Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  20/04/2022

Responsabilità penale del medico - l'incertezza salvifica delle linee guida - Cass.pen. n. 37617/21 - Chiara Tartari

Non può considerarsi esclusa la responsabilità del medico riguardo l'evento lesivo subito dal paziente per il solo fatto di aver seguito le linee guida o di protocollo, avendo il medico il dovere di curare utilizzando i presidi e le conoscenze di cui la scienza dispone al momento”.

La vicenda processuale.

La sentenza in commento riguarda un medico ginecologo in servizio presso una struttura pubblica ospedaliera a cui una donna, in stato di gravidanza avanzata (30esima settimana ecografica), la mattina del 7 aprile 2015 si era rivolta a seguito di abbondanti perdite seguite da dolori pelvici. Il ginecologo sottoponeva la paziente ad esame ispettivo con speculum, esame del Prom Test ed ecografica. Sebbene l’esito del tracciato ecografico non fosse rassicurante, una volta eseguiti gli esami di routine, il medico dimetteva la paziente, la quale, tre giorni dopo, si recava d’urgenza presso il medesimo nosocomio, dove il feto nasceva morto dopo essere deceduto in utero.

In primo grado, il Tribunale condannava il medico per il reato ascrittogli, ritenendo che il trattenimento prudenziale della paziente in ambiente ospedaliero, a seguito delle abbondanti perdite che l'avevano indotta a recarsi in ospedale e soprattutto delle anomalie riscontrabili nel tracciato cardiotocografico (di cui l’imputato forniva una lettura errata), avrebbe consentito ai sanitari di verificare la rottura del sacco amniotico - verificatasi nei giorni immediatamente successivi alla prima visita - in ambiente protetto: ciò che avrebbe ridotto a zero il rischio di morte del feto per prolasso del funicolo. 

Avverso la sentenza di condanna, ha proposto appello il medico. La Corte d’Appello, accogliendo i motivi d’impugnazione proposti dall’imputato, ribalta integralmente la sentenza di primo grado, assolvendo il medico dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste. Secondo la Corte, l’imputato aveva rispettato le linee guida nel trattamento della paziente e quindi nessuna penale responsabilità era a lui ascrivibile per la morte del feto. La gestazione aveva avuto un corso regolare e il ginecologo aveva eseguito gli accertamenti necessari, ovvero: l'esame ispettivo con lo speculum (che non diede alcun esito particolare), l'osservazione diretta se vi fosse fuoriuscita del liquido dal canale cervicale; il Prom Test per verificare la presenza di liquido amniotico in vagina, con esito negativo; l’ecografia ed il tracciato cardiotocografico, il tutto con esito negativo. La Corte di merito, pur interrogandosi sulla possibile opportunità di tenere in osservazione la paziente, ne esclude la eventuale rilevanza causale sull'evento, ritenendo che ciò non potesse comportare di per sè la condanna del ginecologo.

Avverso la sentenza di secondo grado proponevano ricorso in Cassazione le parti civili costituite, ravvisando plurimi vizi di motivazione della sentenza gravata, tra cui l’errata esclusione del nesso causale tra la condotta del medico e l’evento. In particolare, secondo i ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe dovuto chiedersi che cosa sarebbe successo, secondo un giudizio di elevata probabilità logica e considerando le peculiarità del caso concreto, se la condotta doverosa richiesta all'imputato fosse stata regolarmente tenuta: quanto precede considerando che il prolasso del funicolo che si verifichi in un buon ambiente ospedaliero ha una mortalità pari a zero, così come la rottura delle membrane in sede ospedaliera; e che la formale osservanza delle linee guida non esonerava comunque il sanitario dalla valutazione della situazione nel caso specifico, in base alle caratterizzazioni concrete dello stesso. 

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, nell’accogliere il ricorso delle parti civili (annullamento con rinvio), ripercorre quattro temi fondamentali del diritto penale sostanziale e processuale: l’obbligo di motivazione dei giudici d’appello in caso di integrale riforma della sentenza di primo grado; l’accertamento della causalità omissiva; la valenza salvifica del rispetto delle linee guida nell’accertamento della penale responsabilità dei sanitari; l’obbligo di motivazione in materia di responsabilità penale colposa del medico.

In questa sede verrà trattato unicamente il tema della rilevanza delle linee guida ai fini dell’accertamento della penale responsabilità del medico, atteso che sul punto la Corte di Cassazione in commento si è espressa in modo piuttosto nitido, statuendo il principio per cui il formale rispetto delle linee guida vigenti non è di per sé esaustivo ai fini dell’esclusione della responsabilità penale del sanitario. 

Nel caso specifico, secondo gli Ermellini, la Corte distrettuale ometteva completamente di verificare se, rispetto alle peculiarità del caso concreto, il rispetto delle linee guida fosse bastevole o richiedesse, invece, un approfondimento delle condizioni della paziente, mantenendola per qualche tempo in ambiente ospedaliero.

