-  Todeschini Nicola  -  30/04/2017

Riforma Gelli Bianco: dopo il giubilo la paura dei medici di essere stati gabbati. - Nicola Todeschini

Paiono terminate, in un silenzio irreale, le odi levate in favore della riforma Gelli – Bianco, premiata prima ancora di essere letta da una propaganda pressante, astiosa (per i riferimenti, a tratti risibili, ai profittatori), culminata da raccolte di firme online perché non venisse fermata dai lavori parlamentari.

Quando, finalmente, è stata letta da giuristi capaci ma soprattutto liberi di formulare un giudizio, si è palesata in tutta la sua approssimazione. Una responsabilità penale più severa, un costrutto lessicale incerto, una nuova medicina difensiva di regime, un bugia sulla trasformazione della responsabilità contrattuale in extracontrattuale, l'ennesima complicazione delle procedure che porterà a cause più complesse e costose, il rischio che i poteri forti mettono mano alla medicina legale di stato orientandola alla faccia, cari medici, della vostra autonomia, il passo indietro della scienza dinanzi alle medicina di stato, per citarne solo alcune.

Non è bastata l'amatoriale Balduzzi a dare una lezione, perché ormai il legislatore (Gelli, oggi, come Balduzzi, allora) delegano alla magistratura la funzione legislativa e si limitano, per utilizzare una frase ahi noi nota di Balduzzi, a provocare la reazione della magistratura.

Le sigle sindacali e gli alfieri delle compagnie di assicurazione si affrettano ad offrire della sua valenza, presunta, letture partigiane, i sindacati dei sanitari, che prima percorrevano il web armati di un solo credo (fate passare la riforma, urlavano) ora si nascondono, e varrebbe la pena che i loro iscritti chiedessero, una volta per tutte, che chi l'ha sostenuta tale stolta riforma si dimettesse.

Per anni i medici sono stati messi contro i pazienti ed i loro avvocati nel tentativo di concentrare sul contenzioso, millantato come infondato, malizioso, a tratti addirittura illecito, ogni loro frustrazione, così da distogliere lo sguardo dalla vera minaccia alla loro autonomia. E ci sono riusciti, perché fior di professionisti, a volte impegnati pure sui social si sono sguinzagliati a vicenda a dare la caccia all'avvocato difensore dei pazienti e luciferino nemico della loro professione, ed ora che è chiaro che il loro nemico è quello che li ha sin qui strumentalizzati e che si lega a doppio filo agli interessi delle compagnie di assicurazione, si sono rinchiusi, sconcertati, in un assordante silenzio.

Gelli – Bianco e la propaganda della medicina difensiva hanno raccontato due splendide favole preannunciando un nuovo corso: la depenalizzazione della responsabilità medica e la trasformazione (come in un gioco di prestigio) della responsabilità contrattuale del medico in responsabilità extracontrattuale. Eh si perché i sanitari nulla sanno del diritto, nella maggior parte dei casi, ma hanno insegnato loro che tra i nemici giurati della professione debbono annoverarsi, come losche figure incappucciate, il reato, l'obbligazione di risultato e la responsabilità contrattuale da contatto sociale insieme, ben inteso, agli avvocati puzzoni che le invochino.

Il reato, che osa insidiare la loro arte trasformandola in un becero insulto all'integrità proprio di coloro che vorrebbero, invece, salvare, a guisa di un rozzo camionista che eccede in velocità travolgendo una colonna di auto in sosta; l'obbligazione di risultato, che li chiamerebbe a rispondere -addirittura- di ciò che hanno promesso (non sia mai!) e infine il contatto sociale, che trasformerebbe l'alchimia esoterica della prestazione medica in un mercimonio che ha il sapore del vile denaro, dell'obbligo, della vendita di un frigorifero.

