-  Graziuso Emilio  -  12/06/2012

LE CLAUSOLE ABUSIVE NEL CONTRATTO DI MEDIAZIONE IMMOBILIARE - Emilio GRAZIUSO

"LE CLAUSOLE ABUSIVE NEL CONTRATTO DI MEDIAZIONE IMMOBILIARE" – Emilio GRAZIUSO

Uno degli aspetti più problematici che il contratto di mediazione nel settore immobiliare presenta è, indubbiamente, costituito dal rapporto con la disciplina delle clausole abusive contenuta negli artt.33 e ss. del codice del consumo.

Prenderò, quindi, in esame un particolare aspetto della mediazione, vale a dire quello dell"incarico conferito all"agenzia dalla persona fisica che agisce per scopi estranei alla propria attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta.

E" questa, infatti, la definizione di consumatore offerta dall"art. 3, lett. a) cod. cons, la quale, sebbene ampiamente condivisa dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, a mio parere, offre il fianco a non pochi rilievi critici data la limitazione operata dal legislatore del consumatore alle sole persone fisiche, dalla quale, di conseguenza, rimangono privi di tutela avverso l"inserimento nel contratto di clausole abusive, le persone giuridiche, siano esse pubbliche o private, gli enti no profit, con o senza personalità giuridica.

In altri termini, se l"incarico di vendita immobiliare è conferito all"agenzia da una società, quest"ultima, pur non essendo del settore, e, quindi, priva di quel bagaglio di conoscenze tecniche tali da poter ripianare eventuali asimmetrie informative con la controparte, non potrà utilizzare la disciplina relativa alle clausole abusive.

Ma per quali motivi il legislatore ha voluto escludere tali soggetti dallo status giuridico di consumatore?

Secondo parte della dottrina, la risposta risiederebbe nella circostanza che le persone giuridiche sarebbero sempre e comunque dotati di una maggior forza contrattuale, dall"altro nel fatto che queste ultime quando agiscono lo fanno per perseguire, in via diretta o indiretta, lo scopo sociale previsto dallo statuto, e, quindi, ciò comporterebbe che la loro attività debba considerarsi svolta in chiave professionale.

Tali riflessioni non sono, a mio parere, condivisibili, avendo il legislatore posto in essere una scelta di comodo e prettamente formalistica con la quale ha voluto semplificare realtà socio economiche molto complesse.

Inoltre, la definizione di consumatore, così come strutturata, non tiene conto che le asimmetrie informative e le disparità contrattuali non possono escludersi per il sol fatto di essere una persona giuridica, in quanto la piccola società locale o la ditta individuale che stipula un contratto con una azienda di un settore estraneo al proprio non può presumersi che abbia lo stesso bagaglio di conoscenze tecniche e giuridiche della propria controparte negoziale.

Dopo questa piccola ma doverosa precisazione in merito agli aspetti soggettivi di applicazione della disciplina delle clausole abusive nei contratti di intermediazione immobiliare, passo ora ad esaminare le clausole maggiormente ricorrenti nella modulistica predisposta dalle agenzie immobiliari "in odore" di abusività che se, quindi, accertata giudizialmente comporterebbe la nullità delle stesse.

Ricordiamo, al riguardo, che il codice del consumo definisce clausole abusive quelle che malgrado buona fede determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio, da intendersi a livello normativo, vale a dire quello intercorrente tra le rispettive posizioni giuridiche dei contraenti degli obblighi derivanti dal contratto.

Una clausola nella quale si possono indubbiamente rinvenire i caratteri della abusività è quella relativa al conferimento dell"incarico di mediazione in esclusiva ad una agenzia immobiliare, in quanto con essa si preclude al consumatore la possibilità, durante il periodo di efficacia del contratto di mediazione, di stipulare un medesimo accordo con altri agenti immobiliari.

Più in particolare la clausola in esame violerebbe, salvo ovviamente dimostrazione dell"intervenuta trattativa individuale, la lettera t) dell"elenco contenuto nell"art. 33, 2° comma, codice del consumo la quale sancisce l"abusività delle clausole che pongono a carico del consumatore "restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi".

Come ho detto, il professionista potrebbe evitare la declaratoria di nullità della singola clausola solo dimostrando l"intervenuta trattativa individuale, per la quale non è sufficiente, come ha avuto modo di affermare la giurisprudenza occupatasi della materia, la semplice sottoscrizione della stessa ma occorre dimostrare che vi sia stata una vera e propria "contrattazione" che ha portato all"accettazione della singola clausola.

In altri termini il consumatore deve aver partecipato "attivamente" alla trattativa relativa alla clausola.

