-  Redazione P&D  -  17/04/2011

ROCCE E TERRA DA SCAVO:RIFIUTI, SOTTOPRODOTTI o COS'ALTRO? – Ornella STRADAIOLI

Quando si parla di rocce e terra da scavo, il problema principale consiste nella catalogazione di tali materiali quali “rifiuti non pericolosi”, ex art. 183, comma I, lett. a), d.lgs. 152/2006, quali “sottoprodotti”, ex art. 184 bis del medesimo decreto, ovvero, ancora, quali “sostanze od oggetti non più qualificabili come rifiuti”, ex art. 184, ter

L’art. 186 del decreto legislativo citato, recante la disciplina in materia di terra e rocce da scavo, è stato abrogato dal d.lgs. n. 205/10. 

Il decreto appena menzionato ha, però, anche modificato l’art. 185, recante le ipotesi di esclusione della parte quarta del testo unico in materia ambientale, relativa alla gestione dei rifiuti. 

Mentre il comma I dell’art. 185, lett. c, esclude esplicitamente dal predetto ambito di applicazione “il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”, il comma quarto del medesimo articolo è meno chiaro, disponendo che “il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell’ordine degli artt. 183, comma I, lett. a), 184 bis e 184 ter”. 

Il Testo unico in materia ambientale non fornisce una definizione univoca con riferimento al materiale di scavo utilizzato in siti diversi dal luogo di estrazione, obbligando l’interprete a valutare le particolarità del caso concreto, con un preciso ordine. Partendo dalla definizione fornita dall’art. 183, comma I, lett. a), e con particolare riferimento a terra e rocce escavate in un sito e poi riutilizzate a fini di ripristino ambientale altrove, non si ritiene che la terra in questione possa essere qualificata come rifiuto, non trattandosi di sostanza od oggetto di cui il detentore intenda disfarsi o di cui lo stesso abbia l’obbligo di disfarsi. Per quanto riguarda la definizione fornita dall’art. 184 bis, in materia di sottoprodotti, si rileva che, per la qualificazione in tal senso, devono sussistere contemporaneamente tutti i presupposti previsti dalla norma stessa. Se certamente le condizioni b), c) e d) possono ritenersi sussistenti in caso di riutilizzo ai fini di un ripristino, quanto alla condizione a) il sottoprodotto non dev’essere il risultato primario dell’attività di produzione. 

Se, quindi, l’attività posta in essere dalla da un imprenditore su terreno ha come scopo primario l’estrazione della terra e delle rocce, in questione, è chiaro che le stesse non potranno essere qualificate quali sottoprodotti. Si ritiene, quindi, in tale ipotesi, che il materiale estratto possa qualificarsi, ex art. 184 ter, quali prodotto non costituente più rifiuto e ciò sulla base delle seguenti considerazioni. 

In particolare, oltre alla sussistenza delle condizioni di cui al menzionato articolo 184 ter , ciò che determina il passaggio da “rifiuto” a prodotto non costituente più rifiuto è la sottoposizione della materia ad un’operazione di recupero, la quale, specifica il secondo comma, primo periodo, “ può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni”; la cessazione della qualifica di rifiuto, chiaramente, quindi, comporta l’inapplicabilità delle norme contenute nella parte quarta del testo unico ambientale, come si può dedurre dal comma quinto, art. 184, ter, che testualmente dispone che “la disciplina in materia di gestione dei rifiuti, si applica fino alla cessazione della qualifca di rifiuto”. 

E legittimamente, quindi, si può ritenere che l’attività di parziale lavorazione della terra, volta all’eliminazione dei sassi in essa presenti, integri l’operazione di recupero di cui all’art. 184, ter, e, assieme alla sussistenza delle condizioni dal medesimo articolo indicate, costituisca titolo per escludere l’attività esercitata dall’ambito di applicazione di cui all’art. 193, d.lgs. 152/2006. (o.s.)




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