  aveva  dichiarato  inammissibili  questioni  analoghe  a  quelle  ora  sollevate  dal  Magistrato  di  sorveglianza  di  Spoleto.

2. Invece, questa  volta  la  Corte  costituzionale  non  propende  per  l’inammissibilità  delle  questioni  e  disattende  l’eccezione  statale, con  argomenti  che  appaiono  corretti  e  condivisibili.

Dopo  avere  richiamato  il  contenuto  della  precedente  sentenza  del  2012,  che  pur  aveva  evidenziato  che  le  questioni  evocavano  una  esigenza  reale  e  fortemente  avvertita, quale  quella  di  permettere  alle  persone  sottoposte  a  restrizione  della  libertà  personale  di  continuare  ad  avere  relazioni  affettive  intime, anche  a  carattere  sessuale   e  aveva  segnalato  al  legislatore  che  il  tema  dell’affettività  intramuraria  del  detenuto  rappresentava  un  problema  che  merita  ogni  attenzione “ ( paragrafo  2.2  del  “Considerato  in  diritto “ ), la  Corte  nella  sentenza  n.10  del  2024   osserva  che  Nel  tempo  trascorso  dalla  pubblicazione  della  sentenza  n.301  del  2012, l’ordinamento  penitenziario  ha  registrato  significative  innovazioni, che  delineano  oggi  un  quadro  normativo  ben  differente  da  quello  di  allora “ ( par. 2.3 ).

Infatti, vengono  menzionate  le  disposizioni  dell’art.1, comma  38,  legge  76/2016,  secondo  cui  

“i  conviventi  di  fatto  hanno  gli  stessi  diritti  spettanti  al  coniuge  nei  casi  previsti  dall’ordinamento  penitenziario “,  e  dell’art.1, comma  20,  stessa  legge,  secondo  cui  i  diritti  del  coniuge  in  tema  di  colloqui  penitenziari  sono  estesi  anche  alla  parte  dell’unione  civile  tra  persone  dello  stesso  sesso.  Inoltre, viene  ricordata  la  modifica  dello  stesso  art.18  ord. penit.  ad  opera  dell’art.11, comma  1, lett. g), n.3)  D.lgs. 123/2018,  con  l’aggiunta  di  un  periodo  ai  sensi  del  quale  “ i  locali  destinati  ai  colloqui  con  i  familiari  favoriscono, ove  possibile, una  dimensione  riservata  del  colloquio  e  sono  collocati  preferibilmente  in  prossimità  dell’ingresso  dell’istituto “ ( terzo  comma ).  

Infine,  si  rammenta  la  nuova  disposizione  relativa  agli  istituti  minorili  di  cui  all’art.19, comma  3, D.lgs. 121/2018 ( “al  fine  di  favorire  le  relazioni  affettive, il  detenuto  può  usufruire  ogni  mese  di  quattro  visite  prolungate  della  durata  non  inferiore  a  quattro  ore  e  non  superiore  a  sei  ore “ ),  come  esempio  comunque  emblematico  di  un  contesto  normativo  fortemente  innovato  rispetto  a  quello  in  cui  venne  pronunciata  la  sentenza  n.301  del  2012

( par. 2.3 ).   Dunque, la  Corte  conclude  sul  punto  che  essendo  oggi  il  quadro  normativo  differente  da  quello  che  fu  a  base  del  precedente  giudizio  di  questa  Corte,  l’eccezione  statale  di  inammissibilità  delle  nuove  questioni  va  disattesa “ ( par. 2.5 ).

Aperta  la  strada  all’esame  nel  merito  delle  questioni, il  Giudice  delle  leggi  osserva - in linea peraltro  con  la  precedente  sentenza  301/2012 -  che  la  disciplina  dei  permessi  premio  non  è  allo  stato  idonea  a  risolvere  il  problema  dell’affettività  del  detenuto  e  che  esso  ha  pertanto  una  necessaria  dimensione  intramuraria,  profilo  che  assicura  la  rilevanza  delle  questioni  sollevate  dal  Magistrato  di  sorveglianza  di  Spoleto “ ( par. 2.6.2 ).  Tali  questioni  sono  ritenute  fondate  dalla  Corte, nei  termini  di  seguito  precisati,  sulla  base  di  alcune  enunciazioni  molto  chiare  e  difficilmente  confutabili  sul piano  giuridico.

