-  Converso Rosaria  -  21/06/2013

PRESCRIZIONE PRESUNTIVA E CAPACITA' DEL TESTE, Cass. Civ., II, n. 15407/13 - Rosaria CONVERSO

E' stato proposto un singolare quesito di diritto, ovvero «…se la proposizione dell'eccezione di prescrizione presuntiva da parte del convenuto implichi o meno il riconoscimento automatico dell'esistenza del credito fatto valere e nella misura richiesta dal creditore attore…»
La parte ricorrente, nel proporre il relativo quesito, denunciava la violatio dell"art. 2956 c.c.

Come è noto, la ratio della normativa è la tutela del debitore in quei particolari casi in cui il pagamento di un debito avviene senza che il debitore si procuri una quietanza, oppure all'ipotesi in cui, attesa l"esiguità del valore della prestazione, lo stesso non conservi tale quietanza per lunghi periodi.

In ipotesi sìffatte, passato un breve lasso di tempo, si presume che il debito sia stato già soddisfatto e, pertanto, il diritto estinto. I casi di prescrizione presuntiva sono tassativamente previsti dal codice civile agli artt. 2954, 2955, 2956 e 2961.

La Corte, rileva immediatamente l"assoluta inconferenza della denunciata violazione di legge, attesa l"applicabilità, al caso sottoposto all"attenzione dei Giudici, dell"art. 2959 cod. civ., che dispone:«l'eccezione è rigettata, se chi oppone la prescrizione nei casi indicati dagli articoli 2954, 2955 e 2956 ha comunque ammesso in giudizio che l'obbligazione non è stata estinta» e, in relazione a tale diposizione, l'affermazione giurisprudenziale secondo cui «…l'eccezione di prescrizione presuntiva implica il riconoscimento della esistenza del credito nella stessa misura richiesta dal creditore…» va intesa non nel senso che l'eccezione costituisca una ammissione dell'esistenza del credito e del titolo posto a fondamento di essa, ma in quello della «…infondatezza dell'eccezione in presenza di una contestuale contestazione del credito…».

L"altro importante quesito, su cui la Suprema Corte veniva sollecitata, nell"ambito dello stesso giudizio, riguarda la "capacità del teste" ex art. 246 c.p.c., in particolare se: « […] se la persona fisica che abbia la rappresentanza legale di società di capitali sia o meno capace di testimoniare nei giudici nei quali la società abbia un interesse che potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio mediante uno qualsiasi degli interventi previsti dagli articoli 105, 106 e 107 c.p.c.; […] se abbia o meno interesse in causa, e quindi se sia o meno incapace di testimoniare il soggetto, persona giuridica o persona fisica, che avrebbe potuto essere convenuto in giudizio dall'attore in linea alternativa o solidale con il convenuto, quale soggetto passivo della stessa pretesa fatta valere contro il convenuto originario; 3) se sia o meno incapace di testimoniare il soggetto, persona giuridica o persona fisica, che sia legittimato a intervenire in giudizio per sostenere le ragioni proprie della parte contro e a sfavore della quale è chiamato a rendere testimonianza».

La II Sezione ritiene che l'interesse - potenzialmente idoneo - a legittimare la partecipazione del teste al giudizio, previsto come causa d'incapacità a testimoniare dall'art. 246 cod. civ. (norma eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica) si identifica con un "interesse giuridico personale, concreto ed attuale a proporre una domanda o a contraddirvi", sia sotto l'aspetto di una legittimazione primaria, che sotto quello di una legittimazione secondaria, attuabile con l'interesse adesivo dipendente, senza che possa distinguersi fra legittimazione attiva e passiva e fra intervento volontario o a istanza di parte.

Nel caso si specie, era stato fatto valere un inadempimento contrattuale esclusivamente dei convenuti, rispetto al quale non era ipotizzabile alcun interesse della committente dell'edificio, di cui l'E. era amministratore, a partecipare al giudizio (s.v., fra le altre: aCass. n. 14987 del 2012, Rv. 623802, che affronta anche il problema della eventuale responsabilità dell'amministratore nei confronti della società).




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