-  Redazione P&D  -  13/05/2015

QUAL È LA PORTATA POLITICA DEL DOVERE DI ESSERE FEDELI ALLA REPUBBLICA? - C.Cost.10/3-30/4/2015 n.70 - Francesco Paolo ROSSI

Qual è la portata politica del «dovere di essere fedeli alla Repubblica» per le personalità e per i membri degli organi istituzionali riguardo agli obblighi, soprattutto di natura finanziaria, imposti dai Trattati dell"Unione europea?

E' il quesito che si pone Francesco Paolo Rossi, Professore emerito di diritto del lavoro dell"università Ca" Foscari di Venezia, a cui dà risposta nell'interessante articolo che pubblichiamo di seguito.

 

La sentenza della Corte costituzionale 10 marzo-30 aprile 2015, n. 70, ha sollevato forti dubbi sulla fondatezza giuridica delle motivazioni poste alla base di una decisione "esplosiva" quanto alle conseguenze economiche con immediato danno all"Erario. Afferma la Corte come la disposizione concernente l"azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24 dell"art. 25 del convertito Decreto-Legge n. 201 del 2011, si sarebbe limitata a richiamare "genericamente" la «contingente situazione finanziaria», senza che fosse emersa dal disegno complessivo «la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento», nei cui confronti si sarebbero effettuati «interventi così fortemente incisivi». Sottolinea, poi, che «l"interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata».

Sorprende la denunciata estraneità della stessa Corte alle cause originanti gli impegni politico-finanziari dell"Italia, assunti il 26 ottobre 2011 al vertice dei leader dei 27 Paesi dell"Unione europea. Molto probabilmente gli anzidetti impegni non hanno avuto risonanza alcuna dentro il Palazzo della Consulta, anche se tutto il popolo italiano dovette assistere a iniziative di singoli Stati membri lungo un solo esclusivo percorso e precisamente quello della finanza per la sopravvivenza delle imprese bancarie e di quelle assicuratrici. Com"è possibile aver dimenticato che, all"epoca, la crisi finanziaria stava trascinando, nell"impoverimento strutturale, fondamentali segmenti delle attività produttive e dei servizi del terziario con il crollo delle risorse economiche e con lo spegnimento, a larghe macchie, delle commesse di lavoro? Piombammo, invero, in una strisciante e ondivaga recessione, che eccitò, particolarmente in Europa, una sorta di aggressione sui sistemi della finanza pubblica di Stati già deboli o indeboliti dal terremoto economico prodotto dalla crisi globale. Ciò che emerse nel tempo, con specifico riferimento all"Unione europea, furono l"assenza di una chiara politica di coesione e il rifiuto, mai peraltro reso esplicito, di adottare, a livello europeo, revisioni e aggiustamenti dell"aggregato comune delle operanti istituzioni.

I ritardi e la riluttanza a provvedere, con l"immediatezza richiesta dalle scottanti circostanze, suscitarono perplessità e contrasti nei e tra organismi europei, da una parte, e i Governi nazionali, dall"altra. Questo vuoto politico-istituzionale, però, fu riempito dalla Banca Centrale Europea, che intervenne per portare aiuto alla crisi greca, a quelle irlandese e portoghese, ma pure alle tensioni che avevano colpito la Spagna e l"Italia in termini di crisi del debito sovrano. A ben vedere, ritenemmo che fosse stata proprio l"irreversibilità della scelta dell"euro a condurre gli Stati membri a prendere coscienza del fatto che la moneta comunitaria costituisse un pilastro assolutamente irrinunciabile della stessa Europa unita. Certo fu che l"approfondimento sui fattori, che concorsero ad alimentare la crisi economica, finì per denunciare i gravi limiti di un sistema finanziario internazionale, che aveva fornito a tanti osservatori l"illusione di potersi arricchire senza impresa e senza lavoro. Non mancò, tuttavia, la condanna avverso una sorta di aggregati bancari "in ombra", i quali tendevano a minimizzare il valore delle scelte dell"individuo umano, il quale operava nel sistema economico-finanziario, riducendo queste scelte a mere variabili tecniche.

