-  Cesare Fossati  -  16/07/2016

Presenta un grave deficit: si passi ad interdirlo. Tribunale di Savona, 3 maggio 2016 - Cesare Fossati

Nel tentativo di dare una spiegazione alla perdurante coesistenza delle differenti misure di protezione ancora in vigore nel nostro ordinamento, il Tribunale di Savona prova a fornire la sua versione interpretativa.

Chi scrive è convinto che gli sforzi della giurisprudenza nella specifica materia siano diretti a colmare un manifesto errore di sistema, non essendovi alcuna valida ragione per perseverare con strumenti di protezione che sono palesemente fungibili fra loro.

 

 

Illuminante sul punto è la carrellata dei casi giurisprudenziali minuziosamente individuati dall'avvocato Claudio Tagliaferri e trasfusi nella sua encomiabile opera (l'amministrazione di sostegno nell'interpretazione della giurisprudenza – La Tribuna 2015) che dimostrano l'assoluta irriducibilità ad un canone univoco d'interpetazione dei casi sussunti indifferentemente sotto le categorie dell'amministrazione di sostegno, dell'inabilitazione, dell'interdizione.

Ma in assenza di un intervento legislativo che ponga fine a questa sorta di schizofrenia giurisprudenziale, si può solo confidare nell'opera di orientamento della Suprema Corte.

Accade così che un normale ricorso per amministrazione di sostegno impatti con una realtà giudiziaria che suggerisce l'interdizione perchè il malato è troppo grave.

Si chiude così il fascicolo dell'amministrazione di sostegno e si avvia una procedura, teoricamente più garantita perché di fronte al Tribunale in composizione collegiale, che tuttavia potrebbe comportare, a seconda della sensibilità del giudicante, un ulteriore rimando. Ma non è quello che accade nel nostro caso.

Sostiene il Tribunale di Savona nella pronuncia in commento che l'interdizione sancirebbe una relazione particolare fra tutore (rappresentante) e tutelato (analogamente al genitore nei confronti del figlio minore), tale da rendere rilevante il dovere di preoccuparsi di un altro soggetto.

In quest'ottica il tutore avrebbe l'obbligo di prendersi cura del tutelato, di reperire un'adeguata collocazione (art. 371 c.c.) e di individuare modalità di assistenza (cd. progetto personalizzato) coinvolgendo il tutelato, ma anche imponendosi contro la sua volontà.

In questo consisterebbe il quid pluris che l'interdizione potrebbe assicurare, ai sensi dell'art. 414 c.c. in presenza di un'abituale infermità cui necessita una rappresentanza integrale nella gestione di tutti i propri interessi.

Ci sia consentito dissentire da tale prospettiva.

L'abituale infermità non pare essere il criterio individuato dalla Consulta prima, dalla Corte di Cassazione poi per giustificare la pur residua applicabilità delle vecchie misure incapacitanti.

La giurisprudenza, specie di merito, ha oscillato molto in questi anni nel definire i confini intercorrenti tra le misure di protezione delle persone incapaci previste dall"ordinamento.

Numerosi giudici di merito hanno ravvisato, quale criterio discretivo tra gli istituti, il diverso grado di incapacità del soggetto, sostenendo che l"apertura dell"amministrazione di sostegno presuppone necessariamente il coinvolgimento del soggetto debole nella concreta attuazione della misura di sostegno, mentre, allorché manchi ogni possibilità di autodeterminazione del soggetto, la scelta sarebbe obbligata in favore dell"interdizione. 

Questa impostazione è stata criticata dalla dottrina civilistica. Sul punto è intervenuta la giurisprudenza di legittimità. L"orientamento già espresso dalla Suprema Corte sin dal 2006 (Cass. 12 giugno 2006, n. 13584) ha trovato conferma in seguito (sentenza 22 aprile 2009, n. 9628 ma anche più recentemente, 11 settembre 2015 n. 17962), con l"enunciazione del principio secondo cui nel giudizio di interdizione il giudice di merito, nel valutare se ricorrano le condizioni a mente dell"art. 418 c.c., per applicare l"amministrazione di sostegno, rimettendo gli atti al giudice tutelare, deve considerare che rispetto all"interdizione e all"inabilitazione l"ambito di applicazione dell"amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, quanto piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità e alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa, ben potendo il giudice tutelare graduare i limiti della sfera negoziale del beneficiario dell"amministrazione di sostegno a mente dell"art. 405 c.c., comma 5, nn. 3 e 4, in modo da evitare che questi possa essere esposto al rischio di compiere un"attività negoziale per sé pregiudizievole.

Il criterio di riferimento che viene, quindi, individuato dall'organo di nomofilachia è quello funzionale, della adeguatezza della misura allo scopo di protezione del soggetto debole, come peraltro già suggerito dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. 9 dicembre 2005, n. 440).

Nonostante il benevolo intento ci pare che quello della Cassazione sia solo il tentativo di giustificare un legislatore disattento, che son si preoccupa di eliminare un'evidente disarmonia dal sistema, fonte inesauribile di applicazioni difformi su tutto il territorio nazionale.

Il caso di Savona merita un'ultima riflessione sulla opportunità che al destinatario di una così sconvolgente misura afflittiva qual'è l'interdizione, che certamente incide sui suoi diritti fondamentali, venga riconosciuta quantomeno una difesa tecnica, se del caso anche con nomina a cura dell'ufficio.




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film