Quanto al primo, al reato, si sconosce l'esistenza della presunta emergenza, tenuto conto che i dati parlano, invece, di un rischio bassissimo di condanna. Imbavagliare il paziente scontento non è possibile oggi, non sarà possibile domani, bisogna farsene una ragione, meglio sarebbe non renderlo scontento: non esiste una categoria (anche se quando discute di depenalizzazione tout court varrebbe la pena definirla casta) immune dalle conseguenze della propria condotta per meriti atavici, e nemmeno si può impedire a chi lo ritenga necessario d'invocare la reazione dello stato: trattarlo con rispetto ed attenzione ridurrebbe il rischio di contenzioso, tanto più di denuncia, di una succosa percentuale. Credersi al di sopra delle regole, quindi, non fa che disgregare l'equilibrio che dovrebbe invece fondare l'alleanza terapeutica, questa sconosciuta.

Quanto alla seconda, la presunta trasformazione dell'obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato, frutto questa -invece irrilevante distinzione- certamente di una mercificazione della prestazione, invita a giocare sul significato, insito in ogni obbligazione, di risultato, anziché concentrare l'attenzione sull'incontro di volontà e quindi, appunto, sull'alleanza terapeutica. Quando un medico assicura il paziente sulla routinarietà di un trattamento inducendolo a sottoporvisi, grazie ad un'informazione non esaustiva circa le complicanze possibili, sia che svolga la libera professione che sia dipendente di una struttura complessa ha assunto un obbligazione con il proprio paziente (fatevene una ragione) che ha il contenuto che lui, il sanitario, ha inteso dedurre: la promessa, tra l'altro fallace, e quindi illecita, di un risultato descritto come di agevole verificazione. Insegnamo ai professionisti che questo non si fa, siano essi avvocati, ingegneri, medici: è finita la professione da colletti bianchi paternalista del "so io come si fa, tu firma"; toga e camice non possono servire più, come accadeva un tempo, per salvarsi poi dalla reazione, corretta, del proprio cliente-paziente che si sente giustamente tradito e si sa che chi vive tale condizione diventa, anche se non dovrebbe, vendicativo.

Quanto al terzo abbaglio, che consiste nell'inimicizia che il contatto sociale manifesterebbe al medico, trasformando la sua arte in un lurido contratto, finiamola di essere ipocriti: che il camice sia abbottonato, sbottonato, appeso all'appendino o di un colore diverso, la prestazione è sempre la stessa, vede il medico protagonista con il paziente di un vincolo obbligatorio di straordinaria consistenza e fascino, nel quale il medico agisce in scienza e coscienza, assoluta libertà ed autonomia, e proprio in tale straordinaria funzione si manifesta tutta la complessità che merita il massimo rispetto; ed è proprio chi neghi questo straordinario momento di autonomia, personalità, specialità, che vi dimostra mancanza di rispetto, paragonandovi al magazziniere che consegna il frigorifero scelto dall'acquirente rimanendo estraneo al vincolo contrattuale che si perfezione tra acquirente e venditore perché esegue, meccanicamente, una direttiva in ordine alla quale non ha alcuna autonomia.

Volete veramente, cari medici, diventare come i magazzinieri?

Volete farvi degradare da questa politica inetta, dalle sirene (interessate solo al risultato economico) delle compagnie di assicurazione, a medici di serie B quando siete "esercenti la professione" come vi definisce la Gelli Bianco?

O forse è venuto il momento di riaffermare che siete professionisti, che agite in scienza e coscienza, potendo addirittura obiettare (a quanti magazzinieri è consentito farlo?), che è la vostra informazione, che vi suggerisce non la struttura ma la vostra statura etica, tecnica, morale, a mettere nelle condizioni il paziente di assentire o negare il trattamento; che il vostro sorriso, una mano calda che rassicura il malato, il vostro sforzo di ogni giorno in rimi spesso insostenibili vi rende diversi dal magazziniere (che non me ne vorrà) e orgogliosi di svolgere una professione di altissimo rilievo sociale.

Ditelo a voce alta al disattendo legislatore, ditelo ai sindacati che lo hanno miseramente appoggiato, ditelo a chi vi racconta, ai convegni, una storia edulcorata, facendovi sentire vittime di qualche cosa che però non vi spiega correttamente, perché solo sino a che rimarrete ignoranti (delle regole) sarete delle straordinarie pedine da manovrare.

 




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