-  Graziuso Emilio  -  20/03/2012

CONTRATTI 4 YOU: NULLITA' DA MANCATA PREVISIONE DELLO JUS POENITENDI – Cass. n. 1584/2012 – Emilio GRAZIUSO

Con la sentenza n. 1584 del 3 febbraio 2012, la Corte di Cassazione affronta e risolve positivamente l'importante questione relativa all'applicabilità dell'art. 30, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), s.m.i., ai contratti aventi ad oggetto il prodotto finanziario denominato 4 You, il quale, come è noto, risulta essere il frutto del collegamento negoziale di più operazioni fra loro connesse.

Secondo la giurisprudenza occupatasi della materia, tale schema negoziale costituisce una ipotesi di contratto atipico nel quale è proprio il collegamento tra le singole componenti che costituisce la causa dello stesso

Ed infatti, le singole operazioni che compongono il contratto 4 You sono finalizzate al perseguimento di uno scopo unitario: l'investimento in prodotti finanziari.

La Suprema Corte ha, quindi, precisato che l'informazione che l'intermediario deve fornire in forma scritta, a pena di nullità, circa la possibilità, per il risparmiatore, di esercitare il diritto di recesso dal contratto, entro 7 giorni dalla stipula, deve avere ad oggetto il piano finanziario nel suo complesso.

Sulla scorta di tali considerazioni, il Corte di Cassazione ha, quindi, statuito la nullità del contratto per violazione dell'art. 30 TUF proposta dal risparmiatore.

Al di là del rimedio applicabile in caso di violazione della norma in esame, appare opportuno in questa sede soffermarsi sulla forma che deve rivestire l"indicazione della facoltà di recesso.

Ma proseguiamo con ordine.

Secondo quanto disposto dall'art. 30, comma 6 e 7, TUF, «l'omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente».

Al riguardo, la giurisprudenza ha precisato che l'obbligo di indicare la facoltà di recesso nei «moduli o formulari consegnati all'investitore» si deve ritenere assolto non soltanto con un suo mero inserimento nel testo contrattuale, ma è necessario anche che essa sia «immediatamente individuabile come clausola contrattuale» (Trib. Rimini, 28 aprile 2007).

In altri termini, il diritto di recesso deve essere indicato in modo chiaro ed evidente, pena la nullità dell'intero contratto. Più in particolare, «è nullo il contratto di collocamento fuori sede di strumenti finanziari ove la clausola che consente al cliente il recesso nei sette giorni dalla sottoscrizione non si ponga come oggetto di informazione chiara e trasparente» (Trib. Rimini, 18 dicembre 2006, n. 1874; in senso conforme, Trib. Bari, 31 marzo 2009; Trib. Mantova, 10 dicembre 2004)

La conclusione non trova il consenso unanime della dottrina, parte della quale (F. Durante, Offerta fuori sede e jus poenitendi: la nozione di collocamento va intesa in senso tecnico, in Giur. merito, 2010, 1303), infatti, sostenendo la interpretazione strettamente letterale della norma, esclude che si possa comminare la sanzione della nullità del contratto qualora nel testo negoziale sia prevista la facoltà di esercizio del diritto di recesso anche se la stessa non sia resa in modo chiaro ed evidente.

Sulla scorta di quanto sin"ora detto, la tesi, a mio parere, non è condivisibile, mentre il rilievo che viene dato dalla giurisprudenza alla forma è consono alla finalità di tutela del consumatore, cui la norma è preposta.

Esso, inoltre, si pone in piena sintonia con la tendenza al c.d. «neoformalismo» contrattuale di origine comunitaria, in virtù del quale, nell'ultimo ventennio, il legislatore ha attribuito una sempre maggior importanza alla forma, vista in chiave di chiarezza e trasparenza contrattuale.

L'art. 30 TUF, quindi, a mio avviso, deve essere letto in combinato disposto con l'art. 35 cod. cons., il quale prescrive che «1. Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile. 2. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l'interpretazione più favorevole al consumatore».

