-  Rossi Stefano  -  16/12/2009

MENDICITA' E ORDINANZE SINDACALI – Stefano ROSSI

Per esporre l’esito dell’analisi svolta sulle ordinanze sindacali aventi ad oggetto il fenomeno della mendicità, adotterò un taglio giornalistico classico, rispondendo alle 5 domande base per descrivere qualsiasi fenomeno.
Iniziamo dal dove: il tema dell’accattonaggio costituisce una delle materia più ricorrenti e di maggiore intervento da parte dei sindaci dei comuni di varie Regioni, in particolare – fatte le debite proporzioni - in Lombardia rappresenta la terza materia di interesse, in Friuli Venezia, Campania, Puglia e Calabria la seconda, in Liguria quella più gettonata. (Fonte Anci)
Rispondendo alla stessa domanda ma passando al profilo contenutistico, si può notare come in tali ordinanze il fenomeno venga regolamentato sia specificando i luoghi nei quali vige il divieto (individuati quali spazi «sensibili» come ad esempio cimiteri, ospedali ma anche centri commerciali, impianti sportivi …), sia applicando tout court il divieto a tutto il territorio comunale o comunque estendendo la pure prevista individuazione di luoghi a tal punto da ricomprendere di fatto l’intero territorio comunale. Tuttavia, se il sindaco può, a tutela della pubblica incolumità, vietare l’accattonaggio su talune strade o incroci nei quali si siano verificati incidenti o pericoli particolari ad essa connessi, e/o in relazione a taluni soggetti previamente segnalati come pericolosi, non sembra essere dotato del relativo potere di porre in via generale e astratta, su tutto il territorio comunale, il divieto, appunto, generalizzato, di esercizio di un’attività di per sé lecita, a prescindere da determinate modalità o situazioni di concreto pericolo per l’incolumità pubblica.
Così molti luoghi indicati come a rischio lo sono sulla base di elementi che non hanno alcun rapporto con la sicurezza o con l’incolumità pubblica, ma semplicemente si qualificano in relazione a presenze , quelle dei mendici, considerate inopportune, inappropriate o addirittura «illegittime».
Passiamo al quando, rilevando come il tema della mendicità costituisse già oggetto di intervento, tramite ordinanza, da parte dei sindaci anche prima della riforma dell’art. 54 Tuel. E’ indubbio però che dopo il luglio del 2008 vi è stato un incremento delle ordinanze sul tema che rappresentano il 7,4 % di tutte quelle adottate nel corso dell’ultimo anno. Si tratta quindi di un fenomeno estremamente rilevante, che tuttavia si va progressivamente stabilizzando in forme standardizzate di regolamentazione.
La successiva domanda, ossia il classico chi, attiene all’individuazione dei destinatari dei provvedimenti. La risposta sembrerebbe banale, ma in vero presuppone un’indagine stratificata della realtà. E’ infatti indubbio – si legga l’ultimo rapporto della Caritas sulla povertà in Italia – come la figura del barbone e del clochard siano ormai marginali nel quadro dell’attuale nomadismo urbano. Per essere chiari il barbone descritto da Simenon, che abitava sotto il Pont Marie, è una immagine del passato. Oggi la povertà estrema si può classificare sulla base di tre tipologie umane: quelle dei rinunciatari (in cui è centrale l’elemento volontaristico), dei migranti e infine quella dei disaffiliati (vittime di processi sociali di espulsione , legati a condizioni strutturali del tessuto socio-economico, su cui si vanno ad innestare episodi traumatici , come la disoccupazione di lungo periodo, sfratto, abbandono o crisi familiare).
Tali definizioni non sono fine a se stesse, ma sono indispensabili da punto di vista euristico, poiché la condizione degli uni e degli altri, nonostante siano accomunati da un vissuto di sofferenza ed emarginazione, presentano peculiarità (percorso biografico, condizioni di vita, aspettative) tali da non permettere di trattare tali soggetti unitariamente.
Sarebbe ipocrita non ricordare infine come in numerosi casi le ordinanze anti-accattonaggio abbiano un bersaglio specifico, rappresentato dagli appartenenti all’etnia rom (ma su questo punto rinvio agli studi e analisi del prof. Simoni).
Di questa complessità che è propria della realtà sociale, nelle ordinanze non vi è straccia, il profilo punitivo cancella ogni distinzione (in ciò riesumando l’intento originario del redattore dell’art. 670 c.p.)
Si può quindi arrivare, rispondendo alla domanda come, ad esporre il profilo strumentale delle ordinanze: si deve notare come nella maggior parte dei casi (e qui emerge un altro aspetto della necessaria standardizzazione ed emulazione tipica di tale fenomeno) i provvedimenti prevedono una sanzione amministrativa dalle € 25,00= alle €. 500,00=, con facoltà di pagamento entro 60 giorni dalla contestazione immediata della violazione o dalla notificazione del verbale di accertamento. Vi è la clausola che fa salva l’applicazione delle disposizioni penali in materia.
In varie ipotesi l’atto specifica la sanzione accessoria della confisca amministrativa del denaro provento della violazione e di eventuali attrezzature impiegate nell’attività, ai sensi dell’articolo 20 della L. 689/81, previo sequestro cautelare ai sensi dell’articolo 13 della stessa.