La natura giuridica e le finalità delle linee guida.

La Corte di Cassazione, tra le diverse argomentazioni affrontate in motivazione, conferisce particolare rilevanza al ruolo che le linee guida assumono nel giudizio di accertamento della penale responsabilità del sanitario.

Emblematico il passaggio motivazionale in cui la Corte si sofferma sulle linee guida, escludendone espressamente la natura di regole cautelari a carattere normativo e relegandole invece a mero ruolo di “raccomandazioni di massima che non sollevano il sanitario dal dovere di verificarne la praticabilità e l'adattabilità nel singolo caso concreto”.

La negazione della natura cautelare delle linee guida è motivata sia dalla loro intrinseca capacità dinamica, di modificarsi in corrispondenza ai progressi della medicina, sia in quanto raccomandazioni che indicano un percorso terapeutico ideale, da cui la carenza di prescrittività.

Da tale principio la Corte di Cassazione deduce, quindi, che il rispetto delle linee guida non costituisce l’unico parametro di riferimento della legittimità della condotta del medico, il quale ha il “dovere di curare il paziente utilizzando tutti i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo la scienza medica dispone”.

Secondo gli ermellini, il rispetto delle linee guida non può, di per sé, escludere la responsabilità penale del sanitario per morte o lesioni, dovendosi altresì verificare la correttezza delle scelte terapeutiche alla luce della concreta situazione in cui il medico di trova a dover intervenire.

È quindi il caso concreto a fungere da parametro per la valutazione della condotta del sanitario, anche nell’ipotesi in cui egli abbia osservato le linee guida vigenti.

I precedenti giurisprudenziali conformi.

Invero, il principio affermato dalla sentenza in commento non è del tutto nuovo, atteso che già in altre occasioni la Corte di Cassazione si era espressa negli stessi termini (Cass., Sez. IV, 15 aprile 2009, n. 19759; Sez. IV, n. 8254 del 23/11/2010 - dep. 2011, Grassini, Rv. 249750; Cass., Sez. IV, 7 luglio; 2010, n. 32175; Cass., Sez. IV, 6 ottobre 2010, n. 41349; Cass., Sez. IV, 1 febbraio 2011, n. 9926; Sez. 4, Sentenza n. 18430 del 05/11/2013, dep. 2014, Loiotila, Rv. 261294; Sez. 4, Sentenza n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 263732).

Valgano, al riguardo, i passaggi della sentenza della Corte di Cassazione, IV Sez. Pen. n. 24455/2015 cit. la quale, nel richiamare le parole di un’altra pronuncia della stessa Sezione, ha ribadito come “l'arte medica, mancando per sua stessa natura di protocolli scientifici a base matematica, spesso prospetti diverse pratiche o soluzioni che l'esperienza ha dimostrato efficaci, da scegliere oculatamente in relazione a una cospicua serie di varianti che, legate al caso specifico, solo il medico nella contingenza della terapia, può apprezzare. Questo concetto, di libertà nelle scelte terapeutiche del medico, è un valore che non può essere compromesso a nessun livello, nè disperso per nessuna ragione, pena la degradazione del medico a livello di semplice burocrate, con gravi rischi per la salute di tutti (Sez. 4, Sentenza n. 35922 del 11/07/2012, Rv. 254618, di cui si apprezza l'essenziale rassegna dei precedenti di questa Corte in tema di linee guida). L'idea da sostenere (e che appare enucleabile sulla base degli interventi della nostra giurisprudenza di legittimità sul tema: v., più di recente, Sez. 4, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013, Cantore) è dunque quella secondo cui il presupposto per il contenimento della risposta sanzionatoria, sul piano penale, si giustifica, non già per effetto dell'astratta conformità del comportamento medico a una regola positivizzata, bensì in ragione dell'adeguamento della condotta del medico ai parametri di più elevata qualificazione sul piano scientifico. Dove il senso dell'espressione che richiama alla categoria della "scientificità" chiede d'essere inteso alla luce dell'indole eminentemente pratico-clinica che caratterizza la scienza medica, e che si vale dell'attitudine dell'operatore concreto alla costante sottoposizione, delle ipotesi astratte di partenza (sia pure scientificamente fondate), alle prove di resistenza avanzate dall'esperienza concreta in relazione al caso clinico, con l'eventuale scostamento del contegno terapeutico dai canoni del sapere cristallizzato (o anche solo con l'opportuno adattamento di questo), ove imposto alla luce concreta delle evidenze del caso”.

Si tratta all’evidenza di pronunce tutte afferenti a fatti antecedenti all’entrata in vigore della L. n. 24/2017 (c.d. Legge Gelli-Bianco, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 17 marzo del 2017 ed entrata in vigore dal 1° aprile 2017) e quindi all’introduzione dell’art. 590 sexies c.p., che, tra le altre, ha previsto un preciso procedimento riconoscitivo e selettivo delle linee guida giuridicamente rilevanti. La Legge Gelli-Bianco, infatti, ha introdotto una procedura di accreditamento delle linee guida di natura istituzionale, che ne assicuri allo stesso tempo affidabilità scientifica ed estraneità a potenziali od attuali conflitti di interessi di chi le redige, vere ragioni alla base dell’iniziale diffidenza della giurisprudenza nei confronti delle linee-guida.

