Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Elvira Reale  -  30/03/2023

Una sentenza di Cassazione illuminante su: abuso sessuale, archiviazione, calunnia, vittimizzazione secondaria

(Cassazione VI penale 12066/23, pres. Fidelbo, rel. Paola Di Nicola Travaglini)

Elvira Reale, Associazione Salute Donna, 

Consulente Commissione Femminicidio XVIII legislatura

Il fatto 

Con la sentenza del 14 settembre 2021 la Corte di appello di Bari ha confermato la condanna di T. ad un anno di reclusione per calunnia aggravata ai danni dell'ex compagno, D, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, oltre al risarcimento del danno a favore della parte civile da liquidarsi in separata sede. 

La ricorrente è stata ritenuta responsabile di avere falsamente denunciato il 13 settembre 2014, presso il Commissariato di P.S., D, di avere praticato atti sessuali sul proprio figlio, L. ,all'epoca dell'età di 4 anni, toccandogli il pene in bagno quando faceva i bisogni in due occasioni (luglio e settembre 2014) di cui una alla presenza della stessa madre (luglio 2014).

La discussione della sentenza

Il procedimento in questo caso riguarda l’accusa di calunnia rivolta ad una madre dopo l’esito di un’archiviazione per la denuncia che la stessa ha fatto per abuso sessuale sul figlio minore.

Ciò che qui interessa discutere è la centralità di questa esplorazione dell’archiviazione, che noi consideriamo importante, non solo per i procedimenti penali che si possono aprire per calunnia, ma soprattutto per quanto riguarda i risvolti negativi che le archiviazioni di denunce per  abuso sessuale hanno nei procedimenti civili  riguardanti l’affido dei minori.

La novità della sentenza è  quindi centrata sulla censura che viene fatta alle accuse contro le donne fondate solo sull’esito dell’archiviazione in quanto tale, non approfondita né argomentata intorno ai suoi molteplici risvolti e soprattutto commettendo l’errore di far coincidere una pronuncia  di archiviazione con una pronuncia di insussistenza del fatto.

Dalla sentenza: 

“In conclusione, i giudici di merito hanno erroneamente fondato la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di calunnia, contestato alla ricorrente, non solo su un decreto di archiviazione, cioè su un provvedimento strutturalmente inidoneo ad accertare l'innocenza dell'incolpato che ne è presupposto, ma con un errore logico-giuridico persino ritenendolo un atto idoneo a dimostrare che i fatti non fossero «mai avvenuti».

Sempre sulla qualità del decreto di archiviazione si afferma:

A ciò si aggiunge che il decreto di archiviazione, nel caso di specie privo di motivazione autonoma (con generico richiamo alla richiesta del pubblico ministero), costituisce una mera decisione allo stato degli atti, di natura endoprocedimentale, non irrevocabile, alla quale può sempre seguire la riapertura delle indagini. 

Si tratta di un atto che non attesta affatto l'insussistenza del reato contestato, come lapidariamente enunciato nel capo di imputazione, ma che non esclude la presenza di elementi idonei a sostenere l'accusa, secondo la regola di giudizio indicata dall'art. 125 disp. att. cod. proc.. pen., esplicitata nella richiesta di archiviazione oggetto del presente giudizio e fatta propria nel decreto del Giudice per le indagini preliminari di Foggia. 

D'altra parte, si è chiarito che il decreto di archiviazione, disciplinato dagli artt. 408 e ss. cod. proc. pen., è un provvedimento concepito dal legislatore come anteriore all'esercizio dell'azione penale, correlato all'insussistenza degli estremi per esercitarla e che, proprio per questo, e ritenuto un atto neutro (Sez. 2, n. 29)

Ne discende che, ai fini dell'accertamento del presupposto logico della calunnia, cioè l'innocenza dell'incolpato, non può prescindersi dalla strutturale instabilità del decreto di archiviazione, fondato su una regola di giudizio incerta e comunque sempre aperta a modifiche. Ciò vale specialmente quando, come nel caso in esame, il giudizio di prognosi sulla tenuta dell'accusa di violenza sessuale su minorenne sia fondato su due denunce convergenti (quella di T. e della madre di questa) non seguite da alcuna attività investigativa che ne avesse contestato il fondamento in termini oggettivi (con esame delle denuncianti, con ascolto protetto del minorenne, con attività intercettive, con interrogatorio dell'indagato, ecc.) e che confermasse la situazione di indiscutibile incertezza sulla volontà calunniatrice di T., e per l'effetto, sulla reale finalità mistificatoria di questa, rimasta, come scritto, priva di prova”.

