Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  26/07/2022

Visita a Nicoletta - P.C.

Quando la vidi la prima volta, ricordo che rimasi senza fiato.

La voce impastata, dai toni bassi, piena di soffi, che avevo sentito nella telefonata di qualche giorno prima: già mi aveva avvertito di qualcosa. Nel guardarla oltrepassare la soglia della biblioteca, alla Comunità Belcovich, su in Carso, dov’ero arrivato in macchina cinque minuti prima: rammento che il problema maggiore era stato quello di far finta di niente.

“Chissà se si rende conto – sussurravo intanto una frase cordiale - di ciò che si prova a incontrarla”. 

Era lei stessa a manovrare la sedia a rotelle, non so come vi riuscisse, con quelle dita: un essere rattrappito, poche decine di chili, braccia e gambe filiformi; la schiena un ramo curvo, che la obbligava in posizione ripiegata, di disfatta: il viso magro e bianco, mezzo storto, una specie di sorriso sofferente, di cortesia, che mai l’abbandonava.

Anche la dentatura era infelice, gengive scoperte e denti a chiostra; quella voce poi, la stessa del telefono, un rumore fioco al punto che occorreva guardare fissamente le labbra, per capire: avvicinando l’orecchio, concentrati al massimo.

Dopo una stretta di mano, per modo di dire, prese il via la conversazione. Ero seduto accanto a lei, proposi di darci del tu; accettò sorridendo, come se la onorassi. Difficile darle un’età, avrei saputo più tardi che aveva 32 anni.

Nel locale dove stavamo non c’era nessuno; dalla porta giungevano le voci di chi stava nel salone d’ingresso, ampio e luminoso: avevo visto circa una decina di ospiti della comunità, uomini e donne, in condizioni varie, qualche inserviente.

Raccontai, dietro sua richiesta, di questa nuova figura per la protezione dei deboli, da far approvare; studiammo in quali occasioni avrebbe, un giorno, potuto fare comodo anche a lei. Poste, ufficio pensioni, banca, agenzia delle tasse, pratiche ereditarie; per il momento c’era la sua famiglia che pensava a tutto, cose legali e burocratiche; un giorno chissà. 

Parlò della sua vita, un accenno all’infermità; al computer poteva lavorare, sia pur con fatica, gliel’avevano adattato al meglio. Non le mancavano gli amici. Vedeva con fatica, leggeva comunque, i film li guardava soprattutto in tivù.

Cambiò argomento. “Credo che qualunque persona, con  o senza problemi, abbia diritto a vivere la sua esistenza”. Aveva scritto un manifesto, tutto suo, fondato una specie di movimento. Ogni tanto pubblicava delle note, in qualche foglio; passaggi in radio private, interviste.

Ero meno impacciato al saluto finale, stringendole quelle falangi sottili, irregolari.

Non sapevo cosa portarle la volta successiva; avevo trovato alla fine, in una specie di boutique antiquaria, un mazzetto di fiori di garza, grigi e rosa, con al centro perle di fiume.

Al mio arrivo Nicoletta era già in biblioteca, con delle carte davanti; non si aspettava il regalino, pareva felice, lo teneva stretto in mano.

Raccontai degli sviluppi di un mio seminario, degli “Atti” che avevamo cominciato a raccogliere. Prese lei a riferirmi dei suoi progetti:

“Mi aiuterebbero in Comune, pare abbiano una casa a pianoterra, in via Volta; non c’è neanche un gradino, basterebbe adattare il bagno, per la carrozzina. Il problema sarà trovare una badante, riuscire a pagarla, per tante ore .. ”.

 Aveva un profumo che mi era sfuggito la volta precedente: “Patchouly e mandarino indiano – spiegò – lo distilllano delle amiche, in un laboratorio a Nancy, ci sono stata due anni fa”. Alle orecchie due cestini dell’800, onice e argento, “sono di mia nonna, si era sposata con questi”. Cominciò a spiegare di sé.

Alla Belcovich erano gentili, certe cose però non funzionavano, per lei almeno; troppa promiscuità, sempre musica, un punto non sopportava soprattutto: “Quando mi lavano, e non è sempre una donna a provvedere, non chiudono mai la porta, tutti vanno e vengono; non è perché è un uomo alle volte, con Sandro c’è confidenza, però lo chiamano al telefono, lui va, non chiude la porta, è solo un esempio, tutto così in questo posto: io lì nella vaschetta speciale, ad aspettare che torni, protestare non serve, anche il cibo, dicono che siamo in famiglia, non c’è un momento di privacy ...”.

Dopo un attimo: “Da sola, ecco  come vorrei vivere; so che è difficile, posso farcela però”. 

Tre quarti d’ora, a parlare, facevo sempre meno sforzo a capirla: quel mezzo sorriso non scompariva, c’erano piccole vanità, si era instaurata una speciale confidenza, nella penombra.

Non avevo mai parlato così con nessuno.

 Quei suoi occhi grigio blu, percepivo la femminilità, anche i segni di civetteria, nel girare la testa, quando la interrompevo, nel chinare il collo; delle “mancanze” sue più non mi accorgevo: andandomene non mi limitai a stringerle la mano, le passai due secondi la destra fra i capelli.

 

 




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film