-  Converso Rosaria  -  24/05/2012

PRINCIPIO ANTIELUSIVO E APPLICAZIONE EX OFFFICIO - Cass. Civ., Sez. Trib., 7393/2012 - Rosaria CONVERSO

La recente sentenza della Sezione Tributaria della Suprema Corte (11 maggio 2012, N. 7393), ha posto nuovamente l"accento su un argomento di grande attualità, in un contesto economico particolarmente sensibile alle vicissitudini finanziarie e patrimoniali di colossi societari capaci di importanti investimenti sia sui mercati regolamentati che su quelli del mercato over the counter.

Nell"ipotesi al vaglio dei Giudici di Legittimità, rileva l"indeducibilità – nella determinazione del reddito d"impresa – della svalutazione, da parte della contribuente italiana, della partecipazione detenuta in una società (con sede in Portogallo) controllata fiscalmente, la quale - a sua volta - aveva svalutato la propria partecipazione in una propria controllata (con sede alle Bahamas) a seguito delle perdite conseguite da quest"ultima, titolare di uno stabilimento conferitole dalla controllante portoghese. L"accertamento avviato dal competente ufficio finanziario fondava, infatti, la rettifica del reddito d"impresa sulla diretta applicazione del D.P.R. 917/1986, art. 61, co. 3bis. In particolare, si censurava la svalutazione della partecipazione indiretta della società italiana a quella bahamese.

Tutti i Giudici chiamati ad esaminare il caso e, pertanto, sia la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che la Corte d"Appello e, da ultimo, la Cassazione, hanno concordemente sancito l"elusività dell"operazione perpetrata dalla contribuente, richiamandosi, per un verso, agli artt. 61, co. 3bis del D.P.R. 917/86 E 37bis, commi 4 e 5, del D.P.R. 600/73, per altro verso, al più generico principio - di derivazione giurisprudenziale - del divieto di abuso del diritto.

L"accertamento dell"Agenzia delle Entrate e la sentenza di prime cure, in vero, avevano avuto ad oggetto l"asserita violatio – da parte della società contribuente – del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 61, comma 3bis, il quale dispone che "Le riduzioni di valore di cui alla lettera b), del comma 3, relative ad azioni e titoli similari emessi da società ed enti residenti in Stati non appartenenti alla Comunità europea sono ammesse, sempre che siano in vigore accordi che consentano all'Amministrazione finanziaria di acquisire le informazioni necessarie per l'accertamento delle condizioni ivi previste".

La Corte d"Appello, nel pronunciarsi, procedeva -invece - all"applicazione del costrutto originato dalla pratica giudiziaria, per nulla condiviso dalla contribuente, che, pertanto, lo censurava in sede di legittimità, ritenendo superato dalla presenza, nell"ordinamento italiano, di una norma antielusiva ad hoc, id est l"art. 37bis del D.P.R. 600/73.

Quest"ultima – rubricata, giustappunto "Disposizioni "Antielusive" – dispone che: " 1. Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. 2. L'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell'ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni: a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili; b) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende; c) cessioni di crediti; d) cessioni di eccedenze d'imposta; e) operazioni di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544 , recante disposizioni per l'adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni; f) operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni, aventi ad oggetto i beni ed i rapporti di cui all'articolo 81, comma 1, lettere da c) a c-quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 . 4. L'avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2. 5. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 42, l'avviso d'accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente e le imposte o le maggiori imposte devono essere calcolate tenendo conto di quanto previsto al comma 2. 6. Le imposte o le maggiori imposte accertate in applicazione delle disposizioni di cui al comma 2 sono iscritte a ruolo, secondo i criteri di cui all'art. 68 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 , concernente il pagamento dei tributi e delle sanzioni pecuniarie in pendenza di giudizio, unitamente ai relativi interessi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale. 7. I soggetti diversi da quelli cui sono applicate le disposizioni dei commi precedenti possono richiedere il rimborso delle imposte pagate a seguito dei comportamenti disconosciuti dall'amministrazione finanziaria; a tal fine detti soggetti possono proporre, entro un anno dal giorno in cui l'accertamento è divenuto definitivo o è stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale, istanza di rimborso all'amministrazione, che provvede nei limiti dell'imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure. 8. Le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione. Con decreto del Ministro delle finanze da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400 , sono disciplinate le modalità per l'applicazione del presente comma ".