Andando a focalizzare l’attenzione  sul contenuto della sentenza di Corte di appello, troviamo che il ragionamento giuridico, posto a fondamento delle accuse di calunnia rivolte alla madre, è impregnato di pregiudizi non dimostrati interpretando quanto da lei denunciato come volontà ritorsiva nei confronti dell’ex-partner, in quanto questi non l’avrebbe voluta sposare all’atto della nascita del figlio:

“La sentenza (di Corte di appello, ndr) conclude apoditticamente che T. aveva denunciato falsamente R. per vendicarsi di non essere stata da lui sposata «in modo da regolarizzare una relazione sentimentale da cui era nata anche una prole», sulla base di una valutazione soggettiva, disancorata da qualsiasi elemento di fatto, comprovata dall'uso dell'avverbio verosimilmente e dal non essere stata indicata la fonte di tale asserzione, fino al punto di apparire frutto di un distorcente stereotipo culturale”.

Ancora sulla presunta motivazione della calunnia, non sostenuta da fatti  e   ex adverso con prove rintracciabili nell’ascolto del minore (presente in Atti) avvenuto presso il tribunale per i minorenni di Bari, si afferma in sentenza: 

“La Corte di appello  nel respingere il ricorso della donna perché ritiene  la condotta della T. sorretta da una volontà ritorsiva, volta ad allontanare il bambino dal padre, aveva omesso di esaminare il provvedimento del Tribunale per i Minorenni, agli atti del fascicolo processuale, in cui si rilevava che «il minore, nel corso dell'ascolto personale, ha confermato di avere paura del padre e di non volerlo incontrare»”.

Focalizzando poi l’attenzione sul parallelismo tra penale e civile, troviamo tra le motivazioni dei tribunali civili che penalizzano le donne, nell’ambito delle decisioni di affido dei figli, le stesse che abitano i procedimenti penali e che la sentenza di Cassazione ha messo bene in evidenza: si tratta cioè  delle medesime argomentazioni portate a  carico della donna attraverso una presunta e non provata volontà ostativa e ritorsiva verso il partner o ex-partner. La volontà ritorsiva è spesso l’unica spiegazione che regna nelle aule dei tribunali civili  e penali quando le donne affrontano i procedimenti di separazione e affido e contestualmente, o dopo la separazione, producono denunce per violenza su di sé o per maltrattamento e abuso sui figli minori.

Tale prassi causata da pregiudizi contro le donne è stata fatta anche oggetto dell’inchiesta della Commissione femminicidio al senato sulla vittimizzazione secondaria delle donne nei tribunali civili  e per i minorenni. 

Dalla sentenza si apprende anche trasversalmente quello che è un frequente  modus operandi  di un tribunale per i minorenni (in questo caso di Bari):  pur avendo ascoltato il minore sulle sue paure e sul suo rifiuto, dispone  l’affidamento al servizio sociale e impone  le visite con il padre nonostante  le paure e il rifiuto espressi dal bambino.

Dalla sentenza:

“Il ricorso rileva che, a fronte di una ricca giurisprudenza sul dolo di calunnia, la sentenza impugnata si sia limitata a ritenerlo integrato in base alla conflittualità della coppia, desunta dall'opposizione della ricorrente ad incontri tra il figlio e il padre e dal provvedimento di affidamento del bambino ai servizi sociali, adottato dal Tribunale per i Minorenni di Bari (questi aveva affidato il bambino ai servizi sociali contestando alla donna la sua ipercura proprio dopo la denuncia per violenza sessuale rimasta però  priva di indagini)”. 

Come chiosa della sentenza dobbiamo argomentare che la volontà ostativa  della donna, cui fa riferimento la Corte di appello di Bari,  al fine di allontanare il bambino dal padre, agitando lo strumento di una falsa accusa di abuso sessuale, non è altro che l’applicazione della teoria della PAS (Parental  Alienation  Syndrome) di Gardner,  giudicata da tutti gli organismi come costrutto ascientifico, oltre che misogino, volto solo a fare uscire indenni dai processi  i padri abusanti. 

La sentenza quindi procede  svelando il pregiudizio fatale che colpisce le donne che denunciano i partner per abuso sessuale sui minori, e cioè “inverosimiglianza che un padre possa abusare del proprio figlio “ esponendole poi anche a fallaci accuse di calunnia:

“La sentenza impugnata, inoltre, ancora una volta in termini apodittici ed astratti, a fronte delle sole denunce, tra loro riscontrate, della T. e della madre di questa e in assenza di ulteriori indagini, sulla base un mero convincimento soggettivo, contrario peraltro a dati di comune esperienza sulle violenze sessuali nei confronti di bambini e bambine che avvengono sovente proprio approfittando di momenti di accudimento: a) colloca su un piano di inverosimiglianza che un padre possa abusare del proprio figlio («e davvero inverosimile che R. abbia addirittura approfittato dell'accompagnamento del figlio per aiutarlo ad urinare nel bagno di un bar per commettere gli abusi denunciati»); b) non prende in alcuna considerazione le reiterate rivelazioni di L. e la sua tutela; c) descrive quanto denunciato da T., cioè il ripetuto toccamento del pene del piccolo di 4 anni, come «comportamenti genitoriali di assistenza (così come descritti in denuncia) molto comuni per i figli di quella età”.

