-  Mottola Maria Rita  -  17/02/2014

MALAGIUSTIZIA E IL RUOLO DEGLI AVVOCATI – Maria Rita MOTTOLA

Si è aperto con il solito fragore l"anno giudiziario, con meno clamore si sono celebrate le proteste degli avvocati. Abbiamo ancora ben presente il fuori-onda del ministro della giustizia e del suo giudizio sull"avvocatura. Una cattiva e settaria informazione ha ridotto gli avvocati a una casta di professionisti che cercano solo di garantire le proprie prerogative. E" necessario quindi sgombrare il campo da queste assurte quanto gratuite (o forse no) illazioni.

La professione degli avvocati è indispensabile alla società e allo stato di diritto. E" l"unica libera professione che è indispensabile e che deve essere garantita dalla Costituzione. Senza la tutela dei diritti, i diritti non esistono i cittadini ritornano a essere sudditi che si recano da soli davanti al sovrano a implorare la grazia. E qui sta il punto. La nuova società che in tutti i modi stanno cercando di imporci non prevede cittadini con diritti ma sudditi obbedienti e poco informati. Gli avvocati conservano le capacità professionali per approntare la difesa, per conoscere le incongruenze della legge, per cercare nelle pieghe del sistema la soluzione. Ed oggi con la enorme proliferazione di norme complesse, mal scritte, incoerenti, dettate da scopi ben diversi da quelli manifestati il cittadino ha bisogno dell"avvocato.

La cura dell"avvocato è l"interesse altrui, è diventare l"altro, immedesimarsi nei suoi bisogni e nelle sue sofferenze, entrare in empatia, offrire una soluzione, accompagnare in un percorso arduo e complesso. E" vero che le ultime generazioni sono state formate a vedere nella professione solo un modo per ottenere un guadagno (certo non facile e neppure scontato). Ma questa situazione si è creata da una volontà ben chiara. Una volontà politica di distruggere la funzione giudiziaria nel suo insieme e nella sua stessa consistenza. I concorsi per accesso alla magistratura sono da anni in contestazione. Il ministero non ha adottato nessuna misura di garanzia neppure a seguito dello scandalo presentato anche all"attenzione del Parlamento da una interrogazione parlamentare che sommariamente indicava alcune evidenti anomalie, soprusi, illegittimità, vere e proprie condotte criminose che si sono perpetrate negli anni a partire dal 1992. Il concorso indetto in tale anno venne impugnato da un avvocato di Asti che nonostante alcune sentenze favorevoli non ha ancora ad oggi ottenuto giustizia. Altri concorsi sono stati esplicitamente contestati. Certamente quello del 2008 e del 2010. Ciò che accadde nel 2008 ci illumina sul perché la giustizia sia una pia illusione nella maggior parte dei nostri tribunali. Una candidata promuoveva ricorso al TAR per varie irregolarità che aveva riscontrato nella gestione del concorso. Quando si rese conto di essere stata ammessa, presentò prontamente una richiesta di archiviazione della procedura per cessato interesse ad agire! E ovviamente il TAR ha archiviato. Del resto la Corte Costituzionale ha confermato la possibilità per la commissione esaminatrice di non dare alcuna motivazione alle proprie decisioni essendo sufficiente il voto numerico.

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Come poco sopra si è notato, il detto criterio (peraltro diffusamente adottato nelle procedure concorsuali ed abilitative) rivela una valutazione che, attraverso la graduazione del dato numerico, conduce ad un giudizio di sufficienza o di insufficienza della prova espletata e, nell"ambito di tale giudizio, rende palese l"apprezzamento più o meno elevato che la commissione esaminatrice ha attribuito all"elaborato oggetto di esame. Pertanto, non è sostenibile che il punteggio indichi soltanto il risultato della valutazione. Esso, in realtà, si traduce in un giudizio complessivo dell"elaborato, alla luce dei parametri dettati dall"art. 22, nono comma, del citato r.d.l. n. 1578 del 1933, suscettibile di sindacato in sede giurisdizionale, nei limiti individuati dalla giurisprudenza amministrativa.

D"altro canto, va anche considerato che il criterio in questione risponde ad esigenze di buon andamento dell"azione amministrativa (art. 97, primo comma, Cost.), che rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneità, avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia al numero dei partecipanti alle prove.

Neppure può sostenersi che la normativa censurata si ponga in contrasto con l"art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). Fermo restando che il criterio del punteggio numerico è idoneo ad esprimere un giudizio sufficientemente motivato, si deve osservare che il citato art. 3, comma 1, va coordinato con l"art. 1, comma 1, della medesima legge n. 241 del 1990, in forza del quale l"attività amministrativa è retta (tra gli altri) da criteri di economicità e di efficacia, che giustificano la scelta del modulo valutativo adottato dal legislatore" (Cost. 8.6.2011, n. 175).

La Corte ha respinto ogni considerazione sollevata dal Tar di Milano circa la necessità di trasparenza e motivazione degli atti amministrativi se questi atti amministrativi sono i verbali delle commissioni d"esame di concorsi pubblici.

Gli avvocati più giovani forse possono non provare alcuna sofferenza per tali condotte ma chi crede veramente nella Giustizia e nella Verità si sente assalire da un senso di ribellione, dalla voglia di ribaltare le scrivanie e cacciare i mercanti dal Tempio. Certo azzerare tutto e ricominciare insieme e per il bene dei cittadini è l"unica prospettiva che ci soddisfa. Il resto è silenzio, rumoroso e vuoto silenzio.




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