In questo caso, la sovrapposizione del profilo amministrativistico con quello penalistico genera uno scivolamento che viene ad incidere sugli stessi principi costituzionali: in particolare appare di dubbia legittimità la reintroduzione della sanzionabilità della condotta di mendicità non invasiva (già dichiarata incostituzionale dalla Corte previo scrutinio di ragionevolezza) attraverso lo strumento delle ordinanze, in quanto derogatorio alla riserva di legge contenuta nell’art. 1 della l. n. 689/1981, dal cui tenore letterale emerge la consapevole volontà del legislatore di estendere – pur trattandosi di riserva relativa – alle sanzioni amministrative il principio di stretta legalità che caratterizza l’illecito penale, vincolando in tal senso anche il legislatore regionale.
Concluderei con la domanda centrale, quella relativa alle ragioni che giustificano tali provvedimenti.
Le motivazioni dei divieti imposti dalle ordinanze fanno riferimento alla necessità di evitare ai cittadini disturbo e molestie, l’intralcio alla viabilità, di tutelare il decoro urbano ed il turismo, di salvaguardare la sicurezza dei residenti e degli stessi mendicanti (soprattutto su sede stradale), di evitare il rischio di sfruttamento dei più deboli. Si tratta spesso di pretesti, volti ad arginare i «processi di costruzione della paura» nei contesti urbani, che si affiancano a quegli interventi mediante i quali si realizza un controllo diretto sullo spazio pubblico.
L’oggetto dei divieti contenuti in tali ordinanze ne rende infatti palese il carattere da un lato simbolico e dall’altro pleonastico. In tale senso sono simbolici nella misura in cui definiscono una «mappa del rischio» attraverso la costruzione dell’«estraneo», identificabile nella radicale diversità del mendice o nell’alterità minacciosa del «clandestino» – quando le due componenti non si sommano nella figura stessa del migrante. Pleonastici nella misura in cui sanzionano, con gli strumenti offerti dal diritto amministrativo, condotte già integranti fattispecie contravvenzionali, inscritte nel codice, creando una sorta di circuito sanzionatorio «minore». In tal modo i sindaci danno l’illusione di colmare, attraverso provvedimenti «prossimali», il baratro tra esistenza ed efficacia delle misure in materia di sicurezza urbana.
Queste previsioni rivelano, in modo palese, il legame tra misure per la sicurezza e specifiche immagini urbane, indicando l’importanza che i nuovi atteggiamenti verso la povertà rivestono nell’organizzare queste immagini: sembra che, in tal modo, si vogliano nascondere alla nostra vista i mendici, per cancellare dalla nostra coscienza le ataviche paure che essi suscitano, in quanto individui asociali per eccellenza, che vivono al tempo stesso fuori da ogni inscrizione territoriale e fuori dalla realtà istituzionale . Alla base di tale concezione dello spazio sociale vi è la «tentation d’une rue aseptisèe» , quale parte emergente dei rischi di disgregazione urbana che le pratiche securitarie portano con sé.
Una concezione di questo genere si scontra in modo stridente con gli arresti della giurisprudenza costituzionale, in particolare la sentenza n. 519/1995 con la quale si è dichiarata l’illegittimità del reato di mendicità nella forma non disturbante, con ciò andando incontro alla situazione di disagio che gli organi statali preposti alla prevenzione e repressione provavano nel perseguire una richiesta di aiuto compostamente manifestata. Tutto ciò nel segno di una rivalutazione del valore costituzionale, oltre che religioso, della solidarietà, che ha comportato un mutamento della coscienza sociale collettiva.
Forse però la coscienza sociale ha subito – nell’ultimo decennio – una regressione, se è vero che le ordinanze sindacali hanno rappresentato una sorta di «laboratorio» normativo ove sperimentare nuove soluzioni per rispondere alle problematiche della sicurezza urbana.
I contenuti di talune ordinanze, in una sorta di fenomeno «ascensionale», sono stati riadattati e adottati dal legislatore nazionale ad esempio nel recente pacchetto sicurezza, che ha fatto propria anche la filosofia di fondo che li ispirava.
Segnalo, in particolare, i commi 38 e 39 dell’art. 3 L. 94/2009 che introducono l’obbligo per le persone senza fissa dimora, che chiedono l’iscrizione nel Comune ove hanno stabilito il proprio domicilio, di fornire all’ufficio di anagrafe gli elementi necessari ai fini dell’accertamento dell’effettiva sussistenza del domicilio (comma 38) e includono, inoltre, l’istituzione presso il Ministero dell’interno del registro nazionale delle persone senza fissa dimora (comma 39)
Il combinato disposto tra queste due misure da un lato potrebbe allargare il baratro dell’emarginazione, consentendo ai comuni di liberarsi (almeno formalmente) delle fasce della popolazione più problematiche e dall’altro introduce una stigmatizzazione attraverso la creazione di una sorta di lista nazionale dei proscritti per nascita, condizione sociale o razza.

Intervento tenuto al convegno “Sicurezza urbana e ordinanze dei sindaci: dal diritto costituzionale alle politiche pubbliche”, Università di Trento, 6 novembre 2009 

in www.jus.unitn.it/services/arc/2009/1106/home.html

Si rinvia al testo completo della relazione "Note a margine delle ordinanze sindacali in materia di mendicità" in Le Istituzioni del Federalismo (in corso di pubblicazione)




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