-  Gobbi Cristiano  -  07/06/2013

MANCA L'AUTORIZZAZIONE: L'ACCERTAMENTO E' VALIDO - Cass. 23.4.-29.5.2013, n. 13319 – Cristiano GOBBI

La Suprema Corte, ancora una volta, continua a seguire ormai un consolidato orientamento pro-fisco.

Nel caso di specie l'allora Ufficio IVA di Roma emetteva a carico di un avvocato un avviso di rettifica per la ripresa a tassazione del tributo IVA per l'anno 1994, ritenendo che dall'esame della movimentazione bancaria era emerso un maggior reddito non dichiarato che il professionista non era stato in grado di giustificare.

Il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Provinciale Tributaria di Roma che accoglieva l'impugnazione in ragione dell'assenza dell'autorizzazione all'accesso presso lo studio-residenza del professionista.

L'Ufficio proponeva tuttavia ricorso in appello che la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza depositata il 28 febbraio 2007 accoglieva.

Motivava il Collegio che la mancanza di autorizzazione all'accesso presso la residenza-studio del professionista non inficiava la validità dell'accertamento, incidendo semmai sulle eventuali prove addotte quale maggior reddito evaso, senza tuttavia incidere sulla validità degli accertamenti bancari regolarmente autorizzati, concernenti le movimentazioni effettuate dal contribuente sul conto corrente cointestato con il coniuge, rispetto alle quali il contribuente non aveva fornito alcuna giustificazione plausibile in ordine al maggior reddito.

In una parola, secondo la CTR l'Ufficio aveva proceduto sulla base degli accertamenti bancari autorizzati dai quali era scaturito l'accertamento.

Il contribuente proponeva infine ricorso per cassazione.

Il professionista prospettava due autonome censure.

La prima era falsa applicazione dell'art.32 dpr n.600/1973, degli artt.51 e 52 dpr n.633/1972, dell'art.36 d.lgs.n.546/1992 e dell'art. 118 disp.att.c.p.c, in relazione all'art.360 comma 1 n.3 c.p.c, nonché carenza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in relazione all'art.360 comma 1 n.5 c.p.c.

Il ricorrente lamentava che la Commissione Regionale aveva omesso di considerare l'assenza di preventiva autorizzazione all'accesso alle movimentazioni bancarie, avendo l'ufficio provveduto, in data 6 maggio 1996, in sede di accesso illegittimamente compiuto all'interno dello studio-residenza, all'acquisizione degli estratti conto del conto corrente peraltro cointestato al coniuge, non avendo mai acquisito alcunché presso gli istituti di credito sulla base dell'autorizzazione rilasciata dal comandante di zona della Guardia di Finanza in data 26 agosto 1996.

E poiché le uniche contestazioni formulate dai verbalizzanti risalivano alle acquisizioni compiute nel corso dell'ispezione che la stessa CTR aveva ritenuto non autorizzata, era palesemente errata la soluzione del giudice di appello di fare salvo l'accertamento con riguardo agli accertamenti bancari, mai autorizzati, non potendosi ritenere valida un'autorizzazione in sanatoria.

Si ritenevano inoltre pienamente giustificate le movimentazioni bancarie e la provenienza della somma di 60.000.000 di lire rivenuta, provenendo la stessa da un conto della società dell'Arancio -riconducibile ai suoi familiari e dallo stesso contribuente gestita- che aveva precedentemente ricevuto una somma a titolo di mutuo.

Aggiungeva di avere altresì documentato l'andamento regolare del conto corrente nonché le disponibilità provenienti da vendite di preziosi e da elargizioni ricevute dalla Congregazione delle Suore Missionarie delle quali faceva parte la sorella del contribuente.

Evidenziava, pertanto, che la motivazione era non solo carente, ma anche contraddittoria nella parte in cui aveva ritenuto di annullare parzialmente l'accertamento che, invece, per effetto della mancanza di un'autorizzazione preventiva all'acquisizione di documentazione bancaria, era integralmente inficiato da illegittimità.

Infine, sottolineava che la sentenza impugnata meritava di essere cassata, mancando dello svolgimento del processo oltre ad essere lacunosa a contraddittoria.

La Suprema Corte non ha accolto alcuno dei rilievi svolti dal ricorrente, rifacendosi ad alcune recenti sentenze della quinta sezione che, tuttavia, sono di segno contrario rispetto ad altre meno recenti.

