Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  25/07/2021

Pazienti e reato di maltrattamenti per l’infermiere “brusco e frettoloso” – Cassazione  sentenza n. 25116/2021 – Antonella Tamborrino 

La Suprema Corte di Cassazione, con la recente pronuncia n. 25116/2021, riconosce come delittuosa la condotta dell’infermiere che «con fare brusco e frettoloso, mostrandosi insofferente nei confronti delle persone anziane destinate alle sue cure, tiene nei loro confronti una condotta vessatoria e prevaricatrice», integrando il reato di maltrattamenti in famiglia.

Infatti, l’art. 572 c.p., al suo primo comma, sancisce che chi con la propria condotta maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, configura il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi. Prevedendo, al comma successivo, un aumento di pena se il fatto viene commesso in presenza o danno di minori, donne in stato di gravidanza o persona con disabilità ex art. 3 l. n. 104/1992.

Nella pronuncia in parola, il giudice di legittimità, sotto il profilo oggettivo, ha sottolineato la rilevanza dell’insieme delle condotte poste in essere dall’infermiere, che seppur di breve durata, siano idonee nel loro complesso ad integrare un regime di cura che cagioni profonda sofferenza e prevaricazione nei confronti del paziente.

Nel caso di specie, l’infermiera adottava in modo sistematico gestualità violente e non necessarie nelle fasi dell’assistenza all’anziana paziente, utilizzando anche, ripetutamente, espressioni gratuitamente aggressive ed offensive. 

Gli ermellini sanciscono che la situazione determinata da un clima all’interno di una comunità, in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere di soggetti attivi, integri l’abitualità della condotta del reato di maltrattamenti in famiglia.

Sotto il profilo soggettivo, ai fini dell’integrazione di tale ipotesi di reato, non rileva la rappresentazione e programmazione di una pluralità di atti tali da procurare sofferenza fisica e morale alla vittima, ma è sufficiente la coscienza e volontà della ripetitività  e pluralità delle condotte vessatorie e della loro idoneità a ledere la personalità della vittima, risultando del tutto incompatibile, una eventuale mera assuefazione alla gestualità brusca.

Come precisato in precedenza dalla medesima Corte, nel delitto in esame non è necessario che l’agente deliberi di imporre ai soggetti deboli affidati alla sua cura un penoso regime di vita e che determini unitariamente le proprie condotte in maniera strumentale a tale intento, in quanto è sufficiente che le condotte vessatorie siano tenute nella consapevolezza del loro carattere ripetuto e della loro idoneità a determinare una stabile e dolorosa patologia della vita della vita familiare (cfr. Cass. Sez. VI sent. n. 1400/2015). 

Rilevante, in ogni caso, è la consapevolezza di sottoporre il paziente a  mortificazioni e patimenti, morali e fisici, tali da rendere dolorose ed avvilenti le sue condizioni di vita. 




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film


Articoli correlati