Infatti, premesso  che  L’ordinamento  giuridico  tutela  le  relazioni  affettive  della  persona  nelle  formazioni  sociali  in  cui  esse  si  esprimono, riconoscendo  ai  soggetti  legati  dalle  relazioni  medesime  la  libertà  di  vivere  pienamente  il  sentimento  di  affetto  che  ne  costituisce  l’essenza “,  si  osserva  correttamente  che  Lo  stato  di  detenzione  può  incidere  sui  termini  e  sulle  modalità  di  esercizio  di  questa  libertà, ma  non  può  annullarla  in  radice, con  una  previsione  astratta  e  generalizzata, insensibile  alle  condizioni  individuali  della  persona  detenuta  e  alle  specifiche  prospettive  del  suo  rientro  in  società “ ( par. 3.1  del  “Considerato  in  diritto “ ).  Pertanto,  La  questione  dell’affettività  intramuraria  concerne…l’individuazione  del  limite  concreto  entro  il  quale  lo  stato  detentivo  è  in  grado  di  giustificare  una  compressione  della  libertà  di  esprimere  affetto, anche  nella  dimensione  intima ;  limite  oltre  il  quale  il  sacrificio  della  libertà  stessa  si  rivela  costituzionalmente  ingiustificabile, risolvendosi  in  una  lesione  della  dignità  della  persona “ ( ibidem ).

Posta  in  questi  termini  la  questione  dell’affettività  intramuraria, la  Corte  ritiene  corretto  il  presupposto  interpretativo  da  cui  muove  l’ordinanza  di  rimessione, ovvero  l’assolutezza  della  prescrizione  del  controllo  visivo  sui  colloqui  familiari  del  detenuto  e  la  conseguente  preclusione  dell’esercizio  dell’affettività  intramuraria, anche  sessuale “ ( par. 3.2 ) :  così  come  previsto  dall’art.18, 3° comma, ord. penit.  e  ribadito  dall’art. 37, comma  5,  D.P.R. 230 / 2000 

( Regolamento  recante  norme  sull’ordinamento  penitenziario  e  sulle  misure  privative  e  limitative  della  libertà ), secondo  il  quale  “ In  ogni  caso, i  colloqui  si  svolgono  sotto  il  controllo  a  vista  del  personale  del  Corpo  di  polizia  penitenziaria “.    Dunque, è  indubbio  che  secondo  la  normativa  vigente  il  controllo  visivo  è  prescritto  senza  eccezioni, e  proprio  questa  assolutezza  espone  la  disposizione  censurata  a  un  giudizio  di  irragionevolezza  per  difetto  di  proporzionalità “ ( par. 3.3 ).

Sembra  opportuno  sottolineare, a  questo  punto, un’osservazione  della  Corte  di tipo  definitorio :  è  pur  vero  che  anche  la  sessualità  è  stata  riconosciuta  come  “uno  degli  essenziali  modi  di  espressione  della  persona  umana “,  ma  non  può  ridursi  il  tema  dell’affettività  del  detenuto  a  quello  della  sessualità, in  quanto  esso  più  ampiamente  coinvolge  aspetti  della  personalità  e  modalità  di  relazione  che  attengono  ai  connotati  indefettibili  dell’essere  umano “ ( par. 

3.4 ).   Pertanto, il  diritto  riconosciuto  al  detenuto  come  persona  umana  è  il  diritto  all’affettività,  che  ha  un’accezione  molto  ampia  e  comprende  al  suo  interno  anche  la  componente  sessuale.  

