-  Redazione P&D  -  03/06/2017

PSICOTERAPIA: LA FIDUCIA E LA SPERANZA - Sara COSTANZO

Uno dei primi elementi che siamo chiamati a valutare nel corso di una terapia è la "fiducia" che l'altro ripone in noi e nell'esperienza della terapia stessa. Nel mondo della psicoterapia la fiducia è sostanzialmente la risposta ad un "incontro" ed implica, a mio avviso, due tipi di valutazione: una per cosi dire "generica" e dunque relativa alla competenza del terapeuta e l'altra più specifica e cioè relativa al tipo di relazione che si è creata con quello specifico professionista. Questi due tipi di valutazione s'influenzano a vicenda e, nella riposta di un particolare paziente, tendono sostanzialmente a coincidere. Detto in altri termini più sento che quella persona è in grado di cogliere degli aspetti per cosi dire generali dell'animo umano e della malattia mentale, più sento che può rispondere al mio bisogno di cambiamento. Più sento che è capace di entrare in contatto con me, più mi appare competente nel suo lavoro.

Com'è facile immaginare il paziente non resterebbe con noi (e noi con lui) se nel presente della relazione terapeutica non intravedesse la promessa di un cambiamento futuro. La prima cosa che possiamo osservare e' dunque che la speranza di una guarigione futura poggia sulla certezza di una relazione presente.

Ma cosa vuol dire "certezza" di un incontro presente?

Spesso, nella pratica clinica, osserviamo una forte disgiunzione tra il processo volitivo e quello cognitivo. E' come se il paziente percepisse l'autenticità del proprio essere e "benessere", ma mancasse della volontà di aderivi. Ed è altrettanto facile osservare come questa scissione provochi una perdita d'energia, un blocco, una paralisi, una fatica di vivere e rimettere in moto il tempo e l'azione. Molti pazienti (o per essi, le forme di disagio che ci portano) definiscono questa sensazione come un "tempo fermo". Nella realtà della relazione terapeutica questi due aspetti tornano invece a coincidere e questa sensazione porta con sé la certezza di poter "stare" nel presente in un modo attivo, di tollerare la fatica, e soprattutto l'incertezza del futuro.

Se ci soffermiamo  su quest'ultimo aspetto possiamo osservare che la certezza della relazione presente non toglie al futuro quella sua caratteristica di mistero che lo contraddistingue. Detto in altri termini, essere certi che la relazione mi condurrà a qualcosa che sento come intimamente mio, non vuol dire avere chiara la forma che questa novità assumerà. Se guardiamo bene questa sottile distinzione segna (sia nel lavoro del terapeuta sia nella storia del paziente) la differenza tra fiducia e controllo. Ma non solo: questa dinamica "spiega" anche l'importanza dell'immaginazione come cartina tornasole del procedere della terapia.

Un esempio potrà esserci di aiuto.

Rosa arriva in ambulatorio accompagnata dalla madre e dal padre a causa di una difficoltà a gestire un problema "fisico" che le crea difficoltà a muoversi autonomamente. Nonostante la giovane età, Rosa vive, infatti, per lo più a contatto con i genitori e "stesa sul divano" a guardare la televisione. Già dal primo incontro emerge una struttura familiare caratterizzata da un forte invischiamento: in quest'ottica, la difficoltà fisica della paziente è la manifestazione di una mancanza di autonomia ben più ampia. I genitori dal canto loro, sebbene sembrino accorgersi delle difficoltà della figlia manifestano sulla questione grosse ambivalenze.

Dopo circa un anno di terapia Rosa ha fatto piccoli tentativi di relazionarsi all'esterno e ha instaurato con la terapeuta un rapporto di fiducia. Prima delle vacanze la famiglia di R. porta in seduta una discissione riguardante la scelta della sistemazione:

Paziente: Non mi va di andare in una casa e stare sola con papà e mamma. Mi piacerebbe un posto nostro ma all'aperto...una casetta in un villaggio...

Terapeuta (rivolto ai tirocinanti, che usa come elemento del sistema): sapete come si chiama questo desiderio? ..."sognare"...R. ha ragione a voler stare per conto suo ...e anche a voler stare in un posto dal quale può guardare la vita degli altri...E immaginare...come potrebbe essere lei al loro posto, cosa fanno i ragazzi in spiaggia...

Paziente: si ...è vero...

Questa manovra terapeutica può essere letta all'interno della dinamica di fiducia sopra descritta: la ridefinizione della terapeuta (immaginare) si basa su un'incertezza (la ridefinizione non è in tutto sovrapponibile agli schemi di pensiero del paziente) che trova il suo senso (e dunque la possibilità di essere colta, sentita come propria, e, sebbene non del tutto comprensibile, rispondente alle mie esigenze) nella certezza presente di quella relazione terapeutica.

Nel caso di Rosa la capacità di immaginare un cambiamento è vista dunque quale "sintomo" di un movimento esistenziale importante. In questo senso, ai fini diagnostici, essa è (anche) segno di un cambiamento della paziente che si riferisce al modo di stringere legami. E' dunque la fiducia nella relazione presente (quella con la terapeuta) e un diverso modo di fare legame con i membri della famiglia che porta Rosa a "immaginare" la possibilità di poter "essere" nell' incertezza e nell' esplorazione che il presente le richiede e dunque di poter rischiare di immaginare un cambiamento.

In questo senso, la fiducia nella relazione terapeutica passa attraverso la certezza che ciò che arriverà a noi è un destino non solo nostro ma sorprendentemente nostro. Un destino cioè in grado di andare oltre le nostre idee o i confini disegnati dal disagio e dunque di stupirci.

Questo tipo di fiducia implica dunque un movimento fuori da me che a me deve necessariamente tornare e in questo percorso genera un senso e una forza che mi permette di stare nel presente e al tempo stesso di poter agire in esso. Nel fidarmi trovo dunque nella realtà dell'incontro (non del terapeuta) la forza, sposto in esso il punto d'appoggio, il perno del mio movimento esistenziale.




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