-  Redazione P&D  -  12/10/2009

POVERI MA TELEFONANTI - Enzo MARIGONDA

Un classico argomento di conversazione oziosa tra amici in vena di dialoghi sui massimi sistemi socio-tecnologici suona più o meno così: tra le rivoluzioni tecnologiche degli ultimi decenni ci ha cambiato la vita più il computer o il telefono cellulare?
Di solito, ci si trova d’accordo che è quest’ultimo ad aver inciso più in profondo sul costume e sui comportamenti, individuali e collettivi. O forse sarà solo una questione di maggiore visibilità?
Gli stravolgimenti indotti dal cellulare sono vistosi, quasi sfacciati, mentre l’influenza del computer è immensa ma rimane per molti aspetti più segreta.

Se ci si limita all’uso privato e agli oggetti puri e semplici – il pc nelle sue varianti (desktop, portatile, netbook, etc.) e il tele/videofonino in tutta la sua genealogia – il confronto in termini di diffusione non si pone neppure: vince a mani basse il “mobile”.
I numeri sono esorbitanti, naturalmente. Ma ciò che impressiona sopra ogni cosa è la velocità di propagazione: niente più del cellulare riesce a dare corpo alla parola ‘globalizzazione’, così logorata dall’uso da aver perduto la sua forza di riferimento alla realtà. Si pensi che nel 2000, su scala planetaria, i cellulari erano 700 milioni circa, mentre a metà del 2009 il numero stimato è intorno ai 4 miliardi di telefoni cellulari (secondo quanto riporta The Economist in un suo recente speciale sulla telefonia nei paesi emergenti).
Anche scontando i casi di possesso multiplo, abbastanza frequenti nei paesi più ricchi, si rimane sui tre miliardi e mezzo di persone.

Sotto il profilo delle logiche economiche, una diffusione così macroscopica trova una spiegazione nell’abbattimento dei costi delle reti, dei sistemi di gestione, etc. Nel corso del decennio il cellulare è diventato molto più abbordabile in tanti paesi che fino a poco tempo fa sembravano tagliati fuori. Oggi il cellulare è un oggetto di uso comune non solo per grandi masse di consumatori asiatici o sudamericani, ma anche per molti cittadini delle nazioni africane più disastrate a causa di guerre civili, corruzione e altre disgrazie.
E’ notevole che proprio i paesi poveri – l’India, in primo luogo, ma anche alcuni paesi dell’Africa – abbiano escogitato nuovi criteri e pratiche di gestione quanto mai ingegnosi per mantenere i costi a un basso livello, compatibile con le risorse locali, al punto da diventare casi di studio, imitati dalle compagnie dei paesi più avanzati.

Ma proprio queste espressioni d’intelligenza e creatività, emerse in quantità da ogni parte, fanno pensare che l’esigenza comune di dotarsi del telefono cellulare, anche nei posti più sperduti e desolati, doveva essere ben forte.
Certo, in molte situazioni il cellulare si diffonde perché non ci sono alternative: la costruzione di una rete fissa è troppo costosa o semplicemente impossibile, anche per carenze sul piano della sicurezza e del controllo del territorio.
E in più va considerata l’importanza preminente delle motivazioni economiche: moltissime forme di scambio, distribuzione, produzione da parte delle microimprese locali sono rese possibili proprio da un minimo di efficienza delle comunicazioni, assente prima del telefonino.
Tuttavia non va sottovalutato il peso dei microbisogni comunicativi individuali: parlare, interagire con gli altri, essere connessi, sentirsi in perenne contatto potenziale, far circolare affetti, parole, immagini, musiche, simboli, eventi è oggi percepito come un bene primario, una conquista che vale qualsiasi sacrificio, qualsiasi rinuncia. Nel cuore dell’Africa, come nel Mato Grosso, possedere un cellulare funzionante è più importante che poter disporre di mezzi di trasporto efficienti, istruzione primaria, acqua corrente in casa.




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