La Corte, di fronte alle censure mosse dalla contribuente, evidenzia che l"ordinamento tributario si ispira, precipuamente, all"urgenza di contrastare l"«abuso del diritto», che si traduce, in tale ambito, in un principio generale antielusivo, atto a precludere al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l"uso distorto – ancorché non contrastante con alcuna specifica disposizione – di strumenti giuridici idonei ad ottenere, in assenza di ragioni economiche apprezzabili che possano giustificare l"operazione medesima, un"agevolazione o un risparmio d"imposta.

Il principio de quo, individuato dalla giurisprudenza comunitaria per garantire la piena applicazione del sistema comunitario d"imposta, ha, pertanto, natura sovranazionale: i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme di diritto.

Sia la Corte di Giustizia Europea, che la stessa Corte di Cassazione, in più di un"occasione e, segnatamente, in relazione ai tributi armonizzati, si sono pronunciate decretando che le pratiche abusive consistenti nell"impiego di una forma giuridica, o in un regolamento contrattuale, al fine di realizzare quale scopo principale, ancorchè non elusivo, un risparmio di imposta, consistono in "abuso di diritti fondamentali garantiti dall"ordinamento comunitario" e, pertanto, assumono rilievo normativo primario in tale ordinamento, indipendentemente dalla presenza di una clausola generale antielusiva nell"ordinamento fiscale italiano (si cfr.no, in particolare, Cass. SS.UU. n. 30055/08, 30056/08 e 30057/08 del 02 dicembre 2008; ma anche Cass. Sez. Tr. 21 maggio 2008, n. 25374). Il contrasto all'elusione fiscale può, quindi, passare attraverso la nozione di derivazione comunitaria di abuso del diritto.

I Giudici, chiamati ad esprimersi nel caso di specie, avallano l"indirizzo di recente affermatosi nella giurisprudenza sia della Sezione tributaria che delle Sezioni Unite (si v.no, in particolare, Cass. SS.UU. n. 30055/08, 30056/08 e 30057/08 del 02 dicembre 2008; ma anche Cass. Sez. Tr. 21 maggio 2008, n. 25374 e Cass. Sez. tr. 10257/08), fondato sul riconoscimento dell"esistenza di un generale principio antielusivo, con la precisazione che la fonte di tale principio, in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette (nella fattispecie "imposte sul reddito"), va ricercata, altresì, negli stessi principi costituzionali, che informano l"ordinamento tributario italiano. Ed in effetti, i principi di capacità contributiva (art. 53, primo comma, Cost.) e di progressività dell"imposizione (art. 53, secondo comma, Cost.) costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo - anche tali ultime norme - evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi. Né tale principio contrasta con quello della riserva di legge in materia tributaria (art. 23 Cost.), dal momento che si concreta nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo, o preminente, fine di eludere l"applicazione di norme fiscali. Il principio de quo, pertanto, implica l"inopponibilità del negozio stesso all"amministrazione finanziaria, per qualsivoglia profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente, in qualche modo, pretenda far discendere dall"operazione elusiva, anche diversi da quelli tipici presi in considerazione da specifiche disposizioni antielusivo.

Il rango comunitario e costituzionale del principio del "divieto di abuso del diritto" ne legittima, quindi, l"applicazione - anche d"ufficio - da parte dei Giudici chiamati a decidere, a prescindere dalle allegazioni delle parti.

Nel caso oggetto della sentenza in commento si censura, di conseguenza, il comportamento di evasione d"imposta, mediante la riduzione del reddito tassabile conseguente alla riduzione del valore della propria partecipazione in una società indirettamente controllata, e lo si censura sia ipotizzando una violazione diretta di una norma (id est D.P.R. 600/73, art. 37bis e D.P.R. 917/86, art. 61, co. 3bis ), sia costruendo una fattispecie fiscalmente atipica del tutto equiparabile a quella tipica prefigurata dalla norma tipica. All"ipotesi concretizzatasi in una fattispecie elusa (violatio normae singularis), quindi, è stato, di fatto, equiparata quella della fattispecie elusiva, conseguente all"avere, la contribuente, dato vita ad un"operazione negoziale che - sempre in via indiretta – ha prodotto il medesimo risultato – in termini di risparmio d"imposta – della fattispecie tipica di evasione fiscale.




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