Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  06/09/2021

Reddito di libertà e violenza economica - Giuseppe Piccardo

Il 20 luglio scorso è stato pubblicato  sulla Gazzetta Ufficiale il D.P.C.M. 17 dicembre 2020, che    istituisce e disciplina il c.d. “Reddito di libertà per le donne vittime di violenza 

La suddetta misura economica prevede l’erogazione di un emolumento pari ad euro 400,00 mensili, per un massimo di 12 mesi,  cumulabile con il reddito di cittadinanza, a favore delle donne vittime di violenza sole o mamme di figli minori, seguite da centri antiviolenza riconosciuti a livello regionale o dai servizi sociali dei Comuni di residenza.

 Il Reddito di libertà viene erogato su domanda della donna che, a seguito di maltrattamenti o atti violenti, si trovi in una situazione familiare tale da non consentirle di poter provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, previa verifica della situazione di necessità da parte del Servizio sociale competente per territorio.

La misura in oggetto non ha finalità meramente assistenziale in situazioni straordinarie e particolarmente gravi, vale a dire lo scopo di sostegno  immediato al reddito per tutte quelle donne che, per particolare vulnerabilità  e/o  a seguito dell’emergenza sanitaria in corso,  si trovino in situazioni tali da non consentire di poter garantire una vita dignitosa a sé stesse ed ai propri figli. Infatti, l’obiettivo del sostegno pubblico è quella di permettere, in tempi ragionevolmente brevi, l’inserimento o il reinserimento di  queste donne in un contesto lavorativo  che permetta loro di poter provvedere alle esigenze familiari e di poter, conseguentemente, sviluppare una socialità che permetta loro di uscire da contesti di violenza fisica, psicologica e di degrado sociale.

Se da un lato, il reddito di libertà può sembrare poco incisivo, considerato l’importo erogato ed il lasso di tempo, molto breve, di corresponsione, da un altro angolo visuale si può argomentare che esso concorra a dare evidenza al fenomeno della violenza economica, fenomeno molto diffuso e non meno grave e degradante di quello della violenza fisica e psicologica.

La violenza economica si manifesta con atti di controllo continuo del comportamento di una persona in relazione all’utilizzo ed alla distribuzione del denaro, con minacce di negazione delle risorse economiche o con impedimento per la vittima di violenza di poter trovare un’ occupazione e, conseguentemente, di poter godere di un’entrata economica personale, derivante dal proprio lavoro.

Di fatto, questa forma di violenza è finalizzata ad impedire l’indipendenza economica, al fine dell’esercizio esclusivo della gestione e dell’utilizzo delle risorse economiche familiari.

Dunque, un atteggiamento molto umiliante e degradante, spesso associato a violenze fisiche e psicologiche che costringono le vittime di questi atti a subire situazioni di profondo disagio materiale e morale.

La recente chiusura forzata, unitamente all’impossibilità di qualsivoglia spostamento fuori casa, in conseguenza della pandemia ancora in atto, ha costretto molte persone, soprattutto donne, a subire violenze di ogni genere tra le mura domestiche e, spesso, a non poter lavorare per accudire figli e familiari, con conseguente riduzione in termini di capacità lavorativa e di reddito.

Il DPCM in commento, contribuisce a gettare luce su tutte queste problematiche, seppur mediante la previsione di misure, ad avviso dello scrivente, molto circoscritte e non sufficienti a risolverle in modo compiuto e definitivo. Tuttavia, il “Reddito di libertà per le donne vittime di violenza” costituisce un primo passo ed una presa di coscienza di un grave fenomeno, quello della violenza economica, che seppur in modo più subdolo, rispetto alla violenza fisica, distrugge l’equilibrio pisco  - fisico di molte donne e le prospettive di vita futura di molti minori.




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