Il comma 1 riveste una importanza fondamentale in quanto contiene l'enunciazione del principio della «trasparenza», il quale caratterizza l'intera disciplina dei contratti del consumatore, non solo con riferimento alle clausole abusive, e cioè a quelle pattuizioni che provocano un significativo squilibrio ai danni del consumatore, ma anche con riferimento alle clausole contrattuali che indichino e/o descrivano in modo poco chiaro un diritto di quest'ultimo.

La «forma», quindi, contemplata dal comma 1 dell'art. 35 cod. cons. non va intesa, secondo i parametri codicistici tradizionali e generali, come la veste giuridica che l'ordinamento attribuisce al contratto ed alle clausole in esso contenute.

Essa va intesa, invece, come enunciazione del principio, di chiara ispirazione comunitaria, della «trasparenza» e, cioè, come obbligo per il predisponente il testo contrattuale, di inserire, nello stesso, in modo chiaro e trasparente, tutte le informazioni necessarie a rendere pienamente edotto il consumatore del contenuto del contratto e dei suoi effetti.

In altri termini, la redazione scritta di una clausola non è ritenuta sufficiente per eliminare, in radice, il sindacato sul rispetto degli obblighi di informazione gravanti sul professionista, in quanto l'atto deve essere «chiaro e comprensibile», ovvero «trasparente», volto, cioè, attraverso clausole prive di ambiguità ed oscurità, a rendere il consumatore edotto e consapevole del contenuto e delle ricadute economico-giuridiche delle clausole contrattuali.

La forma, in tal senso intesa, si pone, quindi, in piena sintonia con la legislazione comunitaria, la quale, appunto, persegue l'obiettivo di garantire la «trasparenza» nell'ambito delle operazioni economiche, attraverso l'imposizione di precisi obblighi di informazione.

Per il perseguimento di tali finalità, in dottrina sono state enucleate, essenzialmente, due opzioni interpretative.

La prima considera assolto l'obbligo di garantire la trasparenza contrattuale da parte del professionista attraverso comunicazioni ed indicazioni analitiche, consegna di documenti, di allegati e di prospetti informativi.

Secondo altri, invece, il legislatore si limita ad una previsione di carattere generale, ponendo in evidenza la necessità che i dati contrattuali relativi ai diritti ed obblighi del consumatore siano redatti in modo chiaro e comprensibile.

In altri termini, la clausola deve essere redatta in modo non equivoco, con caratteri grafici leggibili e con termini «atecnici, comprensibili anche da parte di soggetti giuridicamente non esperti, che non operano professionalmente nel settore nel quale è stato stipulato il relativo contratto» (V. Rizzo, Commento sub art. 1469-quater, in Commentario al Capo XIV-bis del codice civile: dei contratti del consumatore, in Nuove leggi civ. comm., 1997, 1189).

E certamente questa seconda ipotesi appare maggiormente idonea a tutelare i diritti e gli interessi dei consumatori.

Non sempre, infatti, un cospicuo numero di informazioni e documenti forniti al momento della stipula del contratto comporta una maggiore comprensibilità delle condizioni dell'operazione. Anzi, come è stato rilevato in sede dottrinale, un «eccesso» di informazione, in alcuni casi, potrebbe essere anche controproducente per il contraente più debole, aumentando i margini di ambiguità.

Ad ogni buon conto, al di là dei diversi orientamenti dottrinali, il sindacato sulla trasparenza degli elementi relativi all'oggetto del contratto ed al suo corrispettivo è lasciato, principalmente, alla discrezionalità del giudice, la quale, naturalmente, non potrà, rectius non dovrà, sfociare nell'arbitrio di quest'ultimo, in quanto, come ha evidenziato attenta dottrina, «l'operatività della regola si pone nella sfera in cui il difetto di trasparenza sia meno rilevante e non sussistano comunque norme cogenti suppletive da applicare, rendendo possibile un controllo della clausola sulla base dello squilibrio economico. Viene confermata, quindi, attraverso questa norma la tendenza a fare della trasparenza uno strumento per il raggiungimento dell'equilibrio delle prestazioni contrattuali» (G. Alpa, I contratti dei consumatori, in Il contratto in generale, II, Trattato di diritto privato, Torino, 2000, 484).




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