-  Gasparre Annalisa  -  05/04/2015

PATTEGGIA LA BANCAROTTA: LA SENTENZA RILEVA ANCHE PER IL RISARCIMENTO - Cass. 6582/15 - A.G.

- fallimento: responsabilità amministratore

- sentenza di patteggiamento

- non fa stato nel giudizio civile ma è un elemento da valutare

 

Dopo un procedimento penale per il reato di bancarotta fraudolenta a carico dell'amministratrice della società che aveva patteggiato la pena, il curatore del fallimento proponeva domanda di risarcimento dei danni cagionati.

I giudici di merito hanno ritenuto provata la responsabilità civile anche sulla base della sentenza di patteggiamento.

Si è affermato che la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p., pur non implicando un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile, contiene comunque un'ipotesi di responsabilità di cui il giudice di merito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare.

Sul tema, su questa Rivista, 25.4.2013, "IL VALORE DEL PATTEGGIAMENTO PER IL RISARCIMENTO CIVILE. MA C'E' ANCORA CHI NON LO SA" - Cass. 9456/2013.

 

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 febbraio – 31 marzo 2015, n. 6582 Presidente Forte – Relatore Didone

Ragioni in fatto e in diritto della decisione

l.- Con la sentenza impugnata (depositata il 2.8.2008) la Corte di appello di Lecce (sez. distaccata di Taranto) ha confermato la decisione del tribunale con la quale - per quanto ancora interessa - era stata accolta la domanda ex artt. 146 l. fall., 2393 e 2394 c.c. proposta dal curatore del fallimento della s.r.l. "Confezioni Bologna" nei confronti dell'ex amministratrice della società fallita, T.C., la quale è stata condannata al risarcimento dei danni cagionati in solido con altro ex amministratore.

La corte di merito ha disatteso le doglianze della convenuta relative all'eccezione di prescrizione dell'azione (perché i fatti risalivano al 1987 e la domanda era stata proposta nel 1991) e alla ritenuta responsabilità, tra l'altro provata dal patteggiamento per il reato di bancarotta fraudolenta.

Contro la sentenza di appello T.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso la curatela fallimentare intimata.

2.1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 146 l. fall., 2392, 2393, 2394 e 2949 c.c. nonché vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, il seguente quesito: se «in caso di azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare nei confronti dell'amministratore, ai sensi degli artt. 146 l. fall. , 2393 e 2394 c. c. il dies a quo ai fini del computo del termine di prescrizione decorre dal momento in cui risultino atti o fatti che oggettivamente denotano l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti». 2.1.1.- Il motivo, prima che infondato (la corte di merito ha evidenziato che nessuna prova era stata fornita in ordine a fatti rivelatori dell'insufficienza del patrimonio sociale prima del fallimento e, comunque, ha fatto risalire al 1987 i comportamenti rilevanti ai fini della responsabilità) è inammissibile per violazione dell'art. 366 bis c.p.c.

Invero, quanto al vizio di motivazione denunciato, manca del tutto la sintesi del fatto controverso (Sez. un., Sez. U, Sentenza n. 7770 del 2009).

Quanto al quesito di diritto, invece, esso è inidoneo, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, in quanto si risolve nella parafrasi della regola di diritto applicabile ed è, dunque, qualificabile come tautologico. Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regula iuris" suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (Cass., sez. un., 30 ottobre 2008, n. 26020, m. 605378). Mentre nel caso di denuncia di vizio motivazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652; Sez. U, Sentenza n. 7770 del 2009).

2.2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2392, 2393 e 2394 c.c. nonché vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito: se «è responsabile l'amministratore, ai sensi degli artt. 2393 e 2394 c.c. (testo previgente), il quale abbia cessato la propria carica contestualmente, ovvero nel medesimo anno in cui si verifica il dissesto economico della società». 2.2.1.- Anche il secondo motivo è inammissibile per violazione dell'art. 366 bis c.p.c., per le medesime ragioni spiegate sub • 2.1.1.

In ogni caso il quesito di diritto è del tutto aspecifico rispetto all'adeguata motivazione sentenza impugnata, la quale ha evidenziato che le condotte ascritte alla ricorrente erano riferibili all'intero anno 1987 (mancata adozione delle delibere conseguenti alla perdita del capitale sociale), peraltro avendo la stessa partecipato (il 16 novembre 1987) all'operazione di dismissione dei beni strumentali della società.

2.3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 444 c.p.p. e 116 c.p.c. nonché vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito: se «premesso che la sentenza di patteggiamento non comporta alcun riconoscimento di responsabilità, può la stessa determinare in qualche modo il formarsi del convincimento del giudice, in un giudizio civile comunque collegato». 2.3.1.- Il motivo è infondato perché la corte di merito si è correttamente attenuta al principio per il quale la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. - pur non implicando un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile - contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità di cui il giudice di merito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare. (Sez. 6 - 3, n. 26263/2011). Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori e spese forfettarie come per legge.




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