Deboli, svantaggiati  -  Paolo Cendon  -  24/07/2022

Piccole evenienze, grandi chiavi

Chiaro il linguaggio nel descrivere, in alto, i compiti del giudice tutelare. Tenue lo stile di quest’ultimo, nel parlare e nello scrivere: fermo il polso se occorre, negli interventi. Netto l’elenco dei doveri gravanti, in basso, sul gestore; delicate le parole - il più possibile colloquiali, fatte di silenzi, ove occorra, più che di rumore - che quest’ultimo dovrà rivolgere al beneficiario.

Meglio prevedere in capo ai Servizi sociali, dopo ogni incontro con persone in difficoltà, precisi obblighi di segnalazione al magistrato. Meno probabile si verifichino abbandoni, così, sparizioni lungo il territorio; magari di gente persa in quel vecchio edificio, a fine strada,  finestre e balconi sempre chiusi. 

Fare in modo che non occorra - salvo casi particolari (quand’è in gioco la compressione di diritti fondamentali) - la firma di un avvocato per presentare il ricorso introduttivo.

Assicurare a ogni interdetto, che lo voglia, la possibilità di “disinterdirsi” lui in via diretta, presso il Tribunale; permettergli di chiedere da solo, sostitutivamente, l’amministrazione di sostegno. Rimarcare come, a differenza del tutore, l’amministratore è qualcuno che prende decisioni, nella vita dell’assistito; che sa farsi sentire all’occorrenza: sposterà investimenti, se del caso, cambierà banca, affitterà un box, non risparmierà sulle spese voluttuarie, non penserà tutto il tempo agli eredi in attesa, calcolatrice alla mano, dietro l’angolo.

 Sancire come cuore dell’apparato rimanga, in ogni caso, la figura del beneficiario; è a lui che bisognerà guardare, ai suoi cangianti bisogni. Andrà sempre informato, consultato; ammonito se sbaglia, eventualmente  richiamato ai suoi doveri di bravo genitore. Potrà effettuare designazioni, sarà libero di lamentarsi, di esprimere il suo pensiero; di istare per sostituzioni, di chiedere che la misura venga meno: “Sto meglio, basta con le stampelle, ce la faccio da solo”.

 




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