La sentenza espone quelli che sono gli abituali pregiudizi dei giudici, sulle accuse materne che coinvolgono i padri, per cui sottovalutano i fatti denunciati e con l’ausilio o meno di consulenti li registrano su un'altra lunghezza d’onda che non ha più nulla a che fare con l’abuso e con quanto riferito dalla persona offesa o dai testimoni diretti o indiretti. I tribunali tendono allora a valutare pregiudizialmente  le accuse di abuso su un altro registro, quello  delle normali cure di assistenza, come in questo caso o tutt’al più in altri casi, come compiti di assistenza eseguiti occasionalmente  in modo malaccorto.  Poi dopo questa sottovalutazione dell’abuso sessuale, segue una valutazione della denuncia materna, non sempre sfociante in un’accusa di calunnia ma anche più blandamente riferita a fraintendimenti o travisamenti della realtà da parte delle madri, che peccano di comportamenti ipercuranti o iperprotettivi e di eccessivo legame con il  figlio (simbiosi).

Questa sentenza sgombra il campo da tutti questi pregiudizi incistati, dopo anni ed anni,  nel tessuto giuridico del nostro paese, e chiama le cose con il loro nome, chiarendo, nelle pieghe del giudizio,  che  i toccamenti del pene del bambino vanno al di là di quello consentito dalle normali cure igieniche e possono configurarsi come un abuso sessuale.

Ancora troviamo la censura verso i giudici di merito, che riparano il loro giudizio all’ombra sicura del costrutto della conflittualità invece che dirigere l’attenzione  sul comportamento abusante subito da un bambino di 4 anni: 

Di fronte a tutto questo materiale probatorio, oltre che alla legittima e ragionevole preoccupazione di una madre di garantire la sicurezza del proprio bambino di soli 4 anni rispetto ad un padre che le appare abusante, i giudici di merito si sono limitati a qualificare quanto accaduto come mera conflittualità tra madre e padre, astraendolo da cosa la generasse e senza porsi neanche il dubbio che potesse derivare dalla volontà protettiva della donna rispetto al figlio ritenuto violato dall'uomo”.

Infine registriamo nella sentenza il richiamo forte alla Corte di appello di Bari sulla sua responsabilità nell’avere veicolato una grave  forma di vittimizzazione secondaria nei confronti di una donna che ha immediatamente denunciato il partner (come era doveroso e necessario fare in rapporto alle rivelazioni del  figlio minore) al fine di ottenere una immediata tutela; tutela negata  poi, in modi analoghi, sia nel civile che nel penale:

Nel caso concreto, le sentenze di merito hanno tralasciato di affrontare la questione cruciale della rivelazione del minorenne alla propria madre (e ai nonni) di avere subito plurimi abusi sessuali da parte del padre, tanto da determinare la successiva denuncia penale, volta ad accertare i fatti e tutelare da gravi pregiudizi il figlio, oggetto del presente processo. 

Conseguenza di detta gravissima omissione è stato il ribaltamento pregiudiziale, tale definito in quanto privo di qualsiasi dato fattuale a proprio supporto, della prospettiva valutativa rispetto all'unico dato certo, costituito dal terrore del bambino rispetto al proprio padre, attraverso l'attribuzione alla madre di esserne la vera causa, proprio per il tramite della denuncia penale ritenuta strumento utile ad ostacolare il rapporto genitoriale del padre. 

Il substrato fattuale della vicenda in esame, l'aprioristica e non provata colpevolizzazione di T. per avere denunciato l'abuso sessuale rivelatole dal figlio, nei termini rappresentati dalla sentenza impugnata, costituisce un caso emblematico di vittimizzazione secondaria con ciò intendendosi le conseguenze pregiudizievoli, ascrivibili alle istituzioni, che la persona che denuncia è costretta ad affrontare a causa del procedimento penale che ha instaurato”.

