-  Redazione P&D  -  03/03/2006

IL PATTO DI FAMIGLIA E LA SUCCESSIONE NELL'IMPRESA - Angelo VENCHIARUTTI



Lo scorso 31 gennaio, la Commissione Giustizia del Senato, in sede deliberante, ha approvato in via definitiva il disegno di legge recante "Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia" (L. 14 febbraio 2006, n. 55, pubblicata nella G.U. n.  50 del 1 marzo 2006).
Procedendo per gradi,  va  evidenziato come  sul piano strutturale la nuova disciplina  ha l'effetto di  introdurre alcune importanti  innovazioni nel libro II, titolo IV. Con l'art. 1 viene anzitutto  modificato l'art. 458 c.c. (Divieto dei patti successori), premettendo al  primo periodo il seguente inciso  "Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti".  L'innovazione  ha l'effetto di  autorizzare esplicitamente una  deroga alla norma che (nella versione fino ad ora in vigore)  poneva appunto, in  modo imperativo,  il divieto dei patti successori disponendo  in particolare che "E' nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. E' del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi"). Più nello specifico l'inciso serve per operare un rinvio alle nuove disposizioni normative (artt. 768-bis - 768-octies)  introdotte  anch'esse dalla legge n. 55/2006.  Si tratta  delle disposizioni  che formano ora il nuovo Capo V-bis, del titolo IV , libro II, del codice civile, intitolato  appunto  "Del patto di famiglia".
L'articolo di apertura del  nuovo Capo  precisa  in particolare  che il   "patto di famiglia"  è  "il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.".

Con la nuova disciplina, viene attribuita, pertanto, la facoltà all'imprenditore di disporre in vita della propria azienda, ovvero, al titolare, di disporre della propria partecipazione societaria, in favore di uno o più dei propri discendenti, purché (come si vedrà) con l'accordo dei rimanenti discendenti e dell'eventuale coniuge.
Prima di passare  ad un esame  più dettagliato della nuova normativa, pare opportuno evidenziare, pur sinteticamente, la ratio legis che ha ispirato questa novellazione del codice.  Va in particolare  ricordato come la possibilità di programmare il passaggio  generazionale ma soprattutto la futura  funzionalità delle proprie  aziende, è un esigenza che si è  progressivamente andata manifestando  in modo sempre  più esplicito  presso  le realtà imprenditoriali non  soltanto familiari. 
Da parte non solo degli operatori economici, il  patto successorio  è stato dunque preso via via in considerazione come lo strumento per operare una pianificazione della futura destinazione (soprattutto, ma non solo) delle aziende di famiglia, sia per risolvere preventivamente  l'eventuale conflittualità tra gli eredi del titolare dell'azienda sulla modalità di  continuazione, appunto, dell'attività economica familiare, sia per garantire,  a vantaggio del sistema economico nel suo complesso,  una efficiente continuità delle iniziative imprenditoriali.
Tant'è che già verso la metà degli anni '90 varie proposte sono stante avanzate (pur senza sortire esiti positivi) dirette al  superamento del divieto di cui  all'art.  458 c.c..
A stimolare una riforma della normativa con cui all'epoca il nostro ordinamento vietava, in via generale, i patti successori (in compagnia peraltro di un numero limitato di paesi comunitari: Francia, Belgio, Spagna e Lussemburgo) si era pronunciata la stessa Commissione Europea: prima con la raccomandazione del 7 dicembre 1994 (G.U.C.E. 31 dicembre 1994, L 385),  e successivamente  con la comunicazione del 28 marzo 1998 (G.U.C.E. 28 marzo 1998,  C 93). In quest'ultima comunicazione (relativa alla trasmissione delle piccole e medie imprese),  la Commissione rilevava  in particolare  che "specialmente nel caso delle imprese familiari, gli accordi (interfamiliari) possono essere utilizzati  per tramandare determinati criteri gestionali da una generazione all'altra".
In base alla disciplina allora vigente nel nostro paese, la possibilità dell'imprenditore di disporre in vita della propria azienda in favore dei discendenti figurava in effetti problematica sotto più di un aspetto in quanto (pur in presenza  di  qualche apertura delle nostre corti)  permaneva, appunto, il divieto di cui  all'art. 458 c.c. nonché la  previsione a favore dei legittimari  dell'azione di riduzione (pure essa dichiarata irrinunciabile: art. 557 c.c.).
Le modifiche recentemente introdotte  nel  nostro codice  civile in tema di "patto di famiglia"  forniscono ora  una risposta alle problematiche poste in luce  anche  a livello comunitario, consentendo all'imprenditore e al titolare di una quota/partecipazione sociale di disporre in vita della successione della propria azienda e della propria quota/partecipazione in favore di uno o più dei propri discendenti. Il  patto di  famiglia è destinato  dunque a  divenire una forma di autoregolamentazione della destinazione delle realtà aziendali e delle partecipazioni societarie di cui il futuro meglio chiarirà la portata applicativa.





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