-  Redazione P&D  -  11/07/2014

NEUROSCIENZE E DIRITTO NATURALE - Francesco VIOLA

Mettere a confronto il diritto naturale con le neuroscienze è come chiedersi se la vecchia metafisica possa reggere l"impatto della tecnologiapiù raffinata. A molti tale pretesa appare decisamente patetica fino al punto da non essere degna di essere presa in considerazione del tutto. Mi sono reso conto di aver scelto un tema non esplorato quando cercando in internet "neuroscienze e diritto naturale" la prima occorrenza mi rinviava sempre ad un evento che si sarebbe dovuto svolgere a Bologna il 9 marzo 2012 e ad un relatore che si chiamava come me. Se ci fosse stato un pdf allegato, mi sembrava legittimo plagiarlo. Ma non c"era. Se fossi stato versato nelle neuroscienze, avrei potuto forse prevedere ciò che avrei detto. Allora mi sono scoraggiato. Non mi resta che servirmi del vecchio e obsoleto strumentario dell"etica e del diritto naturale.

A prima vista mi sembra che questo tema riguardi i seguenti profili: 1) il rapporto generale fra scienza e diritto, tra la ragione scientifica e la ragion pratica. Sappiamo che la ragione scientifica tende a farsi pratica(o meglio poietica) e così s"incontra con l"etica. Le neuroscienze generano una neuroetica e un neurodiritto, cioè un"etica poietica e un diritto poietico. Ma né l"etica né il diritto sono propriamente parlando delle tecnologie, mentre la neuroetica è un"etica tecnologica (Joseph J. Fins, Neuroethics and the Lure of Technology, in The Oxford Handbook of Neuroethics, 895-907). Quindi, c"è il problema della legittimità di un"etica puramente tecnologica e, in questo caso, anche puramente naturalistica. Siamo ben oltre le c. d. "norme miste" della bioetica.

2) Il secondo profilo riguarda il rapporto fra scienza e antropologia. Se è vero che la scienza non presuppone un"antropologia, ciò non può dirsi per il diritto. Il diritto positivo presuppone solo un"antropologia minima, o alcune costanti antropologiche, basate sull"autodeterminazione e sulla responsabilità. Il diritto naturale, invece, presuppone ed è esso stesso un"antropologia robusta. Se la scienza non permette l"antropologia giuridica, allora non c"è niente da fare. Tuttavia in questo caso si pone il problema se sia legittimo parlare di neuroetica e di neurodiritto, perché si tratta di cose diverse da quelle che siamo abituati a chiamare "etica" e "diritto". Qui c"è almeno l"usurpazione di un"etichetta. Possiamo ammettere che le nostre particolari concezioni etiche e giuridiche sono obsolete, ma qui si tratta di ammettere che il nostro senso generale dell"etica e del diritto lo è. Bisognerebbe almeno trovare altri nomi. Si può dire certamente che la neuroetica si occupa di cose eticamente sensibili quali: 1) la coscienza; 2) il sé e l"essere persona; 3) prendere decisioni, il controllo, il libero arbitrio; 4) comprendere la cognizione morale. Se non fosse mai esistita l"etica, non avrebbe senso usare queste etichette per i problemi della neuroetica. Quindi almeno si può dire che da questo punto di vista la neuroetica presuppone il linguaggio dell"etica normale, anche se non i suoi significati. Questo è consolante, perché vuol dire che secoli e millenni di riflessione etica non sono passati invano.

3) il terzo profilo è più costruttivo e concerne l"eventuale apporto che le nuove conoscenze sul cervello umano possono dare al diritto naturale. Ciò dipende dalla concezione del diritto naturale. Com"è noto, ci sono concezioni non naturali del diritto naturale, come quella kantiana. Per esse tutto ciò che dicono o fanno le neuroscienze è assolutamente irrilevante. Invece per le concezioni naturali del diritto naturale le neuroscienze sono rilevanti, a volte pericolose e a volte alleate. Anzi insieme pericolose e alleate, perché rafforzano l"idea di una normalità di funzionamento che è sempre stata importante per queste concezioni e perché rafforzano una prospettiva funzionalistica che è la controfigura del finalismo, ma anche perché eliminano la normatività etica (anche nel suo aspetto sociale). Certamente, se si potesse dimostrare il ritorno dell"ilemorfismo aristotelico, allora vi sarebbe una buona base per una conciliazione fra le neuroscienze e il diritto naturale. Com"è noto, l"ilemorfismo è in linea di principio compatibile con le neuroscienze, come hanno sostenuto Putnam ("isomorfismo funzionale") e Nussbaum. Ma il rischio è quello di confondere l"ilemorfismo con il funzionalismo.

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Francesco Viola è prof. ordinario di filosofia del diritto presso l'Università di Palermo

Neuroscienze e diritto naturale (draft), Bologna, 9 marzo 2012: Convegno su "Neuroscienze e diritto"




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