“Addio agli scenari baronali, dominanti un tempo in Italia”.
Il primario che attraversa la corsia a larghi passi, circondato da assistenti devoti. Un’occhiata rapida alla cartella clinica, verso i degenti un pathos di mestiere.
Non troppi riguardi per la sensibilità di chi aspetta, sotto il lenzuolo - per le esigenze di pudore, riservatezza.
Informazioni sul da farsi in codice; il consenso come rapida firma sotto un modulo. Nome e cognome apposti, dal malato, non comprendendo bene il cosa e il come; a volte neanche avendo letto i capoversi scritti in piccolo.
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“Oggi si rifiorisce, si incomincia in teoria; lungo i reparti, in ambulatorio”.
Chi già era così, fra medici e paramedici, si sente rinfrancato.
Sincerità quanto alla diagnosi, schiettezza nella prognosi. Si esplicitano opportunità, controindicazioni, si parla di costi, di vitto, di effetti collaterali, di paure; rispetto per chi preferisce ignorare come sta, di che malattia soffre esattamente.
Il tempo della comunicazione eretto a tempo di cura. Gli infermieri a rincuorare, delicati nei modi, non c’è fretta: lo specialista che prende nota, sfiora una mano, non prevarica.
Si soppesano i rivoli, l’empatia comanda, sulla carta almeno: accenti lievi, poco accademici, suoni felpati nella stanza, meno invasive le pillole.
C’è alleanza, non può non esserci.