La Cassazione si è così fatta carico, in questa sentenza, di inviare un segnale forte alle istituzioni che si trovano a dover decidere dei casi di abuso sessuale sui minori: non si possono bypassare in modo semplicistico e superficiale quanto i minori affermano nei contesti giudiziari e le denunce delle madri che compiono il loro dovere di tutela nei confronti dei figli minori. Occorre approfondire la storia della violenza familiare e il  primo contesto dichiarativo in cui avvengono le rivelazioni dei bambini alle madri (caregiver di riferimento).

Al contrario le denunce delle madri vengono pregiudizialmente viste come strumentali ed i bambini considerati inattendibili o incapaci a testimoniare per varie ragioni, tra cui il fatto di essere manipolati e condizionati dalle madri (supposte ritorsive e vendicative come in questo caso). 

Un castello di carte che si sostiene solo sul pregiudizio come affermato dalla UN-EDVAW Platform  (The Platform of Independent Expert Mechanisms on Discrimination and Violence against Women) (EDVAW Platform) in occasione della conferenza di Strasburgo nel maggio 2019: 

I membri della piattaforma ritengono che le relazioni violente tra genitori colpiscano prevalentemente le donne e abbiano un impatto diretto sulla vita dei bambini, tuttavia la violenza contro le donne è raramente considerata un fattore rilevante dalle autorità nazionali nelle decisioni sulla custodia dei figli. Non c’è dubbio inoltre che la violenza da parte del partner colpisca prevalentemente le donne, eppure la correlazione tra violenza domestica contro le donne e abuso sui minori è spesso sottovalutata da professionisti e tribunali. Il pregiudizio di genere nei confronti delle donne in tali contesti è prevalente poiché le donne sottoposte a violenza dai partner sono a maggior rischio di ottenere esiti negativi relativamente ai diritti di visita e custodia. Inoltre, il pregiudizio di genere discriminatorio porta spesso a diffidare delle donne, in particolare riguardo alle presunte false accuse di abusi sui minori e di violenza domestica”.

Una brutta pagina, quella degli abusi sui minori che non solo vengono archiviati per mancanza di elementi idonei da produrre in giudizio e non per insussistenza del fatto, ma che sono privi di accertamenti e dove le parole dei bambini, i loro rifiuti del padre (presunto abusante) e le loro paure non vengono assolutamente tenuti in considerazione e dove tutto si gioca sulla colpevolizzazione delle madri. 

Di questa brutta pagina (peggiore di tante altre perché si gioca sulla pelle di bambini, sulla loro salute e sicurezza) si è fatta carico anche la Commissione di inchiesta sul femminicidio nella sua relazione, già citata, quando  afferma:

Le denunce di abuso sono spesso archiviate per una ritenuta incapacità a testimoniare del minore a seguito di consulenze ad hoc disposte nel procedimento penale o a seguito di analoghe valutazioni contenute nelle consulenze tecniche svolte nei giudizi civili e acquisite nel procedimento penale (spesso in questi casi le consulenze parlano di alienazione). Tali consulenze veicolano in taluni casi pregiudizi sulla insussistenza dell’abuso e sulla suggestionabilità del minore soggetto a manipolazione materna. È proprio l’archiviazione di queste denunce che spesso induce le madri ad essere ancora più protettive nei confronti dei minori alle cui parole credono incondizionatamente. Colpisce pertanto il fatto che le denunce delle madri per abusi sui figli abbiano avuto scarsa considerazione per la presunta inattendibilità delle dichiarazioni dei bambini. Infatti non vi è dubbio che laddove siano presentate denunce a carico del genitore per sospetto abuso sui figli le indagini dovrebbero essere non solo tempestive, ma anche altamente specialistiche e comunque dovrebbero essere svolte garantendo un efficace coordinamento tra procedimento civile e procedimento penale, anche al fine specifico di proteggere il minore dal rischio di ulteriore violenza”.

La relazione della Commissione ha aperto un varco nei procedimenti dei tribunali che va approfondito e portato all’attenzione degli inquirenti sia penali che civili per un cambio radicale di passo nella valutazione delle denunce di abuso sessuale, sconfiggendo il pregiudizio che le denunce di abuso siano false e i bambini inattendibili.

Su questo tema dell’abuso sessuale dei bambini e delle false accuse ha preso  posizione anche il Parlamento Europeo. In particolare segnaliamo il rapporto della Commissione affari sociali al Parlamento Europeo su:  Increasing the reporting of suspected sexual abuse of children (Doc. 13430, 19 February 2014) che indica come: “i professionisti dovrebbero essere addestrati su come comunicare con i bambini, al fine di identificare le possibili accuse di abusi sessuali da parte dei bambini stessi. In questo contesto, va osservato che le false accuse di abusi sessuali da parte dei bambini stessi sono rare”.

 

In allegato l'articolo integrale con note.


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