Ovviamente, se nell"incarico conferito all"agenzia, che ricordiamo essere predisposto unilateralmente ed in modo standardizzato, la clausola relativa all"esclusiva è posto in evidenza con caratteri più ampi rispetto al resto del testo negoziale e magari dando la possibilità al consumatore di scegliere tra due opzioni (esclusiva e non) l"intermediatore potrebbe fornire un elemento di prova al giudicante in merito all"intervenuta trattativa individuale.

E" indubbiamente abusiva la clausola, ricorrente in molti moduli contrattuali di mediazione, in virtù della quale il mandato conferito dal consumatore è irrevocabile prima della scadenza negozialmente pattuita.

Tale clausola, astrattamente correlata a quella concernente la penale che esaminerò nel prosieguo, è da considerarsi abusiva per il contrasto con l"art. 33, 2° comma, lett. g) del codice del consumo, il quale stabilisce che sono vessatorie le clausole che hanno per oggetto o per effetto di riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto.

In molti modelli di incarico che, per motivi professionali ho avuto modo di esaminare, la facoltà di revoca, seppur in via indiretta, è attribuita al solo professionista non essendo contenuta alcuna previsione in merito all"irrevocabilità dell"incarico di quest"ultimo.

Di particolare interesse è la clausola penale prevista per ipotesi quali, ad esempio, il recesso del consumatore prima della naturale scadenza del contratto o nelle ipotesi di conclusione dell"affare senza l"intervento dell"agenzia, data la notevole criticità che si registra in merito all"efficacia della stessa.

Al di là delle osservazioni svolte per quanto concerne la clausola di irrevocabilità, è opportuno, in questa sede evidenziare che, ai sensi dell"art. 33, 2° comma, cod. cons., la clausola concernente la penale è abusiva, qualora di importo manifestamente eccessivo.

Molti agenti, infatti, attraverso l"osservanza della regola europea della reciprocità prevedono nei propri moduli contrattuali una penale anche nei casi di recesso dall"incarico da parte del mediatore.

Tale previsione, però, se da un lato, è idonea ad eliminare un aspetto della abusività, dato dalla previsione contrattualmente svantaggiosa a carico del solo consumatore, dall"altro non è idonea ad evitare il giudizio di abusività in merito alla "manifesta eccessività" della stessa.

Come in quasi tutti i moduli contrattuali, anche in quelli di conferimento incarico di mediazione è prevista la clausola concernente il foro compente nelle ipotesi di controversie tra professionista e consumatore.

L"art. 33, lett. u, 2° comma, cod. cons., stabilisce che sono abusive tutte quelle clausole volte a stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore.

Tale clausola rientra, come ha avuto modo di affermare la Corte di Giustizia Europea, tra quelle

che hanno lo scopo o l"effetto di sopprimere o limitare l"esercizio di azioni legali da parte del consumatore

Anzi, l"esperienza insegna e la dottrina conferma che, in molti casi, il consumatore, proprio dalla distanza del foro competente, è stato scoraggiato dal far valere in giudizio i propri diritti per le difficoltà ed i costi connessi all"azione.

La clausola in esame è stata oggetto di attento esame in sede giurisprudenziale e dottrinale, date le zone d"ombra che la formulazione normativa presenta.

Ne sono, così, scaturiti orientamenti ermeneutici differenti e spesso contrastanti fra loro, recepiti anche dalla giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, che ad essi ha dato, poi, di volta in volta, concreta applicazione, con tutte le conseguenze, a livello di incertezza del diritto, che ne sono derivate.

Incertezza che è stata risolta dalla ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 1466 del 1° ottobre 2003, nella quale si è statuito che: il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo della sede o del domicilio elettivo del consumatore.

In questa sede è opportuno, per completezza di discorso, svolgere alcune brevi considerazioni in merito al termine "elettivo", utilizzato dal legislatore, sempre nella lett. u) dell"art. 33, e dalla Suprema Corte con riferimento al domicilio del consumatore.

Le Sezioni Unite, se da un lato hanno risolto l" "equivoco" relativo alla competenza territoriale, dall"altro hanno perso l"occasione per sciogliere i dubbi e le ambiguità relative alla corretta accezione che si deve attribuire al termine "domicilio elettivo".

Esso, infatti, offre, inconsapevolmente, al professionista uno strumento per eludere l"inderogabilità del foro competente e mettere, così, sotto scacco la tutela predisposta in difesa del consumatore.

Accade spesso, in effetti, che quest"ultimo, al momento della stipula del contratto, sottoscriva una clausola, unilateralmente predisposta dal professionista, con la quale viene eletto domicilio presso un luogo a lui gradito o, addirittura, presso la sua stessa sede.

Una siffatta clausola, pertanto, all"apparenza innocua, cela conseguenze contrattuali atte a provocare il "significativo squilibrio" ai danni del consumatore, richiesto dal legislatore per la dichiarazione di nullità della stessa.