In questo senso la Corte ha ricordato ome in tema di imposte dirette (come di IVA) ed in ipotesi di accesso domiciliare, a mente della giurisprudenza più remota (cfr.Cass. n. 19689 del 01/10/2004) la illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi degli artt. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 importasse la "inutilizzabilità", a sostegno dell'accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che:

a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un'espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l'assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola;

b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione; c) l'acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l'autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile.

Ha osservato tuttavia, la Corte come il superiore indirizzo è stato recentemente specificato (cfr.Cass.n.23595/2011) nel senso che l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica all'accesso domiciliare anzidetta costituisce un provvedimento amministrativo che si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell'atto impositivo ed i suoi eventuali vizi si riverberano sull'atto conclusivo, determinandone l'invalidità solo con riferimento a quelle parti che siano legate all'atto istruttorio da un nesso di insostituibile e necessaria consequenzialità, mentre nessuna conseguenza comportano per quelle altre parti che siano del tutto distinte ed indipendenti.

In definitiva, gli effetti dell'eventuale vizio dell'atto anzidetto, in relazione al generale principio di conservazione degli atti giuridici, valevole anche per gli atti amministrativi, impone di limitare gli effetti del vizio alle parti dell'atto impositivo che sono legate a quello prodromico da un nesso di insostituibile, necessaria consequenzialità.

Ciò che consente di distinguere, ai fini della utilizzabilità degli atti acquisiti nel corso di perquisizione non autorizzata, gli atti inscindibilmente collegati al provvedimento autorizzatorio, irrimediabilmente travolti dall'assenza del provvedimento di autorizzaizone alla perquisizione, da quelli che possono comunque trovare giustificazione in altri provvedimenti ritualmente adottati dall'Ufficio e che sono dunque indipendenti rispetto alla perquisizione.

Sulla base di questo, criticabile principio, la decisione impugnata è stata ritenuta immune dall'ipotizzato vizio.

E così si è ritenuto che, il giudice tributario, ai fini della verifica della legittimità della pretesa fiscale, si è limitato ad utilizzare la documentazione bancaria relativa ai conti riferibili al contribuente ed ai suoi familiari che, seppure acquisita presso il contribuente, tuttavia non poteva dirsi travolta dalla mancata di autorizzazione alla perquisizione domiciliare, proprio perché i verbalizzanti ebbero cura di acquisire, successivamente, l'autorizzazione del comandante della Guardia di Finanza relativa all'accesso della documentazione bancaria del contribuente ai sensi degli artt.32 comma 1 n.7 dpr n.600/1973 e 51 comma 2 del dpr n.633/1972.

Ritenendo la Corte di non potersi disconoscere la possibilità che l'amministrazione provveda alla sanatoria di un atto illegittimo attraverso l'adozione di un atto che intende riconoscere ex post la legittimità dell'operato della stessa, trovando tale possibilità piena conferma nel generale principio di conservazione dell'attività amministrativa, le quante volte ciò non determini pregiudizio a posizioni giuridiche soggettive piene del privato.

Ora, ha osservato la Corte, se si accede a questa prospettiva, non sembra che vi sia stata una concreta lesione del diritto al contraddittorio ed alla difesa da parte del contribuente che, a fronte di un'attività di acquisizione compiuta nel maggio 1996, si è potuto adeguatamente difendere, anche dopo il provvedimento di autorizzazione intervenuto nell'agosto del 1996, risultando che la rettifica emessa nei confronti del contribuente venne resa sulla base del processo verbale della Guardia di Finanza del 27.3.1998.

Nessun diritto fondamentale del contribuente risulta, pertanto, in concreto pregiudicato dall'attività della Guardia di Finanza.

In questa direzione, del resto, milita la stessa giurisprudenza di questa Corte che non ha mancato di precisare come "il riscontro della mancanza materiale dell'autorizzazione produce l'illegittimità del "risultato finale del procedimento" - quindi, del conseguente "accertamento" - sol quando si traduce in un "concreto" (ovverosia certo ed effettivo) "pregiudizio per il contribuente" e si inserisce in un filone giurisprudenziale alla cui stregua la mancanza della autorizzazione dell'ispettore compartimentale (o, per la Guardia di Finanza, del comandante di zona) prevista dall'art. 51, secondo comma, n. 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente, non preclude l'utilizzabilità dei dati acquisiti, atteso che la detta autorizzazione attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il principio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico.




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