Ci si potrebbe quindi chiedere che valore ermeneutico possa avere la sentenza in commento, atteso che essa riguarda fatti antecedenti all’entrata in vigore della citata Legge Gelli-Bianco, la quale, nel prevedere una procura istituzionale di selezione delle linee guida giuridicamente rilevanti ai fini dell’accertamento della penale responsabilità del sanitario, supera i dubbi in ordine alla validità salvifica del loro rispetto da parte del sanitario, connessi alla natura delle linee guida osservate.

Il dubbio è sciolto dalla stessa Corte di Cassazione in esame, la quale, lungi dal sottovalutare il problema della compatibilità dei propri principi con la novella normativa c.d. Legge Gelli-Bianco, ne ha chiaramente affermato la conformità.

L’avallo normativo nella Legge Gelli-Bianco.

Sebbene il caso sub iudice non rientrasse, ratione temporis, nell’ambito di applicazione della Legge Gelli-Bianco (l. n. 24 del 8.3.2017), la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha colto l’occasione per chiarire, ancora una volta, la natura e la funzione delle linee-guida, muovendo proprio dal dato normativo di cui agli artt. 5 e 6 della citata Legge del 2017.

L’art. 5 della c.d. Legge Gelli-Bianco, rubricato “Buone pratiche clinico assistenziali e raccomandazioni previse dalle linee guida”, stabilisce al primo comma che gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, “salve le specificità del caso concreto”, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali.

Come noto, il successivo art. 6 della L. n. 24/2017 ha introdotto l’art. 590 sexies c.p., il quale, oltre ad estendere le pene previste per i reati di omicidio colposo e di lesioni colpose alla responsabilità colposa per morte o lesioni in ambito sanitario, ha abrogato il previgente art. 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189 (c.d. Legge Balduzzi), ridefinendo l’ambito della punibilità per gli esercenti la professione sanitaria, e stabilendo, per l’effetto, la non punibilità nei casi di colpa per imperizia, quando il sanitario ha rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali “sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Da una lettura sistematica delle norme citate, la Corte di Cassazione evince il principio per cui anche secondo la disciplina introdotta dalla Legge Gelli-Bianco, la mera osservanza delle linee guida da parte del sanitario non è di per sé elemento sufficiente ad escluderne la responsabilità penale, dovendosi altresì vagliare le altre circostanze del caso concreto che potrebbero imporre comportamenti diversi o ulteriori rispetto a quelli cristallizzati dai protocolli medici ufficiali.

Lo spostamento dell’attenzione dalle linee guida alle concrete condizioni del paziente.

I diversi orientamenti giurisprudenziali che si sono succeduti nel tempo sul tema della responsabilità penale in ambito medico (e, per contro, sulla causa di non punibilità), traggono tutti origine dal bilanciamento dei due diversi interessi in gioco: da un lato quello del medico ad operare liberamente, senza il timore della c.d. “medicina difensiva” e. dall’altro. quello del paziente, titolare del diritto costituzionale di cui all’art. 32 Cost.. 

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione sembra voler confermare la propria propensione garantista verso il paziente, rifiutando ogni automatismo tra l’asettica osservanza di astratte linee guida (per quanto, dopo il 2017, autorevolmente formalizzate ed avallate) e l’esclusione della penale responsabilità dell’esercente la professione sanitaria. L’agente modello proposto dalla nomofilachia della Corte di cassazione non è il medico “burocrate”, superficialmente diligente, attento ai “protocolli”, bensì il medico che, pur ben conoscendo le leges artis di sua competenza, è attento al proprio paziente, da valutarsi potenzialmente come caso singolo, le cui cure non sempre sono incasellabili in procedure standardizzate, uguali per tutti i pazienti e per tutti i medici.

Il pensiero va al c.d. “paradosso delle linee guida” riportato dall’editoriale Federspil e Scandellari, con le cui parole si vuole concludere questa riflessione su un tema tanto delicato quanto difficile, se non altro per i diritti sottesi, sia con riferimento al diritto alla salute (del paziente) sia con riferimento al principio di colpevolezza (del medico): “Se le regole che costituiscono le linee guida sono generiche ed elastiche, allora possono essere rispettate, ma non sono utili e non sono molto diverse dai capitoli di un trattato. Se invece le regole sono specifiche e rigide, allora devono spesso essere violate per il bene del paziente”(1).


 1. G. Federspil - C. Scandellari, Le linee guida nella pratica clinica: significato e limiti, in Professione Sanità Pubblica e Medicina Pratica, 1996, 4, 1 ss..


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