Basti pensare, per avere la percezione degli effetti che tale clausola può produrre, a tutte le comunicazioni e informazioni relative al contratto stipulato, delle quali il consumatore, forse, non verrà mai a conoscenza, perché inviate al suo domicilio "elettivo", nel quale, probabilmente, non si recherà mai o si recherà solo occasionalmente.

O ancora, al paradosso che si determinerà al momento della notifica dell"atto di citazione da parte del professionista nei confronti del consumatore.

Dove dovrà essere notificato l"atto?

Ovviamente, secondo le comuni regole procedurali, nel domicilio eletto per il singolo affare o interesse, che, nell"ipotesi in esame, verrebbe a coincidere con la sede del professionista.

In tal modo, il consumatore non verrà mai a conoscenza dell"atto e, a fronte di una notifica valida, verrà, nel processo, anche dichiarato contumace.

Da quanto detto, risulta del tutto chiaro come, a causa del non meglio precisato termine "domicilio elettivo" usato dal legislatore, e sul quale nessuna parola è stata spesa dalla Suprema Corte nell"ordinanza n. 1466/03, venga ad essere inevitabilmente frustrato non solo il dettato dell"art. 33, 2° comma, lett.u), ma anche l"iter interpretativo seguito dai giudice nella pronunzia esaminata. 

A mio parere, una clausola con la quale il professionista faccia eleggere domicilio presso la propria sede o presso altro luogo ad esso più confacente, dovrà essere considerata abusiva e, quindi, dichiarata tamquam non esset.

Sebbene, infatti, essa non sia formalmente contenuta nell"elenco, meramente indicativo e non esaustivo, contenuto nell"art. 33 cod. cons. deve esservi ricompresa in via interpretativa, così come è già avvenuto in sede giurisprudenziale.

E" stata, infatti, dichiarata abusiva la clausola con la quale venga fatto eleggere, al momento della stipula del contratto, al consumatore domicilio presso i locali dell"impresa.

Tale pattuizione è stata definita come un mero «escamotage» utilizzato per eludere il precetto della inderogabilità della competenza per territorio: per le controversie civili tra il consumatore ed il professionista la competenza è quella del giudice del luogo di residenza o domicilio del consumatore.

Negare il contenuto abusivo di una tale clausola, infatti, sarebbe in contrasto, da un lato, con la ratio sottesa all"intera disciplina relativa alle clausole abusive, dall"altro con l"inderogabilità della lett. u) dell"articolo in esame

A che pro prevedere, infatti, che non può essere derogata la competenza del foro della residenza o del domicilio del consumatore se poi si offre al professionista la possibilità di far eleggere domicilio al consumatore stesso in altro luogo e, quindi, incardinare lì un eventuale giudizio?

Attenta dottrina, affrontando, seppure in maniera estremamente succinta, il problema, lo ha risolto mutuando dall"ordinamento tedesco l"istituto contemplato dal § 7 AGB - Gesetz.

Tale norma prescrive che la legge relativa alle clausole abusive si applica anche se le sue norme vengano aggirate da configurazioni negoziali diverse.

Secondo l"autore, tale istituto può essere ravvisato, nel nostro ordinamento, nell"art. 1344 c.c., che, disciplinando l"ipotesi del contratto in frode alla legge, dispone che si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l"applicazione di una norma imperativa.

La norma parla di "contratto", ma, è ovvio, sempre secondo tale opzione intepretativa, che essa sarà applicabile anche quando, come nell"ipotesi in esame, soltanto una singola clausola dello stesso venga a costituire lo strumento per eludere una norma.

Ed in effetti, la clausola del foro elettivo fa parte dell"elenco delle clausole abusive ex art. 33, 2° comma, cod. cons. per l"efficacia delle quali, quindi, è richiesta la specifica trattativa individuale.

Occorre, dunque, come si è già avuto modo di rilevare, perché sia valida, che vi sia stato un vero e proprio, rectius effettivo, scambio contestuale, tra professionista e consumatore, di proposta ed accettazione con riguardo alla singola clausola contrattuale, la quale assume le caratteristiche di un vero e proprio contratto nel contratto.

Non rientra, invece, nel novero delle clausole abusive la c.d. clausola del sovrapprezzo, già in precedenza esaminata.

Con essa, infatti, non si crea nessuno squilibrio normativo tra i diritti e doveri dei contraenti.

Tutt"al più potrebbe essere ravvisato uno squilibrio economico, il quale, come si è detto, non è idoneo a giustificare una pronunzia di abusività della singola clausola.

Soltanto, quindi, qualora la clausola fosse redatta in modo non chiaro e preciso, in violazione al principio generale e fondamentale della trasparenza negoziale, il consumatore potrà invocare l"abusività e, quindi, la nullità della pattuizione.




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