Passando  alla  disamina  dei  parametri  costituzionali  coinvolti,  si  rileva  in  primo  luogo  dalla  Corte  che  La  prescrizione  del  controllo  a  vista  sullo  svolgimento  del  colloquio  del  detenuto  con  le  persone  a  lui  legate  da  stabile  relazione  affettiva, in  quanto  disposta  in  termini  assoluti  e  inderogabili, si  risolve  in  una  compressione  sproporzionata  e  in  un  sacrificio  irragionevole  della  dignità  della  persona, quindi  in  una  violazione  dell’art. 3  Cost., sempre  che, tenuto  conto  del  comportamento  del  detenuto  in  carcere, non  ricorrano  in  concreto  ragioni  di  sicurezza  o  esigenze  di  mantenimento  dell’ordine  e  della  disciplina, né  sussistano, rispetto  all’imputato, specifiche  finalità  giudiziarie “ ( par. 4.1 ).   Si  rammenta, al  riguardo, la  precedente  sentenza  della  Corte  n.26  del  1999,  in  cui  si  è  affermato  che  “La  dignità  della  persona ( art. 3, primo  comma, della  Costituzione )  anche  in  questo  caso - anzi : soprattutto  in  questo  caso, il  cui  dato  distintivo  è  la  precarietà  degli  individui, derivante  dalla  mancanza  di  libertà, in  condizioni  di  ambiente  per  loro  natura  destinate  a  separare  dalla  società  civile - è  dalla  Costituzione  protetta  attraverso  il  bagaglio  degli  inviolabili  diritti  dell’uomo  che  anche  il  detenuto  porta  con    lungo  tutto  il  corso  dell’esecuzione  penale…”.

Un  ulteriore  profilo  di  irragionevolezza - prosegue  la  Corte  nella  sentenza  che  qui  si  commenta - è  costituito  dal  riverberarsi  delle  restrizioni  sulle  persone  che, legate  al  detenuto  da  stabile  relazione  affettiva, vengono  limitate  nella  possibilità  di  coltivare  il  rapporto, anche  per  anni “ :  e  tale  riflesso  soggettivo  diviene  incongruo  quando  la  restrizione  stessa  non  sia  necessaria, e  pertanto, nella  specie, quando  il  colloquio  possa  essere  svolto  in  condizioni  di  intimità  senza  che  abbiano  a  patirne  le  esigenze  di  sicurezza” ( par. 4.2 ).  

Ma  l’ostacolo  ad  esercitare  l’affettività, da  parte  del  detenuto, nei  colloqui  con  familiari  o  conviventi  si  risolve  altresì, secondo  la  Corte, in  una  violazione  dell’art. 27,  terzo  comma, Cost.,  in  quanto  una  pena  che  impedisce  al  condannato  di  esercitare  l’affettività  nei  colloqui  con  i  familiari  rischia  di  rivelarsi  inidonea  alla  finalità  rieducativa “.  Infatti, non  c’è  dubbio  che  L’intimità  degli  affetti  non  può  essere  sacrificata  dall’esecuzione  penale  oltre  la  misura  del  necessario,  venendo  altrimenti  percepita  la  sanzione  come  esageratamente  afflittiva, sì  da  non  poter  tendere  all’obiettivo  della  risocializzazione “ ( par. 4.3 ).

Ancora, la  Consulta  riscontra  nel  caso  di  specie  pure  la  violazione  dell’art.117,  primo  comma, Cost. ( “ La  potestà  legislativa  è  esercitata  dallo  Stato  e  dalle  Regioni  nel  rispetto  della  Costituzione, nonché  dei  vincoli  derivanti  dall’ordinamento  comunitario  e  dagli  obblighi  internazionali “ ),  in  relazione  all’art. 8  CEDU,  secondo  il  quale  “ Ogni  persona  ha  diritto  al  rispetto  della  sua  vita  privata  e  familiare,  del  suo  domicilio  e  della  sua  corrispondenza “

( paragrafo  1  dell’art. 8 ).  A  questo  riguardo  la  Corte  osserva, da  un  lato, che  ormai  una  larga  maggioranza  di  ordinamenti  europei  riconosce  ai  detenuti  spazi  più  o  meno  ampi  di  espressione  dell’affettività  intramuraria, inclusa  la  sessualità “ ( si  richiamano  gli  esempi  del  codice  penitenziario  francese, del  regolamento  penitenziario  spagnolo  e  della  legislazione  penitenziaria  di  molti  Lander  tedeschi ) ;  dall’altro, che  la  giurisprudenza  della  Corte  EDU  

non  esclude  che  il  singolo  ordinamento  possa  rifiutare  l’accesso  alle  visite  coniugali  quando  ciò  sia  giustificato  da  obiettivi  di  prevenzione  del  disordine  e  del  crimine, ai  sensi  del  paragrafo  2  dell’art. 8  CEDU… “,  ma  viene  a  tal  fine  richiesto  un  fair  balance  tra  gli  interessi  pubblici  e  privati  coinvolti  ovvero  un  test  di  proporzionalità  della  restrizione  carceraria … e, quand’anche  la  visita  coniugale  sia  intesa  in  senso  premiale, si  esige