Il peggiorare dei mercati finanziari con «Italia sotto tiro» fu avvertito alla riapertura dei mercati finanziari di lunedì 31 ottobre 2011, in quanto si ebbe l"impressione di pensare come, dopo la Grecia, l"Italia potesse divenire l"anello debole dell"euro, mentre una certa crisi sulla fiducia aveva fatto salire i rendimenti dei Btp al di sopra del 6,1 per cento e lo spread sui Bund tedeschi a 410 punti. Tale preoccupante situazione sollecitò il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e il Governo a dover dare compiutezza agli impegni assunti nel ricordato vertice di Bruxelles e a evitare di partecipare alla riunione del G20 del 3 novembre 2011 senza aver prima proceduto ad ancorare il nostro Paese al realismo di una manifesta linea politica di rigore e di sicura tempestività sulle cose da fare. "Fare presto e bene" fu, difatti, l"appello che uomini della cultura politica ed economica (G. AMATO, R. PRODI, A. QUADRO CURZIO e P. SAVONA) lanciarono dal quotidiano Il Sole 24 Ore del 2 novembre 2011 a causa dell"«allarme Italia». Essi ammonirono come ogni ritardo nell"adozione di provvedimenti immediati e quantitativamente adeguati a fronteggiare l"emergenza avrebbe prodotto conseguenze irreversibili per l"intero Paese e le nostre banche per prime sarebbero potute uscirne depauperate e paralizzate nella loro essenziale funzione di finanziamento delle imprese produttive. Si avvertì così di essere sull"orlo di un già temuto baratro e il pericolo di un insuccesso di un"asta di titoli pubblici non sarebbe risultato più un mero ipotetico rischio. Toccante risultò, però, l"incoraggiamento di Carlo Azeglio Ciampi, il quale, premettendo «guai a dimenticare chi siamo», disse che «anche l"Italia, anche noi, abbiamo lo spirito, la tenacia, le risorse che servono per recuperare quella fiducia che oggi appare incrinata, quella credibilità che oggi sembra scomparsa».

«La contingente situazione finanziaria» non può essere valutata come «genericamente» richiamata dalla disposizione di legge ritenuta costituzionalmente illegittima, a meno che non si voglia dar luogo ad affermare uno spazio politico-costituzionale, capace di ribaltare la verità storica delle cose.

Al momento, sugli effetti finanziari della sentenza de qua, la Commissione europea sta osservando molto attentamente le mosse legislative urgenti che il Governo italiano intende realizzare. Il ministro dell"Economia, Pier Carlo Padoan, nell"intervista rilasciata ai giornalisti de "Il Messaggero", Andrea Bassi e Osvaldo De Paolini, il 10 maggio 2015, pp. 2 e 3, alla domanda se il Governo avesse calcolato qual è il reale peso sul bilancio dei rimborsi che dovranno avere un impatto contenuto sui conti, ha proclamato un "messaggio" su quanto ancora non si sarebbe capito, nei seguenti termini:

"Più che dare dei numeri voglio sottolineare che se si dovesse ripristinare totalmente l"indicizzazione sulle pensioni, l"Italia si troverebbe a violare simultaneamente il vincolo del 3%, l"aggiustamento strutturale e la regola del debito. Quest"ultimo, che sta iniziando a scendere, ricomincerebbe a salire, e la Commissione ci metterebbe immediatamente in procedura d"infrazione, sia per il deficit che per il debito. Con conseguenze per noi gravissime".

Una cosa è certa ed è che la Corte, con il richiamato avverbio «genericamente», avrebbe fatto un salto logico tra tutto quanto accadde per l"Italia nei mesi di ottobre e novembre 2011 e il rischio di veder incollocati i titoli del nostro Stato nei mercati finanziari di quest"ultimo mese. E invero, il verificarsi di un tale evento avrebbe provocato serie difficoltà all"INPS circa il pagamento della 13.ma mensilità ai pensionati che erano, in numero di milioni, a suo carico.

Ecco che nell"analisi fatta dal Prof. Romano Prodi su "I confini della Consulta e le priorità del Governo" in Il Messaggero del 10 maggio 2015, pp. 1 e 14, condividiamo a pieno le sue penetranti argomentazioni sul delicato e complicato cammino per il Governo in ordine alla messa a punto del provvedimento sui rimborsi per la perequazione pensionistica riferita agli anni 2012 e 2013, ma evitando di creare un irresponsabile contrasto rispetto alla norme d"imperio comunitario. "Dovrà essere ad esempio il Governo a decidere se sia opportuno distribuire più risorse a favore del sostegno alle pensioni o dell"aiuto all"occupazione delle classi giovanili, mentre la Corte dovrà giudicare se queste difficili scelte siano messe in atto nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi di "eguaglianza e ragionevolezza". Nei mobili confini della vita politica non è facile definire con precisione questi diversi compiti" (ivi, p. 14).

Detto questo, indichiamo, come imprescindibile tratto di quei mobili confini, il «dovere di fedeltà alla Repubblica», di cui all"art. 54 della Costituzione, rammentando alla Corte come «il trattamento di quiescenza» non possa assolutamente essere inteso «quale retribuzione differita».




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